IDENTITÀ Il messaggio di Mosè
Micah Goodman / L’ULTIMO DISCORSO DI MOSÈ / Giuntina
Prima di morire Mosè pronuncia il suo discorso più importante, che contiene una riflessione alla quale è possibile dare una lettura anche politica, incentrata sul rapporto tra religione e potere. Sulla scia di grandi pensatori come Sigmund Freud e Martin Buber, lo studioso di pensiero ebraico Micah Goodman racconta il messaggio e la figura del profeta da una prospettiva inedita, basata su una sorprendente conoscenza delle fonti e un’ispirata vicinanza emotiva.
Ne “L’ultimo discorso di Mosè” (Giuntina), costruisce così un testo originale e profondo, nel quale l’esegesi biblica diventa un messaggio e un monito quanto mai attuale.
Il suo ultimo discorso è l’eredità che Mosè lascia al popolo d’Israele per affrontare il futuro in assenza della sua voce profetica; un messaggio etico che indica la via per gestire quelle responsabilità politiche di cui un leader e un popolo dovranno farsi carico. E che, con le dovute differenze, secondo l’autore è applicabile anche all’oggi.
Di origini statunitensi, nato nel 1974 a Gerusalemme, Micah Goodman proviene da una famiglia mista, ebraico-cattolica, e un suo zio è stato anche consigliere personale di Giovanni Paolo II. Fa parte del Global Forum of the National Library of Israel, è ricercatore allo Shalom Hartman Institute di Gerusalemme ed è il direttore di Ein Prat, un centro di studi ebraici aperto e inclusivo, rivolto a studenti di tutte le provenienze, situato nel West Bank.
Goodman è divenuto negli ultimi anni piuttosto noto in Israele e negli Stati Uniti, per alcuni libri divulgativi, divenuti dei veri e proprio bestseller, sul pensiero ebraico, in particolare su Maimonide, e sui testi della tradizione, dei quali offre interpretazioni originali e non tradizionali. In particolare, pur appartenendo alla corrente Modern Orthodox, è stato al centro di una querelle sull’ebraismo riformato, del quale il pensatore ha sottolineato di apprezzare alcuni aspetti.
“Se parlo in favore di un ebraismo differente, non significa che io ne faccia parte”, ha dichiarato a Times of Israel. “Posso sentire empatia per esso, posso addirittura fare il tifo per l’ebraismo riformato, ma non sono un reform. Parlo solo di idee che fuoriescono dai canoni dell’ebraismo classico, ma senza criticarlo.”
Goodman ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra i quali il “Marc and Henia Liebhaber Prize for Religious Tolerance”, nel 2014.
Marco Di Porto