Orizzonti – Le sanzioni Usa all’Iran per accelerare il cambio di regime
Dietro alle dichiarazioni ufficiali, le rinnovate sanzioni americane all’Iran vengono viste come l’arma più potente di una strategia finalizzata a provocare il cambio di regime a Teheran. È curioso però che le reazioni più tiepide, o persino negative, siano venute proprio dai falchi che in teoria dovrebbero appoggiare questa offensiva. Trump è sempre stato chiaro nella sua opposizione all’accordo nucleare firmato da Obama. Lo ha bocciato come l’intesa più stupida mai negoziata dagli Usa, perché in cambio di una provvisoria sospensione dello sviluppo delle armi atomiche, aveva consegnato agli ayatollah gli strumenti economici e politici per affermare la loro supremazia in tutto il Medio Oriente. La strategia del presidente è stata finalizzata ad interrompere questa avanzata iraniana, dalla Siria allo Yemen, rilanciando l’alleanza con Arabia Saudita e Israele. In questo quadro, la cancellazione dell’accordo nucleare era uno sviluppo naturale, nonostante il primo segretario di Stato Tillerson e il capo del Pentagono Mattis non fossero favorevoli, perché lo ritenevano utile a frenare le ambizioni atomiche della Repubblica islamica. Con l’arrivo di Mike Pompeo a Foggy Bottom, e soprattutto di John Bolton alla Casa Bianca come consigliere per la Sicurezza nazionale, questa strategia ha subito un’accelerazione. Brian Hook, ex direttore politico del dipartimento di Stato, ha ricevuto l’incarico di guidare l’Action Group costituito per gestirla. Ufficialmente Washington dice di non volere il cambio di regime, ma un profondo cambiamento nei comportamenti dell’Iran. Ha elencato dodici richieste per non rinnovare tutte le sanzioni, dichiarando che l’obiettivo è spingere gli ayatollah a firmare un nuovo accordo, che oltre ad impedire per sempre la costruzione delle armi nucleari, limiti anche lo sviluppo dei missili, e metta fine alle ingerenze destabilizzanti nella regione, a partire da quelle di Hezbollah in Siria. Molti analisti ritengono che ci sia in realtà la volontà di provocare il cambio di regime dal basso. Le sanzioni stanno già strozzando l’economia iraniana, e prima ancora di colpire la Guardia repubblicana, generano risentimento nella popolazione, la spingono alla protesta, e indeboliscono il governo del presidente Rohani. Ciò potrebbe favorire l’ascesa dei falchi, ma una nuova stretta aumenterebbe anche la rabbia popolare. In questo quadro l’Arabia svolge un ruolo fondamentale, perché tocca a lei aumentare la produzione petrolifera per compensare le mancate forniture iraniane, mentre la sfida si riaccende con l’Europa che attraverso il «veicolo» commerciale prospettato dalla commissaria Mogherini vorrebbe tenere in vita gli scambi e l’accordo nucleare. La cosa curiosa è che sono stati proprio i falchi a criticare i provvedimenti di venerdì, in particolare le esenzioni per otto Paesi, perché li considerano un cedimento. Bolton doveva fare una dichiarazione in tv, ma ci ha rinunciato, lasciando sospettare che non condividesse in pieno la sostanza dell’iniziativa. United Against Nuclear Iran, organizzazione bipartisan guidata dall’ex senatore democratico Lieberman, è stata anche più dura: «Che fine ha fatto la massima pressione? Il governo si è piegato. Alla grande». Il senatore Graham ha criticato la debolezza delle sanzioni, e il collega Cruz ha già pronta una proposta di legge per inasprirle. Ora sarà Trump, viste queste reazioni, a decidere se proseguire sulla strada intrapresa per arrivare a negoziare un nuovo trattato, oppure accelerare verso il cambio di regime.
Paolo Mastrolilli, La Stampa, 7 novembre 2018