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    10 dicembre 2008 - 13 Chislev 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  AlfonsoArbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
La parashà di Vayetzè è setumà, cioè mancante di quelle interruzioni nella scrittura tradizionale che servivano a permettere una riflessione sui vari punti della parashà stessa. Secondo R. Chaim Shmuelevitz questo avviene perché questa parashà va letta tutta d'un fiato senza soffermarsi sui particolari. E' una consolidata abitudine ebraica approfondire ogni particolare. A volte, però, è necessario andare oltre i particolari e provare ad avere uno sguardo d'insieme. In questa parashà nascono tra peripezie, inganni e drammi i dodici
figli di Ya'akòv che daranno origine al popolo ebraico. Solo guardando la parashà nel suo complesso possiamo apprezzare l'evento straordinario della nascita di un popolo.
Cambia il volto della Lincoln Square, dove sorge il Teatro dell'Opera di Manhattan. La Lincoln Square Synagogue, roccaforte dei modern-orthodox, cambia casa lasciando lo storico edificio all'angolo della 70° Strada per spostarsi due isolati più a Sud, dove la congregazione di rav Robinson avrà una sede nuova di zecca. Al posto del vecchio edificio sorgerà una "Casa Italiana" la cui ambizione è di diventare un hub culturale del Bel Paese nella Grande Mela. Molto presto modern-orthodox americani e artisti italiani saranno vicini di casa. Maurizio
Molinari,

giornalista
Molinari  
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  cimitero BENI DA SALVARE 1 –  L'impegno
per un patrimonio insostituibile


La crisi economica e la necessità di risanare le risorse pubbliche rischiano di ridurre l'attenzione nei confronti di un patrimonio culturale prezioso e insostituibile. Testimonianze antichissime, sinagoghe, reperti, cimiteri, altri edifici e creazioni architetturali e artistiche che hanno accompagnato la storia bimillenaria degli ebrei in Italia (nell'immagine l'antichissimo cimitero ebraico del Monte Cardeto, che risale al XV secolo, affacciato sull'Adriatico dal Conero di Ancona e recentemente risistemato) e appartengono al patrimonio artistico del Paese hanno bisogno di cura, di manutenzione e di restauri. Un taglio limitato, ma in ogni caso significativo ai finanziamenti destinati al recupero di questi beni rischia di ridurre la potenzialità di leggi che negli anni scorsi avevano dimostrato una efficacia straordinaria e hanno consentito di restituire all'Italia elementi importanti del tesoro culturale che gli ebrei italiani hanno realizzato.
Nel 2009 i finanziamenti previsti per interventi conservativi e di restauro del patrimonio culturale architettonico e archivistico ebraico saranno ridotti circa del 25 per cento. Una contrazione comprensibile, vista l'esigenza del Governo di intervenire sui conti pubblici. Ma in ogni caso un segnale su cui vigilare con attenzione. Una situazione che non poteva sfuggire  a molti parlamentari dei due schieramenti, fra cui Alessandro Ruben, Fiamma Nirenstein  ed Emanuele Fiano, che nella seduta parlamentare del 13 novembre sono intervenuti per chiedere all'Esecutivo un impegno chiaro per  assumere le iniziative opportune alla salvaguardia del patrimonio culturale ebraico.
Con legge 17 agosto 2005 numero 175, infatti, era stato stabilito lo stanziamento di 1 milione di euro per l'anno 2005 e 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007, per interventi conservativi e di restauro sul patrimonio culturale architettonico artistico e archivistico ebraico in Italia. In seguito l'art.50 del decreto legge 248/2007 aveva rifinanziato la legge per due milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, ma con un successivo decreto legge emanato in corso d'anno, la somma prevista per l'anno 2009 è stata decurtata di 455.000 euro stanziandone soltanto 1.545.000.
Al di là dei numeri quali  saranno le conseguenze per il patrimonio culturale ebraico,  se il decreto legge sarà applicato così come previsto? Quali le ripercussioni?
Il patrimonio culturale ebraico, costituisce una parte significativa dei beni culturali italiani, rilevante testimonianza della cultura ebraica italiana.
La commissione dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha il compito di raccogliere i progetti provenienti dalle varie comunità ebraiche in Italia, sottoponendo poi i progetti più urgenti al ministero dei Beni Culturali, che deve dare la sua approvazione definitiva. I fondi stanziati negli scorsi anni hanno consentito l'avvio di 55 progetti di restauro su tutto il territorio nazionale, di cui 22 già portati a termine.  La maggior parte di questi interventi riguarda beni che si trovano nelle città di Roma, Milano e Firenze, ma ci sono stati interventi di rilievo in tutta Italia: ad Ancona sono stati avviati sette progetti di restauro, a Casale Monferrato il restauro del Tempio del Vecchio cimitero ebraico con il ripristino del viale di accesso ha donato nuova dignità ad un edificio che si trovava in condizioni di avanzato degrado, a Napoli sono stati avviati lavori di recupero della Sinagoga e di rifacimento del muro di cinta del cimitero ebraico oltre che la riorganizzazione dell'archivio.
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sta ora esaminando nuovi progetti da mettere in cantiere con i fondi 2008/2009. L'impegno degli ebrei italiani perché i beni culturali ebraici siano pienamente tutelati non si ferma. E non solo per un motivo di fedeltà alle loro radici. Il patrimonio culturale e architettonico ebraico in Italia, infatti, costituisce un valore inestimabile per l'intero Paese.

Lucilla Efrati
 
 
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Dopo la strage di Mumbai, la situazione internazionale pare immersa in un clima di strana sospensione. Da un lato, tutto sembra tornare a procedere con ritmi consueti, come se l’ennesimo cataclisma terroristico fosse parte di quella che ormai dovremmo considerare una tragica normalità che l’Occidente è in grado di metabolizzare senza conseguenze. Dall’altro, anche chi coglie la falsità di questa sciocca illusione non sembra avere la capacità o la possibilità di comprendere appieno cosa e chi si nasconde dietro il terrorismo mondiale, di anticipare senza ambiguità il futuro allarmante che ci si schiude davanti. Queste riflessioni, che emergono spontanee dalla dilagante “normalità” della rassegna stampa degli ultimi giorni (ad appena due settimane dai fatti dell’India), divengono concrete preoccupazioni alla lettura del vibrante pezzo di Christopher Hitchens pubblicato dal “Corriere della Sera” (“Quei governi ombra di Damasco e Islamabad”). La stampa tace, la politica ufficiale tace, l’opinione pubblica mondiale tace o al massimo sussurra timorosa sottovoce l’emergente verità: in Siria e in Pakistan uno Stato reale dietro uno Stato fantoccio protegge e aiuta organizzazioni teocratiche e terroristiche come Hezbollah e Lashkar-e-Taiba, pronto forse in prospettiva a mettere mano ad arsenali atomici, certamente posseduti da Islamabad, possibili o probabili per Damasco, che quasi non ha protestato per i recenti raid israeliani contro le sue centrali nucleari (nessuno ha notato questo strano silenzio). La reticenza dei mass media e delle istituzioni su questa realtà scomoda vorrebbe salvare un fantomatico e oggi inesistente “processo di pace”: non rischia in realtà di renderlo impossibile nascondendo al mondo le vere minacce?
Le vere minacce vengono anche dai tentativi di manovrare l’opinione pubblica mondiale. Come quello che rischia di trasformare Durban II nella copia di Durban I. Nella città sudafricana è previsto un convegno di revisione della prima conferenza mondiale dell’antirazzismo, che nel settembre 2001 – pochi giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle – si rivelò un terribile focolaio di puro antisemitismo travestito da antisionismo. Ci sono seri pericoli che questa prevista “revisione” divenga in realtà un “bis”, poiché il clima pesantemente anti-israeliano che si respira oggi non è molto diverso da quello di allora, nell’aria si fiuta lo stesso livido pregiudizio. Ecco che, imprevedibilmente, l’Italia – almeno nelle sue istituzioni – pare sollevarsi dalle bassezze che si profilano all’orizzonte: l’Avanti ci rende noto un pronunciamento bipartisan della Camera, con cui si prendono le distanze da possibili sviluppi di questo genere, impegnando la futura delegazione italiana a tenere gli occhi aperti e a denunciare criticamente ogni strumentalizzazione.
Realtà terribile e non solo minaccia è invece il regime di Teheran. Giulio Meotti sul “Foglio” ne analizza un aspetto pesante e tuttavia poco noto: la repressione nei confronti di tanti giornalisti e religiosi dissidenti, colpevoli solo di aver voluto documentarsi e di aver provato a dare all’iraniano comune un’immagine aperta di Israele e dell’Occidente, diversa da quel “male” di cui – da Komehini in poi – essi sono da queste parti l’incarnazione e l’immagine imposta.
Anche in Israele, come ovunque nel mondo, l’atmosfera appare sospesa e incerta. La strada della trattativa con i palestinesi di Abu Mazen è in attesa di sviluppi, mentre Hamas sembra lanciare nuovi segnali di guerra preparandosi a mettere nel cassetto la hudna già violata più volte. Ma Israele oggi, come stato democratico, non può fare altro che concentrarsi sulla prossima difficile contesa elettorale e sulle indicazioni contrastanti che emergono prima del voto. Al vantaggio che i sondaggi assegnano da tempo al Likud fa da contrappunto oggi la notizia che le primarie interne della stessa destra israeliana sono state vinte da esponenti radicali per lo più contrari ad ogni iniziativa di pace (“Liberazione”, “Il Giornale”): un bel guaio per Netanyahu e le sue prospettive di futuro premier alle prese con le pressioni americane per un’accelerata alla trattativa; e in proiezione un bel guaio per lo stesso Obama, alle prese con un alleato irrinunciabile ma ancora più difficile e scomodo. La sinistra, intanto, si mobilita per dar vita a un Nuovo Meretz lontano dal vecchio e perdente establishment laburista di Barak e Peretz e proiettato invece verso una concreta, netta prospettiva di pace con i palestinesi, senza i Territori occupati ed entro i confini del ’67 (e Gerusalemme?). Ce ne parla A. B. Yehoshua, padre spirituale con Oz e Grossman di questo “partito degli scrittori”, in  un’intervista di Francesca Marretta su “Liberazione”. “Pace, chiarezza, sicurezza, confini”, sembrano essere le parole d’ordine di una nuova sinistra che vuole ritrovare peso in un Israele oggi orfano dei suoi padri fondatori, appartenenti tutti al mondo della visione politica e sociale di sinistra. Ma anche “solidarietà” nazionale: Yehoshua si pronuncia apertamente contro i giovani israeliani che si rifiutano di fare il servizio militare in uno stato di costante pericolo e di continua guerra di fatto.
In Italia, al di là dalle liti quotidiane della politica interna che paiono direttamente proporzionali all’assenza di contenuti nuovi, non c’è molto da segnalare. Gli unici spunti interessanti, e ciò fa pensare, vengono dalla riflessione sulle vicende del Novecento e dalla pubblicazione-ripubblicazione di libri che ci spingono a ripercorrerle. Così Sergio Romano risponde a una lettera al “Corriere”, ricordando l’aiuto concreto che il console italiano di Salonicco Zamboni fornì  nel 1942-43 ai numerosi ebrei italiani o legati all’Italia, ormai destinati ad Auschwitz come tutti i 58.000 ebrei lì rimasti dopo l’occupazione tedesca. Romano ci offre anche un quadro sintetico delle varie motivazioni –  politiche, di immagine, in parte davvero etiche – legate all’uniforme atteggiamento umano degli italiani occupanti nei confronti degli ebrei in pericolo (in Francia, in Croazia, in Grecia). Così Cristina Taglietti, sempre sul “Corriere”, presenta la ripubblicazione in Francia dei tremendi libelli antisemiti di Céline, evidenziando il problema storico-etico di una ristampa che appare comunque inevitabile, per quanto  certo occorra legarla a una contestualizzazione storica mentre l’operazione attuale (per Les Editions de la Reconquete) pare pericolosamente legata alla ripresa di miti ultrareligiosi e collaborazionisti. Così “Repubblica” offre ai lettori uno stralcio dalla presentazione di Ralph Dahrendorf alla ripubblicazione (per Sellerio) del bel romanzo “E adesso, pover’uomo?” di Hans Fallada, vivo spaccato della società tedesca dei primi anni Trenta, in cui la crisi economica, l’involuzione della Repubblica di Weimar, il malessere e la frustrazione dell’uomo qualunque (il “pover’uomo”, appunto) portarono all’ascesa al potere del nazismo e alla tragedia mondiale che ne seguì. Così, ancora, Luca Daninelli sul “Giornale” ci parla di “Vita e destino”, il grande romanzo di Vasilij Grossman ripubblicato da Adelphi: la Russia nella tragedia della guerra e nella tragedia dello stalinismo, vista da uno scrittore ebreo prima vicino al regime e poi isolato antesignano dei dissidenti. Peccato che il giornalista si dimentichi di citare la bella mostra che a questo libro e al suo autore ha recentemente dedicato il Museo Diffuso della Resistenza di Torino.
Unico punto di riflessione italiana sull’oggi quello di Michele Brambilla sul “Giornale”. Il corsivista prende spunto dalla decisione di costruire una moschea al polo nord (con l’appena 2% di islamici) e dall’assenza di proteste occidentali in proposito per imbastire una implacabile requisitoria contro l’Islam, a suo dire da  sempre lanciato alla conquista dell’Occidente “infedele”, anche ai tempi della mitizzata tolleranza musulmana del Medioevo. Anche noi abbiamo bisogno delle nostre quotidiane guerre sante?

David Sorani 

 
 
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Israele: Una visita di solidarietà a Sderot
Tel Aviv, 9 dic -
Una delegazione dell'Associazione interparlamentare Italia-Israele ha compiuto una visita di solidarietà nella città di Sderot.
“L'unica città occidentale bombardata per otto anni consecutivi dai miliziani palestinesi appostati ai margini della Striscia di Gaza” - ha fatto notare il sindaco della città visitata David Buskila.
Lo stesso ha aggiunto che tale situazione sarebbe inconcepibile se Milano o Roma fossero state colpite da razzi anche una volta soltanto. Nell'ultimo mese nella zona di Sderot sono esplosi circa 200 razzi.
Nella speranza che attraverso gli uffici della Croce Rossa internazionale sia possibile giungere al soldato Ghilad Shalit, prigioniero di Hamas dal giugno 2006, i familiari del rapito hanno voluto consegnare ai membri della delegazione una lettera a lui destinata.
La rappresentanza italiana era composta da diversi parlamentari, tra gli altri: Fiamma Nirenstein, Fabrizio Cicchitto, Emanuele Fiano, Enrico Pianetta e in rappresentanza del governo, il sottosegretario alla giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il gruppo è stato accompagnato dall'ambasciatore italiano in Israele Luigi Mattiolo.
Oltre a Sderot le personalità giunte in Israele hanno compiuto una visita al Capo dello stato Shimon Peres per poi recarsi al Museo dell'Olocausto Yad-va-Shem.


Olmert commenta le primarie del Likud
Tel Aviv, 9 dic -
“Se Benyamin Netanyahu, Moshe 'Boghi' Yaalon (ex capo di stato maggiore) e Moshe Feiglin sono le figure principali del Likud  è evidente il carattere di estrema destra del partito del Likud”  - questo il commento di Ehud Olmert all'esito delle primarie del partito.
Ehud Olmert ritiene che una vittoria elettorale del Likud (prevista per altro da numerosi sondaggi) “arrecherebbe danno allo stato di Israele"  - e spiega - "Il Likud è sempre stato un partito di destra, e resta un partito di destra che rischia di portare Israele in un angolo di isolamento, di condurci a giorni difficili che vorremmo evitare"


I giovani e la  Dichiarazione universale dei diritti umani                 Roma, 9 dic -
Scarsa o nulla conoscenza della Dichiarazione universale dei diritti umani – questo quanto stabilito da una ricerca, commissionata dalla Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province Autonome, i cui risultato riferiscono che solo il 9% dei ragazzi e delle ragazze tra i 18 e i 34 anni ha letto il suo testo integralmente; e addirittura il 50% dei giovani non ne ha mai neanche sentito parlare. Secondo lo studio ('I giovani e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo), a casa, in famiglia, nei partiti politici e nelle associazioni di volontariato la Carta internazionale sembra essere "un asteroide lontano e sconosciuto, di cui nessuno parla, nessuno discute e nessuno si prodiga a diffondere".
Per livello di scarsa attenzione ai Diritti Umani la carta stampata segue alla televisione. Relativamente a quest'ultimo mezzo di comunicazione il 78% dei giovani che la usano come principale fonte di informazione non conosce questo documento fondamentale per la storia della civiltà umana. Secondo i giovani italiani, sono cinque i diritti più violati nel mondo: proibizione della tortura, libertà di parola, rispetto delle minoranze, diritto alla salute e al benessere, diritto al lavoro. Seguono, tra i diritti poco applicati, quelli all'istruzione, alla parità tra uomo e donna e quello alla libertà di religione. Tutelati invece il diritto alla proprietà, alla cittadinanza e all'asilo politico. E come la cronaca degli ultimi mesi purtroppo insegna, risulta essere il lavoro il diritto umano più violato in Italia.
In generale, sempre secondo i giovani, strumenti del sondaggio, in Italia i diritti sono decisamente rispettati.
I giovani italiani attribuiscono il compito di far rispettare tali diritti ai governi nazionali nella misura del 69% e non alle organizzazioni internazionali (scelti in misura notevolmente inferiore - 19%).
I giovani per la difesa dei diritti umani chiedono maggiore capacità di emarginare le nazioni che non rispettano i diritti umani; più educazione dei giovani sul tema; più tutela delle classi meno forti socialmente ed economicamente; creare una classe politica meno opportunista e più appassionata.
 
 
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