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L'Unione informa
 
    7 dicembre 2008 -  9 Chislev 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Benedetto Carucci Viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino 
Interessante, articolato e profondo il discorso di S. Ambrogio del cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano; del tutto condivisibile nella richiesta e nella necessità di porre al centro della riflessione - non solamente religiosa - il dialogo, l'incontro tra un io ed un tu. E' realmente costitutiva dell'io la relazione con il tu ed è puntuale la citazione del cardinale quando nota che l'umanità di Adamo nasce solo dopo la comparsa di Eva: egli è ish quando c'è una ishà, non prima. Ma ancor prima il testo ci suggerisce la sostanzialità della comunicazione, e dunque della relazione e del dialogo, quando ci parla della creazione stessa dell'uomo. La traduzione aramaica della Bibbia rende l'espressione "essere vivente" di Genesi 2, 7 con "spirito parlante". Questo è l'essere umano, nella sua identità originaria dotato di quello strumento dialogico che lo caratterizza e lo distingue. Sconcertano dunque le reazioni scomposte ed intolleranti - che sembrano nascondersi strumentalmente dietro il timore della violenza - a questo beldiscorso ed alle giuste richieste di luoghi di culto per tutte le religioni. 
Ieri, a Berlino, l’Europa democratica ha dato un segnale della sua esistenza. C’erano Nicolas Sarkozy, Lech Walesa, Angela Merkel e il Dalai Lama. L’Italia non c’era. Era troppo impegnata a garantirsi il consenso interno con 120 milioni di euro. Una somma che comunque nessuno ha mai pensato di destinare così celermente alla ricerca scientifica o alla riqualificazione del nostro sistema scolastico.Non so se il futuro può attendere. In ogni caso, da molti punti di vista, sembra che non ci riguardi.  David Bidussa, storico sociale delle idee David Bidussa  
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  Renzo Gattegna Una boccata d’ossigeno
per le piccole Comunità ebraiche

Un patrimonio umano e culturale prezioso che nel giro di pochi anni rischia però di essere vanificato dal calo demografico. Il futuro delle piccole Comunità ebraiche, che costituiscono tanta parte dell’ebraismo italiano, si gioca su queste due opposte polarità, tra la vitalità dell’oggi e la minaccia di un prossimo declino. Ma se nulla si può fare per contrastare il decremento delle nascite e il parallelo invecchiamento degli iscritti, molto invece è possibile sul fronte delle relazioni e dell’organizzazione comune. Questo il messaggio lanciato oggi dal presidente dell’Ucei Renzo Gattegna in occasione del Moked, l’incontro dell’ebraismo italiano in corso in questi giorni a Parma. Una Comunità minuscola, una cinquantina scarsa di ebrei, location ideale per capire i modi e gli strumenti per restituire ossigeno ed energia alle tante microrealtà ebraiche italiane oggi in affanno.
Presidente Gattegna, qual è oggi la situazione delle piccole Comunità ebraiche?
Sono accomunate da un dato che continua a stupirci. Esprimono infatti tutte vitalità e capacità notevoli. Ma troppo spesso queste caratteristiche sono fondate su singoli individui che assommano su di sé tutte le competenze. E’ un aspetto ammirevole che allo stesso tempo è però motivo di forti preoccupazioni per il futuro.
Il rischio è che venga a mancare il ricambio generazionale.
Il problema centrale è di tipo demografico. Nei piccoli centri vi sono Comunità che oggi combattono per la sopravvivenza, in cui gli iscritti invecchiano e passano anni senza che vi sia un matrimonio o nasca un bambino mentre i pochi giovani si allontanano verso situazioni che offrono migliori opportunità di vita ebraica o di lavoro.
Sembra un processo irreversibile.
E’ un aspetto su cui non si può certo intervenire. Vi sono però altre prospettive da cui la questione può essere affrontata. Per questo due anni fa l’Ucei per la prima volta ha affidato a tre consiglieri – Federico Steinhaus, Gadi Polacco e Fabio Norsa – l’incarico di mantenere i contatti con le piccole Comunità così da recepirne le istanze e risolvere eventuali problemi di funzionamento. E’ una decisione che di per sé non può risolvere situazioni di crisi. Ma può contribuire ad evitare che si disperda l’immenso patrimonio culturale rappresentato dalla piccole realtà.
Cos’è stato fatto in questi due anni?
C’è stato uno scambio molto più intenso del passato, attraverso contatti, viaggi, incontri. Personalmente ho visitato quasi tutte le piccole Comunità conoscendone i dirigenti. Questo ci ha permesso di conoscere in modo più diretto e partecipato le diverse situazioni.
Da questi scambi sono emerse nuove prospettive?
Una via per evitare dispersioni di risorse, sia umane sia economiche, potrebbe passare attraverso una razionalizzazione della struttura. Un articolo dello statuto Ucei prevede, da oltre dieci anni, che le Comunità possano consorziarsi così da mantenere servizi culturali e amministrativi che soddisfino un ambito più ampio, ad esempio regionale. Si tratta di una decisione che va assunta dalle stesse Comunità e che non può certo partire dall’Ucei. In ogni caso, per facilitare eventuali processi aggregativi, in vista del prossimo Congresso stiamo preparando una commissione per la riforma dello statuto.
E in attesa di possibili consorzi su base regionale?
Da tempo siamo impegnati nella costruzione di una rete di scambi capace di andare al di là della dimensione comunale in cui vivevano tante piccole Comunità. Per questo è stato messo a punto un progetto informativo che mantiene uno stretto dialogo con le diverse realtà attraverso la newsletter e la rassegna stampa spedite ogni giorno agli
iscritti e il portale moked. Quest’ultimo non è uno strumento d’informazione a senso unico. Ma prevede la partecipazione in forma diretta delle diverse Comunità che possono gestire il loro sito in prima persona e in forma autonoma, contribuendo anche all’informazione nazionale. E’ un modo di combattere la solitudine delle realtà più
piccole e di costruire insieme nuovi contributi. Intanto avanza il progetto per mettere in comunicazione in tempo reale tutte le Comunità italiane attraverso una rete informatica che oggi consente di mettere on line le lezioni del Collegio rabbinico e domani permetterà videoconferenze, riunioni a distanza ed esperienze didattiche tra le diverse
scuole ebraiche.
Il futuro potrebbe dunque vedere nell’ebraismo italiano una minore frammentazione della vita e delle relazioni.
La speranza è questa. Ma al tempo stesso dobbiamo puntare alla sprovincializzazione e all’allargamento dei nostri confini. L’ebraismo italiano è una realtà molto ridotta dal punto di vista numerico che deve coltivare collegamenti e scambi, oggi ancora scarsi dal punto di vista istituzionali, con le Comunità ebraiche europee e statunitensi e con
Israele. Credo sia questa una delle vie principali per rivitalizzare il nostro tessuto e proiettarci davvero nel futuro.

Daniela Gross 
 
 
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  Daniel SegreFaccia a faccia con il sionismo
Intervista a Daniel Segre
 

"Israele è una parte di me". "Io non potrei mai viverci, lo farei soltanto se ritenessi in pericolo la mia vita qui...". Parte da queste due opinioni contrapposte il dialogo che, nella prima serata del Moked, ha visto i partecipanti confrontarsi con Daniel Segre, sul loro rapporto con Israele e sui significati del sionismo oggi. Segre, organisational coaching israeliano che svolge la propria attività a Gerusalemme, apre con una domanda un po' provocatoria "Che cosa è Israele per te?". Dapprima qualche timido intervento poi a poco a poco quasi tutti intervengono con il desiderio di far sentire il proprio parere di dar voce ai propri ricordi, alle proprie esperienze, al proprio vissuto. "L'intenzione che avevo - dice Dan Segre - era tirare fuori la percezione che ciascuno ha di Israele prima delle conferenze dei prossimi giorni, il mio lavoro inizia sempre così: faccio una domanda e parlo di me stesso, in questo
modo le persone si sentono a proprio agio, quando racconti qualche cosa di te anche gli altri sono più disposti ad esprimersi ".
Daniel che cosa è Israele per te?
Io a 19 anni ho deciso esattamente che cosa dovesse essere Israele per me, ho preparato le valige e sono partito. La mia vita è divisa in due parti: i primi 18 anni li ho vissuti in Italia e gli altri 38 anni in Israele, ho trascorso dei periodi all'estero per lavoro, ho viaggiato molto, ma la mia casa, la mia vita è in Israele.
Hai un modello preordinato nello svolgere un'attività con un gruppo?
Per me è sempre un'incognita, la mia aspettativa è quella di sentir raccontare. Devo essere attento a quello che le persone dicono, mostrare loro interesse, e non perdere ma non sempre è necessario che io intervenga, sono le persone che via via iniziano a parlare, il mio compito è di fare in modo che non si disperdano, che la conversazione non prenda direzioni sbagliate, in questo caso devo intervenire per riprendere i fili del discorso. A volte si creano situazioni d’antagonismo, anche nei miei confronti, l'importante è non mettersi sulla difensiva, ma saper ascoltare anche le critiche sono necessarie...
Quale dote ci vuole per svolgere questo lavoro?
Ci vuole molta trasparenza, bisogna essere in grado di mettersi in gioco, alcune volte è stancante perché richiede un alto grado di concentrazione, ma le soddisfazioni sono molte.
Quali aspettative hai quando svolgi una delle tue attività?
Io non ho altra aspettativa se non quella che la gente venga con la propria storia. Un'altra considerazione interessante da fare è il fatto che non ci sono molte opportunità di scambiarsi delle idee in una forma ordinata, quindi se c'è uno spazio ordinato in cui parlarsi con delle regole le persone tendono ad aprirsi.

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La nuova Europa ha un cuore nero
A Budapest sfilano in centro indossando l'uniforme nera, sventolano i gagliardetti delle Croci frecciate alleate di Hitler, giurano di salvare la patria dagli zingari, dal capitalismo e dagli ebrei. A Praga contattano ogni giorno i loro camerati tedeschi della Npd neonazista, e spesso affrontano la polizia in violenti scontri di guerriglia urbana. A Bratislava il loro partito è addirittura al governo, partner preferito dei democristiani per formare una coalizione dal premier socialdemocratico-populista Robert Fico. Europa centrale, inverno 2008: mentre il più importante dei nuovi membri dell'Unione Europea, la Polonia, è una solida democrazia […] in altri tre paesi membri della Ue, tre giovani democrazie risorte dopo mezzo secolo di comunismo e di colonialismo sovietico (Ungheria, Repubblica Cèca, Slovacchia), il neonazismo non è più solo uno spettro, né la minaccia violenta di minoranze arrabbiate ma marginali: è realtà quotidiana, è un modo di pensare che si diffonde nei salotti buoni, è una forza politica che ha imparato a sfidare la libertà sia con la violenza di piazza sia con successi elettorali e coalizioni.
Diciannove anni dopo la caduta della Cortina di ferro, quelle tre giovani democrazie appaiono infettate da una voglia di ordine diventata mostro. E il mostro è un virus contagioso […].
Andrea Tarquini – La Repubblica – 7 dicembre 2008

Il manifesto della razza e chi lo firmò

[…] Ho chiesto l'opinione del prof Emilio Gentile, tra i maggiori storici del fascismo, formatosi alla scuola di Renzo De Felice e George Mosse. Tento di riassumere, in modo di necessità sommario, il suo parere: i professori che firmarono il Manifesto della razza vennero tutti reintegrati dopo la fine del Fascismo, alcuni per amnistia altri
perché sostennero che la firma era stata carpita tradendo la loro buona fede. […]
Anche coloro che (a loro modo) ritrattarono, lo fecero non perché dissentissero dal razzismo fascista ma solo per la qualità delle motivazioni per dire così scientifiche contenute nel Manifesto. Dopo la guerra si verificò l'assurdo che professori ebrei a suo tempo allontanati dalla cattedra, si ritrovarono all'università in soprannumero accanto a
coloro che avevano contribuito a farli espellere. La stessa legislazione antisemita venne abrogata con lentezza anche perché le alte gerarchie cattoliche in un primo tempo si dissero contrarie ad eliminare tutte le leggi contro gli Ebrei emanate durante il fascismo.
[…]
Corrado Augias – La Repubblica – 7 dicembre 2008

 
 
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Olmert, "un pogrom ebraico contro gli arabi"                                  
Gerusalemme, 7 dic
"In quanto ebreo mi vergogno dopo aver visto ebrei che sparano verso arabi a Hebron (Cisgiordania). Non ho altra definizione che quella di 'pogrom'. Noi siamo figli di un popolo che sa bene cosa siano i 'pogrom'. Dico questo dopo aver riflettuto a lungo. Non c'é altro modo di definire quanto è accaduto".
Il premier israeliano Ehud Olmert, ha stigmatizzato così in sede di consiglio dei ministri gli scontri avvenuti giovedì a Hebron dove reparti scelti della polizia israeliana avevano sgomberato centinaia di coloni-ultras barricati in un edificio di quattro piani, la cui proprietà è ancora contesa.
Dopo lo sgombero a Hebron e in Cisgiordania si sono registrati estesi tumulti un cui - secondo fonti palestinesi - coloni estremisti hanno attaccato e ferito decine di palestinesi appiccando il fuoco a diverse abitazioni e automezzi. Con il passare dei giorni gli scontri sono diminuiti ma non mancano le aggressioni. ieri a Hebron
estremisti ebrei hanno dato fuoco ad una casa araba. Oggi a Gerusalemme un palestinese è stato ferito a coltellate in una rissa con giovani ebrei.
Intanto sono stati arrestati due coloni che giovedì hanno aperto il fuoco da distanza ravvicinata contro un gruppo di palestinesi. I due hanno detto di aver agito "per legittima difesa", dopo essere stati assaliti.

 
 
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L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
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