L’Università di Torino e le leggi razziste

20181116_132137A Torino proseguono le iniziative legate al progetto “1938-2018. A 80 anni dalle leggi razziali”. Conferenze, istallazioni e mostre popolano gli spazi urbani, offrendo alla cittadinanza la possibilità di entrare in contatto con un capitolo spinoso della storia con modalità sempre più eterogenee. L’obiettivo: rivolgersi con mezzi e linguaggi differenti a più generazioni possibili.
Oggi tocca all’Università di Torino, che inaugura negli spazi del Rettorato “Scienza e vergogna. L’Università di Torino e le leggi razziali”, una mostra tesa a raccontare responsabilità e ambiguità nel rapporto del mondo accademico e dei singoli docenti con le politiche razziali della dittatura. Molte infatti furono le istituzioni pubbliche e private coinvolte nel processo discriminatorio che ne conservano una documentazione inequivocabile. La città è stata chiamata dunque a partecipare: coinvolti gli spazi museali, gli archivi i centri di ricerca, luoghi come il conservatorio e le biblioteche, fino ad alcuni licei del capoluogo. “Scienza e vergogna”, curata da Giacomo Giacobini, Silvano Montaldo, Enrico Pasini, in collaborazione con Paola Novaria, ha visto coinvolti in particolare l’Archivio Storico dell’Università di Torino e il Sistema Museale d’Ateneo.
L’allestimento, collocato presso la sala “Athenaeum” della biblioteca storica “Arturo Graf”, si raggiunge tramite l’imponente scalone che porta al primo piano. Ad ogni gradino è associato un nome di un docente universitario espulso dall’ambito accademico perché ebreo. Una sorta di pietra d’inciampo, che si snoda per 58 gradini dello scalone, perché 58 sono stati i professori cacciati, un primo percorso che accompagna il visitatore fin dentro la mostra.
A presentare il progetto durante la conferenza stampa il rettore dell’Università di Torino, Gian Maria Ajani, assieme al presidente del Consiglio regionale del Piemonte e del Comitato Resistenza e Costituzione, Nino Boeti, e al presidente della Comunità rbraica di Torino, Dario Disegni.
L’inaugurazione ufficiale della mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al prossimo 28 febbraio, ha preso il via con l’intervento di Fabio Levi, docente di storia contemporanea dell’Università di Torino e direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi. Spazio poi alla conferenza tenuta da Alberto Piazza, presidente dell’Accademia delle Scienze. A seguire la visita effettiva della mostra, a cura di Silvano Montaldo.
Tra gli obiettivi della mostra, esprimere la consapevolezza del drammatico e ambiguo rapporto che l’Ateneo torinese ebbe con questo momento cruciale della storia del nostro paese. L’Università di oggi affronta il suo passato e risponde con il linguaggio che meglio conosce: la didattica, sotto forma di rappresentazioni e istallazioni, che insieme creano un percorso espositivo di immersione nella realtà tra il 1938 e i primi anni della ricostruzione post bellica. Si inizia dai documenti storici che ricostruiscono il quadro normativo e prescrittivo, applicato dai vertici dell’Ateneo, i quali diedero il via a espulsioni, sostituzioni, emarginazione, per ubbidire alle decisioni governative. Accanto ai documenti, alcuni testi scientifici dedicati alla questione razziale che molto animarono il dibattito di quegli anni, dopo avergli conferito autorevolezza. Lo spazio centrale dell’esposizione ripercorre le vicende degli espulsi: oltre ai docenti, vengono ricordati anche coloro che si trovarono dall’altra parte della cattedra, e cioè gli studenti ebrei cacciati dalle scuole. Voracità e connivenza utilitaristica: questo è quello che emerge dei colleghi che non esitarono a prenderne il posto, esclusi i pochi che si opposero al giuramento al Fascismo. La mostra si chiude infine con un tributo agli studi di alcuni di quei 58 docenti. Una presa di coscienza, un’ammissione di responsabilità, un invito allo studio, al documentarsi, nella speranza che i molti visitatori che saliranno quei gradini acquisiscano almeno in parte una conoscenza storica prima e una coscienza civica poi.

Alice Fubini