Aliya Bet, le navi della speranza
Un’epopea, una missione eroica che vale la pena ricordare a 70 anni dalla nascita dello Stato d’Israele. Così il presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach ha descritto la mostra “Le navi della speranza ‐ Aliya Bet in Italia 1946‐1948”, curata da Rachel Bonfil e Fiammetta Martegani e inaugurata ieri nello spazio esposizioni del Memoriale. Una mostra che racconta, attraverso fotografie e testimonianze, di come fu organizzata e portata avanti l’incredibile operazione di portare nella Palestina mandataria migliaia di ebrei sopravvissuti alla Shoah. Dalle coste italiane nel periodo tra il 1946 e il 1948, uomini e donne come il capitano Enrico Levi, l’ingegnere Gualtiero Morpurgo e Ada Sereni, a capo dell’Aliya Bet in Italia, fecero in modo di far partire 34 navi con a bordo oltre 20mila persone e farle arrivare sane e salve in Eretz Israel. “Ada Sereni fu una donna straordinaria e sono contenta che sia ricordata qui: era anche una mia parente”, ha ricordato Ofra Farhi, viceambasciatore d’Israele in Italia, durante l’inaugurazione milanese a cui ha presenziato anche la senatrice a vita e Testimone della Shoah Liliana Segre. Tra i pannelli dell’esposizione viene anche riportato alla luce il grande ruolo della Brigata Ebraica “di cui mio padre ha fatto parte, partendo dalla Palestina mandataria e venendo in Italia per combattere i nazifascisti”, il racconto di Ami Katz direttore del Museo Eretz di Tel Aviv. Katz ha poi sottolineato l’importanza della collaborazione tra i vari istituti per la riuscita della mostra che proseguirà fino a metà giugno.
L’Aliya Bet ha raggiunto i porti della Palestina mandataria a bordo di piccoli pescherecci di fortuna, proprio come le barche con cui i rifugiati oggi cercano di raggiungere i porti italiani alla ricerca non soltanto di un luogo in cui vivere, ma soprattutto della libertà, proprio come i sopravvissuti ebrei di allora – ricorda il presidente del Memoriale della Shoah Jarach nel catalogo della mostra edito da Proedi, tracciando un parallelo con la scelta degli scorsi anni dell’istituzione milanese di accogliere temporaneamente migliaia di profughi – La più grande soddisfazione per noi è stata, quando a distanza di mesi, i rifugiati che abbiamo ospitato ci hanno ricontattato per dirci di aver finalmente trovato un luogo in cui ricominciare a vivere e ci hanno ringraziato per avergli dato una possibilità, per aver teso una mano, per non aver voltato loro le spalle, per non essere stati indifferenti”. Ma tornando alla mostra, a spiegarne il significato e il legame con il nostro paese è la curatrice Rachel Bonfil. “All’interno di questo percorso si cerca di esaminare l’unicità dell’Italia scrive Bonfil nel catalogo la scena politica che divenne il fulcro delle attività del Mossad LeAliyàBet, un’arena divenuta rifugio temporaneo per migliaia di sopravvissuti e campo di azione per la maggior parte dell’impresa di immigrazione dall’Europa dell’immediato dopoguerra. Lo scontro frontale con gli inglesi, che andava evolvendosi in Palestina e riecheggiava nelle strade d’Italia, fece da specchio al lavoro dell’Aliya intrapreso in Europa immediatamente dopo la guerra. La mostra cerca di raccontare quali furono le forze all’opera e le persone attive sul campo: la loro straordinaria, creativa e ribelle leadership, e coloro che furono a capo dell’impresa, Ada Sereni e Yehuda Arazi. La mostra cerca anche di descrivere le motivazioni, gli interessi e l’ideologia di fondo delle persone coinvolte, congiuntamente alle loro riflessioni e alle loro speranze. Il percorso racconta la storia dei sopravvissuti sullo sfondo del fragile e complesso incontro con lo Yishùv. Narra del primo incontro tra i sopravvissuti e i soldati ebrei, alla fine della guerra, come di un momento decisivo: i sopravvissuti descrissero i soldati con la Stella Ebraica sulle loro uniformi come degli “Angeli dal cielo” e messaggeri di salvezza. Nello storico incontro che ebbe luogo in una foresta ai piedi delle Alpi, nei pressi del campo della Brigata Ebraica a Tarvisio, fu ascoltata per la prima volta la voce dei sopravvissuti. Le loro testimonianze ispirarono i soldati ad agire, con il nobile obiettivo di trovare i sopravvissuti e trasferirli nei pressi dei porti dell’Italia meridionale”. “Sulla base di numerose testimonianze raccolte in Israele e in Italia prosegue Bonfil la mostra illustra la routine della vita quotidiana nei campi profughi e nei kibbutzìm in Italia. Il percorso racconta la storia dei rifugiati, il loro riadattamento alla realtà dopo la liberazione, il loro processo di riabilitazione fisica e mentale. Inoltre documenta i tentativi politici dei sopravvissuti alla Shoah di aprire le porte per la Terra Promessa. Viene esaminata l’importanza del loro ruolo in questo dramma umano svoltosi alle porte della Palestina e, in particolare, uno dei più importanti eventi della storiografia sionista: l’affare La Spezia”. Per scoprire la storia del coinvolgimento italiano, basterà dunque visitare il Memoriale della Shoah di Milano, che con questa esposizione celebra anche i 70 anni dello Stato d’Israele: uno Stato nato nel 1948 e costruito grazie anche a chi vi arrivò con l’operazione Aliyah Bet.