Oltremare – Polmoni
C’è una canzone israeliana che mi piace molto, una specie di dialogo telefonico fra un lui che vive da qualche parte nel mondo, lontano, e una lei israeliana che gli dice che fra di loro non c’è futuro, non ha senso che lui venga a trovarla, qui c’è il chamsin e la guerra, stai dove sei. Ma in realtà è semplicemente passata ad altro non è innamorata e usa le parti oggettivamente difficili di Israele per scoraggiare il poverino. Ecco, Israele è un po’ così, come il famoso sabra, il fico d’india che dà il nome a quelli che sono nati qui: bisogna superare parecchie spine per arrivare al frutto dolce. Per questo ci sono due categorie principali di persone che arrivano in Israele e probabilmente resteranno, o ritorneranno se sono turisti: quelli che hanno una fortissima motivazione, e quelli che la prendono parecchio, ma parecchio alla leggera. Per esempio un comico in bicicletta, che invece di venire a fare uno spettacolo sotto il nome di qualche grande organizzazione umanitaria, o NGO potente, ha preso quattro amici e ha passato il mare per venire qui a pedalare. Senza neanche il Giro d’Italia a fargli da sfondo – niente bandiere rosa e niente transenne a chiudere il centro di Tel Aviv. Paolo Franceschini è un ciclista seriale, comunque. Quindi il fatto che sia partito dal Mar Morto per arrivare al Muro del Pianto (o quasi), ed è una salita da 1200 metri di altitudine da lasciarci i polmoni parcheggiati a metà, va visto in prospettiva: l’anno scorso era con gli stessi polmoni sull’Himalaya e allora si vede che o ci crede, oppure semplicemente si diverte. E siccome l’arrivo dopo la seconda tappa, Gerusalemme-Tel Aviv, è stato in mezzo a Nahalat Binyamin, alla gelateria italiana Arte, propendo per la seconda ipotesi. Perché non me lo vedo un ciclista triste che all’arrivo si abboffa di gelato, per quanto tutto naturale e a scegliere bene anche vegano. Evviva i Paoli Franceschini, che vengono qui in queste lande arrostite dal sole e sbruciacchiate da Hamas, e si divertono: che è quello che facciamo anche noi locali, anche senza spolmonarci in bicicletta.
Daniela Fubini, Tel Aviv