Israele, Stato e nazione ebraica
Il Paese si interroga sulla legge

rassegnaLa legge fondamentale “Israele Stato – nazione del popolo ebraico” approvata ieri alla Knesset dalla maggioranza del governo guidato dal Premier Benjamin Netanyahu è al centro di una discussione sia all’interno di Israele sia a livello internazionale. La legge, approvata con il voto favorevole di 62 parlamentari su 120 totali, stabilisce che Israele è la “patria storica del popolo ebraico” e solo gli ebrei “hanno il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale”. Inoltre ridefinisce la lingua araba, passata da lingua ufficiale a lingua con uno status speciale. Il presidente israeliano Reuven Rivlin aveva criticato la norma – in particolare una clausola poi cancellata – perché temeva fosse interpretata in modo discriminatorio dall’opinione internazionale. E i quotidiani italiani seguono proprio questa interpretazione: Repubblica titola Israele è uno Stato solo ebraico, “Ma la legge è da apartheid”, utilizzando i virgolettati dei membri arabi della Knesset che hanno duramente attaccato la nuova legge. “Questo è il nostro Stato, lo Stato ebraico. Negli ultimi anni qualcuno ha tentato di metterlo in dubbio. Oggi lo abbiamo reso legge: questa è la nostra nazione, lingua, bandiera. È un momento decisivo”, ha dichiarato Netanyahu. Tra coloro che in Israele non condividono questa norma, c’è anche Benny Begin, storica figura della destra sionista, che ha scelto di astenersi ieri alla Knesset dopo aver criticato nelle settimane precedenti il progetto di legge (Sole 24 Ore). Per il giornalista Wlodek Goldkorn (Repubblica) la norma rappresenta un chiaro passo falso nei rapporti con la minoranza araba (che costituisce il 20 per cento della popolazione): “moltissimi arabi israeliani preferiscono essere cittadini dello Stato ebraico e non di un ipotetico Stato palestinese; e per questo con insistenza chiedono la parità dei diritti. – scrive Goldkorn – Come risposta, hanno avuto uno schiaffo da parte di un esecutivo di destra in mano ai fondamentalisti”. Tesi condivisa dallo scrittore arabo israeliano Sayed Kashua, da sempre critico delle politiche del governo Netanyahu, intervistato da Repubblica. “Arabi israeliani e palestinesi – spiega invece La Stampa – costituiscono circa la metà degli abitanti fra il Mediterraneo e la riva del Giordano (Israele, Cisgiordania, Gaza) e uno dei timori degli israeliani è di ritrovarsi un giorno in minoranza, il che spiega la volontà di ribadire il carattere ebraico dello Stato”.

“Torino sia città di dialogo e non di anatemi contro Israele”. La presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e il presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni, hanno incontrato ieri il sindaco di Torino Chiara Appendino e l’assessore ai Diritti Marco Giusta. Al centro dell’incontro la recente mozione sul conflitto israelo-palestinese approvata dal Consiglio comunale di Torino. “Guardiamo avanti. Quella mozione è buona solo per chi strumentalizza ma abbiamo riflettuto su quanto di positivo può fare il Comune con iniziative che, invece di condannare, mettano insieme le due parti”, la posizione della presidente UCEI e del presidente della Comunità torinese, riportate da La Stampa Torino. “Ritengo sia doveroso da parte nostra, mia e del Consiglio comunale di Torino – ha sottolineato Appendino – ascoltare le ragioni di tutti per poter portare un contributo utile alla costruzione di ponti di dialogo e all’abbattimento dei muri di odio e intolleranza. E in questa direzione, sono convinta, deve andare ogni nostro sforzo”.

Zuckerberg e la scelta di non fermare i negazionisti. Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg afferma che negare la Shoah è “profondamente offensivo” ma questo tipo di contenuti non va vietato sul suo social network perché “ci sono cose diverse che persone diverse capiscono in maniera sbagliata”. Immediate le reazioni che hanno obbligato l’ad del social network a chiarire: “Non volevo difendere le persone che negano la Shoah”. “Il problema più generale – scrive La Stampa – è che Zuckerberg non riesce ad accettare la responsabilità di Facebook per le opinioni a cui offre una piattaforma, come dovrebbe fare ad esempio un giornale”.

Ladispoli, toponomastica della vergogna. Il Comune di Ladispoli, sul litorale laziale, ha approvato una mozione per l’intitolazione di una piazza a Giorgio Almirante. Una chiara operazione provocatoria nata dopo la decisione del sindaco di Roma Virginia Raggia di annullare un mozione simile votata dal consiglio capitolino. Il sindaco di Ladispoli Alessandro Grando, diventato primo cittadino grazie alla lista Noi con Salvini e a Fratelli d’Italia, aveva infatti annunciato: “proporrò al consiglio comunale l’intitolazione di una piazza allo storico segretario Almirante. Alla cerimonia inviteremo anche la sindaca Raggi”. “Ancora pessimi esempi da parte di questa amministrazione – ha commentato Emanuele Pierini della direzione provinciale del PD – come possiamo raccontare alle future generazioni l’orrore del nazi-fascismo se poi dedichiamo piazze a chi ha partecipato a quella pagina buia della nostra storia?”.

Orban in visita in Israele. Il premier dell’Ungheria, Viktor Orban, più volte contestato in patria dalle comunità ebraiche locali per il suo atteggiamento rispetto all’antisemitismo, ha promesso “tolleranza zero” contro il pregiudizio anti-ebraico durante la sua visita in Israele. Ad accoglierlo il premier Netanyahu che lo ha lodato per il suo contributo alla lotta all’antisemitismo e lo ha ringraziato perla posizione filo-israeliana dell’Ungheria nella Ue. Il presidente Rivlin ha messo invece in guardia Orban sulla crescita del neofascismo (Corriere).

Daniel Reichel twitter @dreichelmoked