Pittsburgh, orrore in sinagoga
È di 11 vittime il bilancio dell’attentato alla sinagoga di Pittsburgh compiuto ieri mattina dall’estremista di destra Robert Bowers. Da Israele e da tutto il mondo numerosi i messaggi di cordoglio e vicinanza che stanno giungendo agli ebrei americani. “Siamo solidali con la comunità ebraica di Pittsburgh e con il popolo americano di fronte a questa violenza antisemita orribile” ha detto il Premier israeliano Benjamin Netanyahu. “L’odio negli Stati Uniti è terribile, qualcosa deve essere fatto” il primo commento del Presidente Donald Trump. Diverse voci, sui principali quotidiani, gli attribuiscono pesanti responsabilità per il clima di ostilità crescente (anche se per Bowers, l’inquilino della Casa Bianca sarebbe “controllato dagli ebrei”).
In una intervista con il Corriere, lo scrittore André Aciman sostiene: “L’antisemitismo è una realtà che in America esisteva anche prima, tuttavia restava nascosta. Ma Trump ha propagato e sfruttato l’odio. In questo è stato un genio, certo un genio malefico”. Afferma ancora Aciman: “Credo che il clima sia cambiato, la gente pensa di poter prendere ogni questione nelle proprie mani. La gente emarginata, senza lavoro, senza avvenire se la prende con i democratici, con gli ebrei, col primo che capita e si sente in diritto di esprimere un odio che nasce dalla profonda frustrazione”.
“Ora anche Trump finisce all’angolo” titola Repubblica. “Una spirale di violenza – scrive Federico Rampini in una sua analisi – trasforma gli ultimi giorni della campagna elettorale americana in un incubo. L’apprendista stregone Donald Trump aveva seminato vento per anni, improvvisamente raccoglie tempesta. L’ex candidato che incitava i suoi fan a picchiare i contestatori dei suoi comizi, il presidente che ebbe parole d’indulgenza verso i suprematisti bianchi, ora sembra più indispettito che turbato per quello che sta accadendo”.
Fiamma Nirenstein, sul Giornale, scrive invece: “È orribile vedere alla tv le immagini dell’esercito che armato fino ai denti occupa il quartiere, ma non è il primo né l’ultimo episodio di questo genere, venga da destra o da sinistra, se non ci si rende conto che questa guerra deve essere finalmente combattuta a nord a sud, nei Paesi avanzati e del Terzo Mondo, nei quartieri ricchi negli Usa, nelle banlieue parigine, nei quartieri di immigrazione a Bruxelles e a Londra, nelle palazzine dei movimenti di estrema destra o nelle stanze della sinistra che disegna gli ebrei come mostri col naso, i dollari, i missili”
“Sono all’incirca una cinquantina gli attentati contro cittadini e obiettivi ebraici compiuti negli Stati Uniti negli ultimi 50 anni, secondo quanto riportato in uno studio messo a punto da Community Security Service (Css)” spiega La Stampa. A destare particolare preoccupazione è oggi “il dilagare di fake news e attacchi politici online”.
“Un muro in mattoni interrotto da una parete vetrata. Al di là un binario conduce a un altro muro, sempre in mattoni, con un varco centrale, e a un altro muro ancora, al quale è appoggiata una scala. Di fianco una bicicletta. Intorno il verde brillante di un prato e in fondo un filare d’alberi”. È Il giardino che non c’è, il progetto che l’artista israeliano Dani Karavan ha pensato ispirandosi al Giardino dei Finzi-Contini e che sarà al centro di una mostra che si inaugura mercoledì al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, presentata oggi su Robinson di Repubblica.
Sul domenicale del Sole 24 Ore si celebrano i 100 anni dalla nascita di Alberto Vigevani, il grande editore scomparso nel 1999 cui l’Università degli studi di Milano dedicherà martedì una giornata di studio. “Lo scrittore-libraio che ‘catturò’ Hemingway” si dice di Vigevani, che nel ’38 fu costretto a interrompere gli studi per l’entrata in vigore delle Leggi antiebraiche.
Quale il contributo delle diverse minoranze nell’esercito italiano impegnato nella Grande Guerra? Se ne parlerà domani nel corso di un convegno che si svolgerà all’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza. “Secondo gli ultimi calcoli, furono almeno 5 mila gli ebrei che scelsero allora di combattere in trincea, con un tasso di partecipazione volontaria quasi doppio rispetto a quello degli altri italiani” scrive La Stampa.
Dopo averne parlato con il quotidiano israeliano Haaretz, Marcello Pezzetti racconta a Repubblica come fece cambiare il finale de La vita è bella a Roberto Benigni (il quale, sostiene lo studioso, spingeva per un finale senza l’uccisione del protagonista per mano nazista). Afferma Pezzetti: “Benigni mi presentò un finale del film in cui nessuno moriva nel campo di concentramento. Io gli dissi che dopo anni di studi non avevo mai trovato una storia di Olocausto con un happy ending”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(28 ottobre 2018)