Storie – La macchina imperfetta
Il regime fascista non ebbe affatto una struttura amministrativa efficiente né innovò in modo particolare rispetto al passato, ma fu un organismo complesso che intrecciò alleanze ed accettò compromessi con il notabilato e la burocrazia dell’epoca liberale, accogliendone diversi esponenti nelle sue fila. È quanto rivela la ricerca dello storico Guido Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista (il Mulino), che indaga nei meandri dello Stato fascista, mettendo in luce che, come scrisse Giaime Pintor nel 1943 era appunto “una macchina imperfetta”, malata di gigantismo e anticipatrice di quello spreco della spesa pubblica che poi avrebbe ereditato l’Italia repubblicana. Basti pensare che Mussolini diede vita a 300 nuovi enti pubblici.
Dal punto di vista dell’organizzazione burocratica, anche se il Partito nazionale fascista entrò nello Stato, nel Ventennio il sistema statale italiano differì da quello sovietico o nazista. Pur essendo stati messi fuori legge i partiti di opposizione, lo Stato non si risolse completamente nel partito unico mussoliniano ed espresse al suo interno una certa dialettica tra gruppi di interesse differenti. Anche se, in realtà, le istituzioni preesistenti furono “normalizzate” e, ad esempio, anche i magistrati, i giuristi, i prefetti e l’apparato amministrativo in larghissima parte si adeguarono al regime. Una lettura interessante, che aiuta a capire ancora meglio il fascismo in Italia.
Mario Avagliano