A scanso di equivoci
Poiché, secondo una battuta d’incerta attribuzione, i fascisti si dividerebbero in fascisti e antifascisti, viene quasi naturale proporre un’altra summa divisio, in questo caso dei sionisti, dividendoli in sionisti e antisionisti. Dato che Theodor Herzl scrisse l’opera fondativa del sionismo, intitolata “Lo Stato ebraico”, è agevole evincere che il sionismo è quel movimento che si propone di normalizzare il più possibile (anche l’Italia ha una sua diaspora, menzionata nella Costituzione e finanche nelle leggi elettorali) il popolo ebraico, rendendolo simile a tutti gli altri popoli, atteso che dopo una breve esperienza di soli due millenni si cominciava a insinuare il sospetto che nella Diaspora non volgesse tutto per il meglio e che qualche piccolo inconveniente cominciasse a fare capolino. Di lì, ad esempio, la famosa Legge del Ritorno, considerata razzista (per taluni tutto ciò che fanno gli ebrei è inequivocabilmente razzista, anche portare il cane a fare il giro dell’isolato) che come ha spiegato Alan Dershowitz, è una disciplina prevista in ogni Stato del mondo, quindi largamente maggioritaria, e che conosciamo come jus sanguinis.
Vi sono delle mode; l’esempio classico erano i pantaloni a zampa d’elefante e quello eterodosso è il richiamo al Bund, talvolta senza chiarire bene che in un ipotetico dizionario ideologico dei sinonimi e contrari, il sionismo figurerebbe in seno ai contrari, perché il primo voleva per gli ebrei un’autonomia culturale nella Diaspora, mentre il secondo si prefigge di eliminarla o perlomeno di ridimensionarla mediante l’emigrazione ebraica in Israele. Ne consegue che o si è bundisti (al mondo ormai quasi non ve ne sono) oppure si è sionisti: tertium non datur.
La presenza ebraica in Cisgiordania vede gli ebrei in minoranza: questo è un problema oggetto, giustamente, di dibattiti, perché se il sionismo voleva che ci fosse uno Stato ebraico, non lo concepiva come cosa diversa, e non perché gli altri popoli o religioni fossero invisi, bensì per consentire agli ebrei di non ripetere le persecuzioni e gli stermini che li videro nella veste di vittime. Il processo di Oslo, anche se alquanto maldestro e ingenuo, aveva lo scopo di ripristinare lo spirito del 1947/1948: uno Stato arabo e uno Stato ebraico. D’altronde, se la Carta palestinese si cura di chiarire che si vuole uno Stato arabo, dovrebbe essere implicito che la controparte ha diritto ad uno Stato ebraico. Alla luce di tanti equivoci, pertanto, non è sicuro che ciascuno sappia cosa sia il sionismo, perché anche fra gli ebrei, a forza di darlo per scontato, vi è qualche equivoco; sarebbe quindi opportuno rafforzarne lo studio, mai in contrapposizione col prossimo ma in armonia e nel reciproco rispetto.
Emanuele Calò, giurista