Società – Le scuse inutili nel mondo che si nutre di odio

bidussaIntorno all’ottantesimo dell’introduzione della legislazione antisemita in Italia, più o meno coincidente con il settantacinquesimo della razzia nel ghetto di Roma, è avviata da tempo una riflessione pubblica che, probabilmente, avrà in autunno il suo momento culminante. Scrivo «legislazione antisemita » e non «legislazione razziale », perché il principio razziale in Italia non inizia con il manifesto della razza del luglio 1938, bensì con la legislazione che distingue italiani da sudditi dell’Impero all’indomani della guerra Italo–etiopica, ovvero a partire dall’estate 1936. Anniversario cui nessuno ha prestato molta attenzione. Segno evidente che con il razzismo in Italia i conti per davvero non si vogliono fare. Probabilmente intorno alla data del 15 novembre (ovvero la vera data dell’entrata in vigore della legislazione razziale con il Regio Decreto n.1779) il senso comune sarà quello di fare i conti con un passato. Io penso, invece, che quello che lì si aprirà sarà una nuova stagione generativa di un diverso futuro, a partire da un inquieto presente. Proprio per questo il principio che sta segnando, mi sembra, il complesso di questo anniversario nel linguaggio pubblico che è quello delle scuse pubbliche (a cominciare dalla giornata del 5 settembre scorso a San Rossore dove i rettori hanno chiesto scusa per le espulsioni e del proprio personale di ebrei), non esprime a mio avviso un percorso autentico di riflessione. Quello che abbiamo di fronte nel linguaggio corrente – ovvero nel linguaggio che corre nei media, nei canali sociali, nell’immaginario pubblico, non è il tempo delle scuse, ma quello della rivendicazione di una nuova propensione all’esclusione perché il senso comune dice che è «stato già dato troppo» e il tempo della disponibilità è terminato. Tempo che vede al centro della scena la forza e il ritorno in campo del pregiudizio cui si dovrebbe contrapporre una riflessione sulle pratiche culturali, per contrastare la diffusa disponibilità al complottismo. Altro elemento che riporta al centro e dà nuova opportunità a una mentalità che ha come livre de chevet I Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Una mentalità su cui l’Europa di Visegrád può insegnarci molto. Anche per questo quello odierno è un tempo in cui le scuse non hanno un senso e non producono né coagulano nessuna memoria collettiva. La scena delle scuse, anche quando sincera – come presumo sia stata quella avvenuta a San Rossore il 5 settembre scorso – cade nel silenzio di una società che si nutre di odio. Per questo sono inutili, perché non stabiliscono una differenza tra prima e dopo. Il dopo, ovvero il tempo presente, ora, insieme all’odio, si alimenta di rancore, un cocktail di emozioni non disponibile alla rivisitazione critica e autocritica del e sul passato. Un precipitato che non presume l’apertura e l’approfondimento di un percorso, ma la sua rapida archiviazione. In questo il segno di un passaggio di memoria. Intendo dire verso un’altra memoria.

David Bidussa, Pagine Ebraiche, ottobre 2018