Anne Frank

torino vercelliCiò che dovrebbe fare riflettere, nella squallida vicenda dell’uso del volto di Anne Frank per dileggiare i tifosi di una squadra avversaria, non è solamente il ripetersi maniacale dei medesimi stili antisemitici. Non è una novità, quest’ultima, anche se il suo rinnovarsi, come fetida tradizione nera, quella del pregiudizio, non rassicura. Semmai angoscia. Tuttavia c’è dell’altro, ed è una sorta di sovrappiù che si aggiunge a tutto quanto ci si potrebbe ancora dire sul nesso tra estremismo, tifoseria ultras, stadi e razzismo antiebraico. Quel di più sta nel fatto che Anne Frank, oggi improvvidamente qualificata dal più importante quotidiano del nostro Paese come «scrittrice tedesca», è stata collocata da tempo, oramai, nel Pantheon dell’immaginario pop. Ci riferiamo non alla Anne Frank in carne ed ossa, vittima della Shoah, bensì alla sua immagine traslata, riprodotta in maniera del tutto decontestualizzata, eretta a simbolo di un qualcosa purchessia, a prescindere da ciò che era e rappresenta con la sua umana vicenda. Lo sanno molto bene, sia pure a modo loro, quanti l’hanno rivestita della maglietta della squadra avversaria per antonomasia. Se per noi il ricordo di Anne è quello di una giovane vita spezzata, – simbolo della «catastrofe» senza consolazione di un’intera generazione, così come di un Continente, un fatto al quale invece lei stessa cercava, a modo suo, di dare ancora dei significati umani per combattere contro la barbarie – per chi ne fa strame rimane un oggetto intercambiabile, da abusare piuttosto che usare (con grande cautela e massimo rispetto). La vera offesa antisemitica, oggi, sta in ciò: lo specchio del passato si riproduce nel presente, laddove gli «ebrei» di ieri erano ridotti a «pezzi» da sottoporre a «trattamento speciale», mentre oggi sono raffigurati come materiali di offesa, volti senza lineamenti se non quelli dell’oltraggio da infliggere ai propri “nemici”. Rimane un fatto, ossia che a chi è nato ilota, cresciuto servo e infine fattosi schiavo, e ciò malgrado la possibilità di liberarsi dalle sue catene, va ricordato che il pesante clangore degli anelli è tanto più forte quanto minore è la sua capacità di emanciparsi dal bisogno che sente di continuare a vivere nelle fogne dell’umanità. Ed è schiavo non chi vive nell’impedimento ma chi non sa d’essere impedito. Né vuole saperlo.

Claudio Vercelli