Qui Milano – Ebraismo, tra laicità e futuro

20171018_205624Si è aperta con un incontro sul tema “Esiste un ebraismo laico?” la nuova stagione delle inizative di Kesher a Milano. A confrontarsi nell’aula magna della Scuola sul tema – introdotti e moderati dal direttore dell’Area Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca – Geoffrey Davis, Miriam Della Torre, Stefano Levi della Torre, Davide Romano e Ugo Volli. “Mentre l’ebraismo cosiddetto ortodosso vede nell’osservanza delle mitzvot, della Torah, il veicolo per la trasmissione dell’identità ebraica, gli ebrei laici devono trovare un’altra risposta”, ha spiegato rav Della Rocca nel corso del partecipato incontro. “Nella Diaspora – ha continuato il rav, sottolineando la differenza con la situazione israeliana, dove la lingua, l’idea di Stato, l’esercito, sono denominatori comuni per la comune identità – dobbiamo chiederci quali possono essere i veicoli identitari se non le mitzvot, cosa può assicurare la continuità dell’ebraismo”. La parola è poi passata agli ospiti dell’incontro, a cui hanno partecipato tra gli altri i presidenti della Comunità ebraica di Milano, Raffaele Besso e Milo Hasbani, il vicepresidente UCEI Giorgio Mortara e il Consigliere UCEI e assessore al Bilancio della Comunità milanese Joyce Bigio. Per Davide Romano, assessore alla Cultura della Comunità, quando si parla di ebraismo laico è necessario tenere a mente che questo è stato possibile perché basato sui grandi Maestri e pensatori della tradizione religiosa ebraica. “Dobbiamo ricordarci delle nostre radici comuni”, ha detto Romano. Miriam Della Torre ha invece raccontato la propria esperienza personale. Figlia di una famiglia ebraica tradizionalista italiana, ha sottolineato l’importanza dell’azione nell’ebraismo, del mettere in pratica le mitzvot a prescindere dal grado di religiosità.
Per l’accademico e saggista Stefano Levi Della Torre la chiave dell’ebraismo laico è nella domanda e nello studio. Nel Libro di Giobbe, ha affermato Levi Della Torre, “gli amici religiosi di Giobbe gli dicono ‘se stai male è perché hai fatto del male a Dio’. A quel punto però è Dio ad intervenire, arrabbiandosi e ricordando che lui è Mistero: ovvero, la religione non può avere la pretesa di dare risposte che non si sanno”. Non si può sapere cosa pensa Dio, ha spiegato l’accademico, sottolineando che “bisogna usare cautela nel dire ‘questa è la parola di Dio’” e ricordando il ruolo dello studio e dell’interpretazione nell’ebraismo. Interpretazione sempre soggetta a controversia, ha aggiunto Levi Della Torre, sempre soggetta al dubbio e all’interrogativo. Un modo di operare, si comprende dalle parole dell’accademico, che rappresenta il modus operandi dell’ebreo laico.
Diverse invece le valutazioni di Geoffrey Davis e del semiologo Ugo Volli. Il primo, figlio di una famiglia ebraica americana, ha raccontato la propria esperienza personale e poi messo in dubbio la possibilità che l’ebraismo possa sopravvivere come ebraismo laico. Il futuro ebraico, ha affermato Davis, “dipende da quanto siamo vicini al rispetto delle mitzvot”. “È possibile un ebraismo laico? – si è chiesto Volli – Che non ha rapporto con le mitvot? Con Hashem? È possibile perché c’è. Ma durerà? È compatibile con la sopravvivenza dell’ebraismo?”. Secondo Volli la risposta è negativa, salvo guardare a Israele, che il semiologo individua come fulcro del futuro ebraico. “Ebraismo non è solo etica e universalismo – ha affermato Volli – perché altrimenti rischiamo di perdere la nostra differenza. Invece dobbiamo amare il nostro essere diversi. Amare il nostro passato, amare ciò che siamo, amare il nostro popolo” che, afferma Volli, è esclusivamente legato alla tradizione religiosa.
Tante quindi le risposte e le visioni che hanno dato il via a un confronto con il pubblico e aperto una nuova stagione di riflessioni su ebraismo e identità ebraica con Kesher.

d.r.