Teva, la crisi di un gigante farmaceutico

Schermata 2018-01-14 alle 19.45.15Nelle ultime settimane la stampa finanziaria di tutto il mondo ha dedicato ampio spazio alla inaspettata e improvvisa parabola discendente del colosso farmaceutico israeliano Teva, leader mondiale nel settore dei farmaci generici. A fare notizia è stato anche l’annuncio che l’azienda taglierà 14.000 posti di lavoro nel mondo. Cosa ha fatto sì che nel giro di pochi anni Teva si sia trasformata da multinazionale di successo a una azienda in crisi, sull’orlo dell’insolvenza?
Fino a pochi anni fa Teva era considerato uno dei fiori all’occhiello dell’economia israeliana, anche perché era l’unica azienda israeliana che era riuscita a liberarsi dal “nanismo” che affligge molte aziende, soprattutto nel settore high-tech: con grande cruccio delle autorità israeliane quasi tutte le start-up di successo vengono vendute dai proprietari ai colossi americani in uno stadio ancora iniziale e il paese non riesce a dotarsi di grandi imprese che creano occupazione e benessere diffuso, anche tramite un indotto. La strada (o scorciatoia) scelta da Teva per crescere non è stata quella della crescita “interna” bensì quella di fare acquisizioni a raffica all’estero (Italia compresa) indebitandosi con le banche.
È stata proprio una di queste acquisizioni a segnare la sorte dell’azienda: nel 2016 Teva ha acquistato per ben 40 miliardi di dollari la multinazionale irlandese Actavis Generics, indebitandosi fino al collo. Nei prossimi due anni Teva deve rimborsare debiti per 9 miliardi di dollari e il debito complessivo si colloca attorno ai 35 miliardi. Quali errori di valutazione sono stati compiuti da Teva? Secondo i commentatori, la decisione di acquisire Actavis é stata frettolosa e il Consiglio di Amministrazione di Teva ha mostrato di essere inadeguato e incompetente: è stata sopravvalutata la capacità di Actavis di generare utili, in un contesto di crescente concorrenza nel settore dei farmaci generici, e il prezzo pagato era spropositato.
Per recuperare la fiducia degli investitori e delle banche (nell’ultimo anno il prezzo delle azioni è crollato del 70% e l’agenzia di rating Fitch ha declassato le obbligazioni di Teva al livello di “spazzatura”) Teva ha annunciato un piano di “lacrime e sangue”: la cessione di alcune aziende controllate e un drastico taglio dei costi di produzione. A fare le spese di questa riduzione dei costi sono soprattutto gli stabilimenti israeliani, dove il costo del lavoro è più alto che negli impianti che Teva possiede in Asia o in America latina. L’annuncio di 1700 licenziamenti solo in Israele ha scatenato una sollevazione, con i sindacati e numerosi leader politici sul piede di guerra; a inasprire i toni della polemica e il risentimento dell’opinione pubblica israeliana contribuisce il fatto che negli ultimi anni Teva ha ricevuto sussidi pubblici e sconti d’imposta per la ragguardevole cifra di 6 miliardi di dollari.

Aviram Levy, economista