Sukkot, metafora del presente
Giorni di Sukkot, giorni di riflessione. Molteplici sono i motivi di autoanalisi, di introspezione che la festa ci suggerisce con i suoi complessi significati. Molteplici sono le domande e le risposte che essa può proporre a noi ebrei, ma anche alla società nel suo complesso.
Da un lato il senso di provvisorietà, di fragilità in cui oggi più che mai viviamo la nostra condizione di minoranza, alle prese con un presente ogni giorno più lontano dalle certezze che erroneamente davamo per acquisite come esito saldo di secolari persecuzioni e del progettato annientamento (la condanna naturale e diffusa dell’antisemitismo, per esempio); e alle prese con un futuro sempre più indecifrabile, in cui tutto ma proprio tutto sembra di nuovo possibile, anche le nere realtà che parevano sepolte per sempre.
Dall’altro, l’esigenza di un rifugio, di una “capanna” protettiva in cui ritrovare la nostra identità più vera e profonda, in cui difendersi e rispondere ai molti mali del mondo d’oggi (violenza, intolleranza, razzismo, vuoto culturale e conformismo di massa) alla luce della nostra cultura, fatta insieme di Chessed e di Mishpat, di misericordia e di giustizia, di impulso spirituale all’apertura nei rapporti umani e di costruzione giuridica e socio-politica. Esigenza forte anche per l’ebraismo italiano, spesso vivace eppure sempre a rischio di perdere consistenza anagrafica e senso di appartenenza: anche per noi ebrei italiani “trovarsi in Sukkà” può essere metafora di rinascita culturale.
Ma il bisogno di unione, protezione e concentrazione spirituale di cui la Sukkà può farsi simbolo non mi pare meno acuto nel mondo non ebraico. La fragilità della situazione mondiale in tutti gli ambiti (da quello ecologico a quello demografico, da quello dei mille violentissimi conflitti in corso a quello delle crescenti feroci violenze nei rapporti interpersonali, da quello delle ideologie nuovamente aggressive a quello del rifiuto viscerale dell’altro) può trasformare Sukkot in una metafora delle debolezze e dei bisogni dell’uomo contemporaneo.
E in questa simbologia un aspetto mi pare essenziale: la capanna deve rimanere sempre ampiamente aperta; niente rifiuti, niente chiusure, in un mondo che rischia di andare alla deriva. Un universo di differenze, ma un varco per tutti.
David Sorani