…Benjamin
È uscito un bel libro che raccoglie alcuni testi originali di Walter Benjamin a fianco a saggi di Hannah Arendt e ad alcune sue lettere che tentano di fare giustizia dell’eredità del pensiero del filosofo ebreo berlinese (Hannah Arendt e Walter Benjamin, L’angelo della storia. Testi lettere documenti, Giuntina, Firenze 2017). Il quadro teorico nel quale si inscrive la riflessione di Benjamin si confronta con una pratica delle discipline storiche e una sua teorizzazione che nell’Europa dell’inizio Novecento ruotava in varia misura attorno ad alcuni capisaldi fondamentali:
Idea di progresso, legata a una concezione lineare del tempo: un’idea cioè che vede la storia umana come un continuo movimento di perfezionamento ed evoluzione progressiva verso una meta data.
Storia oggettiva, sulla quale lo studioso deve intervenire come uno scienziato neutrale senza potersi permettere giudizi di valore.
Causalità dei comportamenti umani che, a somiglianza delle leggi di natura, seguirebbero leggi scientifiche ben precise che farebbero della storia un fenomeno sostanzialmente razionale.
Walter Benjamin sottoponeva a una decisa critica questo tipo di impostazione: criticava fortemente l’idea di progresso nella storia come mistificazione della realtà e distorsione che impedirebbe il riconoscimento di pericoli anche reali nascosti nella storia che si sta vivendo (ad esempio il fascismo dei suoi tempi, ma il discorso ha valenze assai contemporanee…). Questo è ben descritto nell’ottava Tesi di filosofia della storia (la sesta, stando al manoscritto presentato nel libro): “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a ciò. Allora cagionare l’effettivo stato d’eccezione si presenterà dinanzi a noi come nostro compito; e con ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La cui possibilità di riuscita sta non da ultimo nel fatto che i suoi avversari lo affrontano nel nome del progresso, come se questo fosse una norma della storia. Lo stupore per il fatto che le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo non è uno stupore filosofico. Non sta all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui esso nasce non è più sostenibile’.”
Criticava l’idea di tempo lineare, contrapponendogli un’immagine di “costellazione” di momenti, tutti comprendenti un proprio passato, presente e futuro.
Criticava infine l’immagine causale e razionalistica della storia, alla quale Benjamin tentava di contrapporre un nuovo metodo storico che ponesse l’accento sugli elementi utopici e su tutti quei fenomeni che in passato hanno contestato l’ordine costituito mantenendo un doppio registro teologico-politico per individuare elementi di messianismo e momenti rivoluzionari.
L’immagine che Benjamin intendeva accreditare come fondativa della sua concezione storica era quella che egli chiama lo Jetztzeit, il tempo attuale, l’attimo nel quale è racchiusa la sola storia realmente indagabile. Nella diciottesima Tesi (diciassettesima nel manoscritto) Benjamin scriveva: “‘I neanche cinque millenni dell’homo sapiens – dice un biologo moderno – rappresentano, in rapporto alla storia della vita organica sulla terra qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattr’ore. La storia dell’umanità civilizzata occuperebbe in tutto, riportata su questa scala, un quinto dell’ultimo secondo dell’ultima ora’. Il tempo attuale, che, come modello del tempo messianico, riassume in una grandiosa abbreviazione la storia dell’intera umanità, coincide esattamente con la figura che la storia dell’umanità fa nell’universo.”
Gadi Luzzatto Voghera, direttore CDEC
(17 novembre 2017)