Storia – Militanza e orgoglio antifascista

foaAnna Foa / LA FAMIGLIA F. / Laterza

Se non fosse stato per il cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, questo libro della storica Anna Foa non avrebbe mai visto la luce perché l’autrice, quasi certamente, non sarebbe nata. Nella terribile estate del ’44 sua madre Lisa, staffetta partigiana incinta di lei, riuscì infatti a lasciare la prigione di Villa Triste – a gestirla era la famigerata banda Koch – grazie soprattutto all’intervento di Schuster: un alto prelato già filofascista trasformatosi, durante la guerra civile, in abilissimo negoziatore umanitario tra Cln, «repubblichini» e tedeschi. «Con ogni probabilità, gli devo la vita», scrive Anna Foa ricostruendo, con piacevole taglio narrativo, il proprio album di famiglia. Nonostante il frondoso albero genealogico, ne è scaturito un mosaico limpido ed essenziale, filtrato da un io non soverchiante (neppure quando, verso la fine, dedica un intero paragrafo al proprio «riavvicinamento all’ebraismo», negli anni Ottanta). I piemontesi Foa sono stati una grande famiglia antifascista. Una costellazione in cui brillano due stelle fisse, ossia i genitori di Anna, Vittorio Foa (1910-2008) e Lisa Giua (1923-2005), simbiosi tra ebraismo emancipato (lui) e laicismo democratico-socialista (lei). Ma altrettanto affascinanti sono alcune figure ormai dimenticate, specie del ramo Giua. Come non rimanere conquista, per esempio, dallo zio di Anna, Renzo, caduto a soli 23 anni durante la guerra di Spagna, volontario delle Brigate Internazionali? Oppure dal nonno materno Michele: chimico, docente universitario, estromesso dall’insegnamento e condannato a una lunga pena detentiva, fu l’unico a intuire sin dall’inizio la vera natura dello scrittore Pitigrilli (nom de plume di Dino Segre), infiltrato dell’Ovra che nel ’35 fece smantellare il gruppo torinese di «Giustizia e Libertà». Il vero spartiacque, perla famiglia Foa, è il 25 aprile 1945. Sino a quella data, i suoi principali esponenti sono depositari di un patrimonio di sobrietà, dedizione alla causa ed eroismo difficilmente eguagliabile. Vittorio Foa rievocherà l’«eccezionale felicità» del periodo della cospirazione e, benché il regime lo avesse espropriato della giovinezza, non reputerà mai perduti gli otto anni trascorsi in carcere. Non è un caso che il partito d’Azione – epitome dell’intransigenza antifascista – sia stato una delle bestie nere dei Longanesi, dei Montanelli e dei loro epigoni, camaleonti orgogliosamente «impuri». Dopo la Liberazione, passati dalla poesia della clandestinità alla prosa di una democrazia tutta da costruire, questa idea totalizzante della militanza sembra però smarrire la bussola, disperdendosi in mille rivoli spesso prosciugati dalla realtà. L’autrice traccia un quadro a suo modo impietoso dei frequenti riposizionamenti politici dei genitori, trasferitisi nel dopoguerra dall’austera Torino nella Roma ministeriale e gaudente: la città dove «la notte par di sentir ruggire leoni», come scrisse Carlo Levi nell’Orologio (1950), il più bel romanzo mai scritto sulla fine delle illusioni resistenziali. Il padre Vittorio, socialista ex azionista, entrerà nel sindacato (Cgil) senza peraltro rinunciare del tutto alla politica, attraversandodo po il Sessantotto una fase estremista, nonostante l’età non più verdissima. La madre Lisa, comunista anarchicheggiante, lavorerà per l’Associazione Italia-Urss, s’innamorerà della Cina di Mao per poi aderire a «Lotta Continua». il costante disaccordo tra Vittorio e Lisa su come declinare al meglio il comune impegno a sinistra sarà forse all’origine della loro tardiva separazione, verso il crepuscolo degli anni Settanta, quasi una metafora della crisi della stessa sinistra. Anche il fratello di Anna, il compianto Renzo, non sarà esente da qualche sbalzo d’umore: direttore dell’«Unità» all’indomani del crollo del Muro di Berlino, concluderà la propria carriera come editorialista del «Giornale» di Berlusconi, pur continuando a definirsi «uomo di sinistra». Del resto, nemmeno Anna è più la bambina che sognava di uccidere il generale Franco o l’adolescente barricadiera che biasimava la bandiera a stelle e strisce o la docente precaria che partecipava a lotte e occupazioni all’interno della propria università (la Sapienza). Oggi, pur senza rinnegare nulla del passato, è un’illustre collaboratrice dell’«Osservatore Romano».

Raffaele Liucci, Il Sole 24 Ore Domenica, 20 maggio 2018