Machshevet Israel – I volti del popolo

Cosimo Nicolini CoenQuando, oramai un po’ di tempo fa, lessi La famiglia Karnowski – ed. it. Adelphi, 2013 –l’aspetto che più mi colpì fu l’insistenza con cui l’autore, Israel J. Singer, ritornava sulle caratteristiche fisiche, in particolare del viso, dei diversi protagonisti. Complice la relativa voracità con cui lessi questo romanzo la sistematica attenzione al corpo mi apparve come filo conduttore del testo: dalla descrizione, nelle prime battute, delle caratteristiche somatiche della famiglia con frasi come “occhi e capelli di un nero carbone”, “nasi e lineamenti forti” sino alla contro-immagine della moglie non ebrea di Georg, che pare un inno alle decantate caratteristiche ‘ariane’. Ebbi la possibilità di parlare di queste impressioni con la traduttrice in italiano dallo yiddish Anna Linda Callow, di cui seguivo alcuni corsi in Statale. Callow nel confermare tali impressioni aggiunse che “tradurre quei brani così palesemente ossessionati mi metteva a disagio e mi domandavo che effetto avrebbero fatto sul lettore contemporaneo”. Dunque, nell’ossessione di Singer per le fattezze e i colori del viso non vi era che l’introiezione, evidentemente non scelta, dell’immaginario nazionalsocialista? Forse Singer diveniva, così, “un anello di riproduzione del cliché, ma un anello sofferto” – come si espresse Callow. Forse l’intento, più o meno consapevole, poteva essere quello di volgere in positivo gli schemi della propaganda quotidianamente subita dagli ebrei d’Europa. Le due letture non sono poi così distanti: è il passaggio, problematico, da una ricezione passiva ad una rielaborazione attiva. Analogamente è possibile rileggere il lavoro fotografico di Helmar Lerski – in mostra al mahJ (Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme) di Parigi e di cui si è parlato nella trasmissione La fabrique de l’histoire (https://www.franceculture.fr/emissions/la-fabrique-de-lhistoire/linvention-dun-etat-34-helmar-lerski-pionnier-de-la-lumiere) – nella Palestina del mandato britannico come tentativo di ribaltare due stereotipi, di differente natura, sul popolo ebraico. Il primo, politicamente trasversale, che vedrebbe gli ebrei quali soggetti meramente passivi; il secondo, quello nazista di cui si scriveva, che teorizza l’esistenza di qualcosa come una ‘razza ebraica’. Al primo stereotipo Lerski risponde mettendo in risalto, attraverso una serie di ritratti fotografici, i volti fieri dei soldati ebrei nelle file alleate. Al secondo Lerski risponde dedicando molti scatti ai volti degli ebrei yemeniti, già allora saliti in Erez Israel. Lerski subisce non soltanto nel corpo, nelle condizioni materiali, le persecuzioni, ma anche nella psiche. E Lerski, con quegli scatti, risponde: non già rifiutando l’epiteto di semita, ma rovesciandolo in positivo, riaffermandolo attraverso i volti di quella parte di popolo ebraico che più si avvicinavano, per così dire, ad alcuni stereotipi dell’immaginario nazista e i quali tuttavia – al contrario dell’ideologia nazista – più che confondersi con i volti dei correligionari d’Europa presentano delle somiglianze di famiglia con altre popolazioni semitiche, gli arabi. Del resto il moto di Lerski ricorre, analogamente, in altre figure e momenti del ritorno a Sion. Così in alcuni degli esponenti di Bezalel, dove le fattezze di patriarchi e matriarche ricalcano quelle di alcune fisionomie locali – che siano mizrahim o arabi – dove colori scuri e pelle olivastra divengono modelli positivi. Così, senza arrivare all’identificazione con gli ebrei yemeniti, nella celebre poesia di Rachel che desidera un figlio dai “riccioli neri” e “brunetto” (Sara Ferrari, 2014). Scuro e “Uri”, mia luce. A prima vista nella reiterazione di alcuni costrutti ideologici sembrerebbe riscontrabile una conferma della tesi – à la Sartre – per cui l’ebreo esiste, come tale, a partire dallo sguardo dell’altro. In effetti tale sguardo, nella costruzione di sé, pare inaggirabile. Tuttavia, nel confronto con la percezione altrui si consuma non solo una risposta, difensiva, ma anche un ritorno a sé, che prescinde dall’antisemita. Negli scatti di Lerski da una parte viene sconfessata l’idea nazista di ‘razza’ ebraica (le somiglianze di famiglia uniscono mizrahim e arabi…) dall’altra emerge come il ritorno a Sion sia ritorno a quell’oriente, a quel sé originario, costituito da concrete ascendenze, e, con Levinas, da esigenti ideali.

Cosimo Nicolini Coen