Antisemiti lombardi

anna segreUn lombardo arrogante e prepotente, che se la prende soprattutto con i deboli (fino al punto di entrare in urto con chi nella Chiesa li difende) e non ama essere contrariato, che ha tra i suoi seguaci anche persone decisamente violente, per il quale le leggi scritte sembrano non aver valore, se non nella misura in cui possono essergli utili, e, oltre a tutto questo, pare sia anche un po’ antisemita. Ma le cose non andranno sempre secondo i suoi piani, e gli alleati su cui contava, dopo molte vicende tormentate e molti dubbi, finiranno per collaborare con i suoi avversari.
Sto parlando, naturalmente, di Don Rodrigo, uno dei personaggi più famosi della letteratura italiana. Se la mia descrizione ha creato qualche equivoco (li avrei fugati se avessi aggiunto che ha un debole per le ragazze giovani, o avrei creato ulteriori equivoci?) forse è perché non è molto noto il suo antisemitismo. In effetti non si tratta del Don Rodrigo dei Promessi Sposi, ma di quello del Fermo e Lucia, il primo abbozzo del romanzo manzoniano: in quel testo quando Don Rodrigo si reca dal Conte del Sagrato (quello che poi nei Promessi Sposi diventerà l’Innominato) per chiedergli di rapire Lucia, il Conte accetta ma gli comunica che l’impresa gli costerà duecento doppie; il signorotto, tra sé, riflette sulla cifra: “Diavolo! questo capriccio mi vuol costare! Che Ebreo!”.
Nella versione definitiva dei Promessi Sposi Manzoni ha eliminato l’intera scena, e di conseguenza la riflessione di Don Rodrigo, i cui pregiudizi antisemiti non trovano più spazio nel romanzo. E ha fortemente attenuato anche un’altra frase antisemita pronunciata dal mercante che in un’osteria sta raccontando i tumulti di Milano: nel Fermo e Lucia questi aveva definito “ebrei” i più facinorosi, che volevano bruciare la casa di un fornaio nonostante la presenza di un grande crocifisso (“ma quando videro che tutti gli altri non erano ebrei com’essi, dovettero tacere”); nella versione definitiva del romanzo la frase diventa: “ma visto che la gente non era del loro parere, dovettero smettere”; è vero che poche righe prima il mercante aveva paragonato le facce dei violenti a quelle dei “giudei della via crucis” (unica ricorrenza del termine “giudei” in tutto il romanzo), ma si tratta, appunto, di una similitudine, e per di più riferita ai personaggi di un rito più che agli ebrei reali.
Nei Promessi sposi le parole “ebreo” ed “ebrei” mancano del tutto. La loro presenza nel Fermo e Lucia mi porta a sospettare che Manzoni li abbia tolti consapevolmente. Perché? In fin dei conti Don Rodrigo è un personaggio del tutto negativo; il mercante – lo stesso che descrive Fermo/Renzo come uno dei più violenti capi dei tumulti di Milano – chiaramente non è attendibile. Difficile supporre che un lettore possa fare propri i loro pregiudizi. Eppure le parole pesano, chiunque sia il personaggio che le pronuncia: le frasi famose della letteratura – e più che mai quelle dei Promessi sposi – vengono ripetute continuamente, suonano familiari, entrano nel nostro lessico abituale. Forse Manzoni non ha voluto far risuonare nella testa dei lettori il termine “ebreo” usato in senso spregiativo.
Sarebbe molto bello se altri lombardi condividessero lo stesso senso di responsabilità e non lasciassero che la parola “ebreo” usata come insulto circoli liberamente nei loro raduni senza che nessuno senta la necessità di prendere le distanze o di scusarsi.

Anna Segre