Emergenza e democrazia

claudio vercelliLe scelte hanno sempre una valenza politica. Da questo punto di vista, non esiste una neutralità della scienza e, ancora meno, della tecnica. Cerchiamo di capirci, non trattandosi di un profilo ideologico bensì civile: la non neutralità sta nel fatto che scegliendo, inevitabilmente, si privilegiano certuni a scapito di altri. Poiché non solo le risorse disponibili non sono infinite ma il modo di ripartire è in sé diseguale. In origine e nei suoi successivi sviluppi, attraversano la storia dell’umanità. Questo discorso può piacere o meno ma è un dato di fatto: a ordinare le relazioni, gli scambi, i rapporti nelle nostre società sono le diseguaglianze. Non solo economiche e materiali ma anche culturali, come di altro ordine. Un esempio: tra il cittadino che può delegare al web tutta una serie di attività che precedentemente doveva svolgere altrimenti di persona, spendendovi tempo e risorse aggiuntive, ed un altro che invece non è in grado di farlo (magari per il «digital divide»), ci sono differenze di possibilità e di opportunità non da poco. Lavorare con l’home banking è cosa radicalmente diversa dal fare quasi quotidianamente la coda alla posta per pagare una bolletta di pochi euro. Così come si mantiene, ed anzi si corrobora, una differenza – che si fa poi incolmabile – tra chi conosce le cose, ovvero riesce a capirne il senso, comportandosi di conseguenza, e chi presume di averle capite – in genere senza troppo sforzo – quando invece ne è ne rimane, a volta anche volontariamente, all’oscuro. Un tale fenomeno si chiama analfabetismo di ritorno e riguarda tutta la sfera delle funzionalità nelle relazioni umani rispetto agli altri da noi. Con buona pace delle retoriche dell’«uno vale uno», ossia di un’infinita interscambiabilità di ruoli, funzioni e condotte che, invece, esiste solo nelle fantasie di qualcuno (che così dicendo e facendo, in genere ha due obiettivi: nascondersi dietro ad un paravento per praticare indisturbato i suoi interessi, a scapito di quelli collettivi; celare la propria inettitudine, la sua incapacità di capire cosa stia succedendo, facendo il richiamo ad un moralismo becero e deleterio, nonché piegando il principio dell’uguaglianza a quello dell’uniformazione). La democrazia ha un carattere delegato e partecipativo. In poche parole, si basa sul duplice assunto che i poteri siano esercitati su delega ottenuta da una collettività chiamata «popolo» il quale, proprio perché esercita una tale funzione di remissione alle sue prerogative sovrane (lo scegliere da sé, cosa impossibile in società di ampie dimensioni, dove la decisione finale non può essere il prodotto di un plebiscito permanente, ossia la somma quotidiana di un numero infinito di volontà individuali), consegnandole a figure delegate – il governo, il parlamento, l’articolazione istituzionale dei poteri legali ed altro ancora –, al medesimo tempo partecipa agli indirizzi di fondo della comunità di cui è parte per quel tramite che è la delega medesima. Tutto questo, che ha il sapore di un qualche accademismo, è tuttavia cornice essenziale dei rapporti che ogni giorno intratteniamo con i nostri simili. Senza questo “frame”, le società andrebbero in frantumi, come quelle delicate porcellane quando sfuggono dalle mani di coloro che le stanno toccando. Quanto la democrazia, tanto più in una società complessa qual è la nostra, fatta di un’infinità di relazioni continue legate all’informazione e ad una incredibile velocità di trasmissione dei dati, possa rispondere alle emergenze, è un problema aperto. La vicenda in corso dell’emergenza dettata dal Covid-19 è un banco di prova al riguardo, poiché chiama in causa molti aspetti tra i quali il rapporto tra viralità (la condizione di accelerata trasmissione di dati ma anche di micro-organismi, senza filtri efficaci) e tempi della decisione politica; tra comprensione collettiva del reale stato delle cose e adeguamento delle proprie condotte individuali (soprattutto quand’esse implichino delle costrizioni che incidono sulla nostra esistenza quotidiana, a partire da aspetti decisivi legati agli affetti, all’economia e così via); tra consenso alle restrizioni e mantenimento della fiducia nelle istituzioni. Ad onore del vero le questioni sono così tante da non risolversi solo in queste. Ma il catalogo è già abbondantemente assortito per continuare a citare altri aspetti, pur fondamentali. Il tema di fondo, che vale non solo per la politica e l’economia ma per tutti i campi dell’umano, è come si gestisce quel capitale sociale straordinario, senza il quale non c’è alcun futuro, che è la «fiducia». La quale è uno stato di aspettative per cui ognuno di noi ha una certa idea di prevedibilità, di consequenzialità, un’aspettativa di legittimo riconoscimento e soddisfacimento nella sua identità, nei suoi bisogni, nel suo essere cittadino. L’emergenza è sempre una condizione estremamente delicata poiché, spezzando la continuità della vita quotidiana, chiama in causa un insieme di reazioni, individuali e collettive, personali ed istituzionali, che dovrebbero porre rimedio se non al danno che da ciò deriva almeno ad un percorso di riduzione dei suoi effetti negativi. Quindi, chiama in causa proprio la fiducia, il patto di reciproca lealtà tra cittadini ed istituzioni. Il dichiarare, a volte quasi con compiacenza, che le dittature sarebbero migliori delle democrazie, è indice non di una preferenza politica ma della più assoluta incapacità di pensarsi come in grado di fare fronte, a partire da se stessi, alla nuova situazione che l’emergenza ha generato. Invocare la soppressione della delega consapevole (democrazia) a favore di un potere illimitato (dittatura), poiché solo quest’ultimo saprebbe per davvero decidere, con la dovuta volitività e nell’interesse comune, vuole dire non solo essere ottusamente incoscienti ma decidere per se medesimi che non si intende contare più nulla, cercando ancora una volta, la protezione paternalistica e padronale, inoltre liberandosi di qualsiasi residuo spazio d’azione. Salvo poi rendersi conto di cosa ciò comporti quando dovesse essere troppo tardi. Non è astratta teoria, è dato storico inoppugnabile, che si proietta sul nostro presente e sull’immediato futuro. Anime belle quelle che cercano, attraverso la scappatoia (la dittatura ne è un esempio ma non di certo l’unico), il talismano per la propria inettitudine, l’esorcismo per la paura alla quale non sa quale nome dare.

Claudio Vercelli