“Leggi razziste, Memoria attiva perché l’orrore non si ripeta”
La stagione della solitudine. Liliana Segre, senatrice a vita e Testimone della Shoah, ricorda così le Leggi razziste del 1938. Ricorda l’indifferenza con cui nella sua Milano furono accolte quelle infami norme volute e preparate da tempo dal regime fascista. “Presto ho capito che le mie amiche non mi avrebbero più invitato alle loro feste; che il telefono sarebbe stato quasi sempre muto”, ha ricordato Segre alle autorità e ai ragazzi raccoltisi nelle scorse ore nell’aula magna dell’Università Cattolica per il convegno “A ottant’anni dall’emanazione delle leggi razziali: istituzioni e società per una memoria attiva”, promosso dalla prefettura di Milano. “Il silenzio dello Stato italiano fu assordante, una tara nella storia del nostro Paese. E i nostri giovani devono conoscere questa storia”, ha ricordato in apertura il prefetto Luciana Lamorgese, tra le autorità che hanno aperto il convegno che oltre alla senatrice Segre, ha visto gli interventi – moderati dal giornalista Ferruccio De Bortoli, presidente onorario della Fondazione del Memoriale della Shoah di Milano – del primo presidente emerito della Corte di Cassazione Giovanni Canzio, del ricercatore della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica Saverio Gentile e dello storico Michele Sarfatti. “Ottant’anni dopo l’Italia deve ancora fare un profondo esame del proprio passato, delle derive del regime fascista, dei processi celebrati e non, del contesto in cui oggi tali responsabilità si devono esplicitare. – le parole della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, intervenuta dopo, tra gli altri, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il rabbino capo della città rav Alfonso Arbib – La responsabilità di istituzioni preposte a tutelare anziché offendere, che operarono durante il fascismo e poi durante la guerra, vanno coraggiosamente esaminate per comprendere come nel loro agire abbinato si sia compiuto un processo persecutorio che avrebbe raggiunto il drammatico culmine della deportazione e dello sterminio, che chiama a precise responsabilità anzi tutto morali, oltre che legali. È una riflessione necessaria per meglio affrontare le sfide dell’attualità, anche di natura tecnico legale ma forse quella più emergenziale di tipo educativo e culturale. Di accoglienza sociale. Di vita”.
E una delle più pressanti sfide è quella di combattere gli indifferenti che, ha ribadito Segre, “sono più pericolosi dei violenti. “L’indifferenza – ha detto – è un male oscuro. C’è stata allora e regna sovrana ancora oggi. È una marea che avanza ma io non scappo più”. Non scappare e far sentire la propria voce contro l’antisemitismo è anche l’invito del rav Arbib. “Dobbiamo avere Memoria ma anche avere grande attenzione al presente: alle manifestazioni antisemite di oggi in Italia, Francia Gran Bretagna, è doveroso che le istituzioni e i cittadini europei si ribellino di fronte a questi segnali”. “Non esiste un razzismo moderato, – ha avvertito il sindaco di Milano Giuseppe Sala – quando si supera una certa soglia e ci si mette nel campo dell’intolleranza e della paura del diverso, si creano le radici di tensioni sociale e io vedo il rischio del superamento di questo limite”.
Sulle responsabilità della magistratura e del sistema giuridico si è soffermato poi il primo presidente emerito della Corte di Cassazione Canzio, che ha ricordato come il fascismo portò alla creazione di “uno Stato razzista e razziale”. Una segregazione e persecuzione voluta da Benito Mussolini, ha spiegato lo storico Michele Sarfatti, decostruendo una volta di più la leggenda del fascismo buono che avrebbe scelto la strada antisemita per compiacere Hitler. “Gli ebrei erano un gruppo troppo differente per far parte di uno Stato cattolicista, di una dittatura impegnata a negare i diritti, di uno Stato totalitario in costruzione”, ha ricordato Sarfatti, e le leggi razziste del 1938 – applicate scrupolosamente in tutta la Penisola e in tutti gli ambiti – ne furono una naturale conseguenza. “Cosa avremmo fatto noi di fronte a quell’orrore?”, l’interrogativo di De Bortoli. “Me lo chiedo spesso, cosa avrei fatto? Avrei aderito come la maggior parte degli italiani a quelle leggi?”. Domande che fanno il paio con quelle lanciate dalla presidente UCEI Di Segni: “Anche in un mondo totalmente diverso, nonostante tutto è verosimile che quanto accaduto possa accadere di nuovo? La Shoah, lo sterminio, le persecuzioni, le leggi razziste e senza cuore, la penetrante propaganda di odio cui parteciparono con piena consapevolezza istituzioni nel pieno esercizio dei loro poteri, potrà davvero accadere ancora? Qual è allora il campanello d’allarme? Quale il segnale che ne da chiaro avviso? Qual è l’indice di gravità per iniziare a dire no a una manifestazione, una marcia, una locandina, un seminario universitario, un assembramento, una proposta di legge, che hanno come obiettivo l’esplicitazione dell’odio?”.
Daniel Reichel