Orizzonti – Damasco studia le contromosse
Americani e russi duellano a colpi di tweet e dichiarazioni ma la reazione ai raid americani potrebbe arrivare dall’Iran e trascinare la Siria in una guerra aperta con Israele, tanto che ieri Vladimir Putin ha chiesto a Netanyahu di «non intervenire». Le forze di Bashar al-Assad e i consiglieri iraniani hanno continuato i loro spostamenti verso le basi russe meglio protette. E sono proprio questi movimenti a dare le indicazioni sul duello fra le due superpotenze e fra i loro alleati regionali. Oltre a essersi svuotati di aerei civili, i cieli siriani si sono svuotati anche di quelli militari. I jet e gli elicotteri d’assalto siriani sono stati spostati dalle basi nel centro del Paese a quelle russe vicino a Tartus e Lattakia. Mosca, e soprattutto Teheran, temono un’ondata di raid prolungata, in grado di annientare le forze aeree siriane e iraniane. Per questo l’ambasciatore russo in Libano, Alexander Zasypkin, ha avvertito ieri mattina sulla tv di Hezbollah Al-Manar che «se gli americani colpiscono, noi colpiremo le basi di lancio dei missili», navi e sottomarini. I media vicini al regime, come Al-Masdar, riferiscono che sono arrivati nelle basi russe alcuni Su-35 dotati di missili antinave Kh35. Ma è il fronte sciita in questo momento che spinge più di Mosca per il confronto aperto. Dopo le minacce a Israele arrivate dal consigliere di Ali Khamenei, Ali Akhbar Velayati, ieri è toccato all’imam iracheno Moqtada al-Sadr, che ha avvertito: «Non resteremo con le mani in mano se i nostri luoghi santi in Siria saranno minacciati». Vicino a Damasco c’è il santuario di Sayyida Zeinab. La sua difesa è stata una delle ragioni, e neanche l’ultima, dell’intervento prima di Hezbollah e poi delle milizie sciite irachene. Le stesse milizie hanno già minacciato di rappresaglie i soldati americani in Iraq, e anche nel Nord-Est della Siria, in caso di attacco americano. Washington teme soprattutto agguati con mine improvvisate, imboscate, sequestri. I soldati rapiti potrebbero essere usati come mezzo di pressione ma l’Iran ha altri strumenti di rappresaglia. In Siria, oltre a quattromila consiglieri dell’unità d’élite Al-Quds, ha trasferito una flotta di droni sempre più pericolosi. Erano l’obiettivo del raid israeliano di lunedì, sulla base T4. Nel bombardamento è morto anche il comandante, Hamed Rezaei. Rezaei aveva rafforzato il dispositivo in maniera impressionante. L’Intelligence israeliana, con l’aiuto dei satelliti, ha individuato nuovi velivoli, compresi il Mohajer, con un’apertura alare di 5 metri, e il Saegheh, capace di lanciare missili guidati. Velayati, ieri in visita nella Ghouta orientale appena riconquistata, ha minacciato di vendicare il «crimine israeliano». Lo Stato ebraico lo ha preso sul serio, teme un blitz con i droni e ha reagito con estrema decisione. «II regime di Assad e lui stesso spariranno dalle mappe se gli iraniani tenteranno di colpire Israele dal territorio siriano», hanno avvertito i vertici militari. «Non metteteci alla prova», ha aggiunto il premier. Putin ha chiamato Netanyahu e lo ha invitato a «non agire». Lo stesso raiss, secondo media arabi del Golfo, è in fuga verso un bunker segreto, anche se va detto che non ha mai lasciato Damasco, neppure quando i colpi di mortai dei ribelli cadevano accanto al palazzo presidenziale. L’attacco americano potrebbe quindi innescare una sotto-guerra, condotta da Israele per smantellare la presenza iraniana e impedire che la Siria diventi la «base logistica» di Teheran. Anche perché il blitz è destinato a seppellire l’accordo sul nucleare firmato da Barack Obama e inviso a Donald Trump quanto a Netanyahu. Una nuova ondata di sanzioni, sperano gli israeliani, metterebbe in ginocchio l’economia iraniana, già scossa dai venti di guerra, con il rial, la moneta locale, che si è svalutata del 20%, e la gente che fa incetta di oro, dollari e persino Bitcoin.
Giordano Stabile, La Stampa, 12 aprile 2018