CULTURA EBRAICA I salvati e i sommersi
Occorre saper mostrare gratitudine verso chi ci ha aiutati. È questo un aspetto dell’etica biblica non adeguatamente messo in luce. Si predica sui meriti di chi aiuta, ma poco o nulla sui doveri incombenti su chi è aiutato. Questi deve dire grazie. Secondo un’esegesi creativa del pensiero rabbinico in questo sarebbe consistito il cosiddetto Peccato Originale, di cui si legge proprio in queste settimane nei primissimi capitoli della Torah. Quando l’Eterno rimproverò Adamo di aver mangiato il frutto proibito, il Primo Uomo rispose: “È stata la donna che hai posto al mio fianco a darmelo dall’albero, sì che l’ho mangiato” (Bereshit 3,12). Rashì commenta: Adamo è stato un ingrato. Invece di ringraziare D. del dono della donna, lo ha accusato di essere la causa del suo male. Esistono moduli diversi per ringraziare il S.B. di averci garantito la salvezza. A livello individuale vi è la Birkat ha-Gomel che recitiamo per scampato pericolo. Sul piano collettivo il pensiero grato si esprime nel canto del Hallel. Lo recitiamo a Pesach e a Chanukkah, le grandi feste di liberazione, mentre a Purim la lettura della Meghillat Ester prende il suo posto. In questo mese lo recitiamo a Sukkot. Da un lato anche a Sukkot ricordiamo, sia pure indirettamente, il miracolo dell’Uscita dall’Egitto. D’altronde il Talmud (‘Arakhin 10b) afferma che gli angeli si aspettavano un’estensione della sua recitazione anche a Rosh ha-Shanah e Yom Kippur, ma D. rispose loro: è possibile cantare nel momento in cui il registro dei vivi e dei morti è aperto davanti a Me nel Giorno del Giudizio? Ecco dunque che lo Hallel di Sukkot potrebbe essere stato istituito anche per celebrare l’avvenuta liberazione… dalle trasgressioni, una volta che il Giudizio Divino si è ormai felicemente concluso. Il Talmud (Sanhedrin 94a) ci racconta che Chizqiyahu (Ezechia) era addirittura candidato a divenire il Mashiach. Fu uno dei più grandi re della dinastia di David. Aveva ripristinato lo studio della Torah in tutto il regno di Yehudah e forse per questo motivo si era rifiutato di pagare il tributo ai potenti Assiri: preferiva risarcire i propri lavoratori per il tempo che dedicavano allo studio piuttosto che finanziare lo straniero. Ciò provocò l’ira di Sennacherib, che invase il suo territorio con un esercito immane (700 a.E.V.). Dopo aver provocato morte e distruzione nel paese pose l’assedio a Yerushalaim. Chizqiyahu non fece altro che pregare e H. lo esaudì. Un angelo colpì l’esercito assiro uccidendo 185.000 soldati e Sennacherib dovette ripiegare sui suoi passi (2Melakhim 19,35). Fu un miracolo. Ma Chizqiyahu non cantò il Hallel in quella occasione, come ci si sarebbe aspettato in segno di gratitudine. E per questo perse il posto di Mashiach. Quante sciagure ci avrebbe risparmiato altrimenti! I due Battè Miqdash non sarebbero stati distrutti, non ci sarebbero state le Crociate, la Cacciata dalla Spagna, la Shoah…Perché una punizione tanto grave per una mancanza apparentemente così lieve? Richiamando l’episodio del Primo Uomo, Rav Ouri Cherki spiega che la gratitudine rappresenta la vera realizzazione dell’opera della creazione. “Solo nel momento in cui la creatura dice grazie possiamo dire che il S.B. ha avuto successo. Creare significa dare l’esistenza a qualcun altro e l’esistenza di quest’altro si esprime in modo autonomo proprio attraverso la gratitudine. Chi dice grazie completa la creazione, mentre chi non lo fa dimostra ancora di aspettarsi che il S.B. esegua tutto il lavoro senza che egli debba muovere un dito neppure per ringraziare: in tal caso la creazione sarebbe fallita” (Be’od Mo’ed, p.227). Ecco perché di fronte a tanta gravità Chizqiyahu non divenne il Mashiach. Per quali ragioni il re di Yehudah commise la grave omissione? Rav Cherki ne individua tre. La prima è che si trattava di una personalità talmente immersa negli studi e lontana dalla politica da non dare sufficiente importanza alla miracolosa liberazione dagli Assiri, ancorché questi dominassero il mondo intero. La seconda spiegazione è che Chizqiyahu potrebbe essere rimasto frastornato all’idea che 185.000 vite, sia pure appartenenti alle schiere nemiche, fossero state soppresse in una sola notte. Questo ci ricorda il passaggio del Mar Rosso. Il Talmud (Sanhedrin 39b) racconta che anche in quel caso gli angeli avrebbero voluto intonare un canto ma il S.B. li fermò: “Le Mie creature affogano nel mare e voi vi accingete a cantare?” Può darsi che questo sia stato lo spunto di Chizqiyahu, ma evidentemente si sbagliava. Un conto è che cantassero gli angeli, meri spettatori dell’evento. Altro conto è che cantassero i beneficiari stessi della liberazione. Su questi incombeva l’obbligo di ringraziare! E in effetti all’epoca dell’Uscita dall’Egitto Moshe e i Figli d’Israele, seguiti anche da Miriam e dalle donne, intonarono la Cantica del Mare. E noi la ripetiamo ogni mattina. Ma c’è una terza ipotesi. Che Chizqiyahu si sia astenuto dal cantare il Hallel pensando ai danni inflitti dagli Assiri in quei medesimi anni ad altri settori dello stesso popolo ebraico. Erano stati gli Assiri poco tempo prima a provocare la distruzione del Regno del Nord (Efraim) e la deportazione dei suoi abitanti. Chizqiyahu, preso dal senso di colpa, si sarà allora domandato: perché proprio io fra i tanti sommersi sono stato salvato? La tradizione ebraica su questo punto è chiara. Sei stato beneficiato e devi comunque ringraziare per questo. È la sfida che attende il candidato Mashiach.
Nell’immagine, Vanitas painting, Benjamin Senior Godines, 1681 – Jewish Museum London
Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, ottobre 2017