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L'Unione informa |
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25 dicembre 2008 - 28 Chislev 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Quest’anno
il calendario fa coincidere oggi Chanukkà con il Natale. Non
avviene molto spesso, per quanto le due feste, malgrado le evidenti
differenze, abbiano anche qualche affinità e lontane radici
comuni (si pensi solo al fatto che entrambe cadono il 25 del mese). Il
rapporto ebraico con il Natale è stato sempre complesso,
soprattutto in tempi di forte ostilità cristiana antiebraica.
Per esempio c’era, e forse c’è ancora, chi, in segno
di lutto, non studiava Torà la notte, passandola a giocare a
carte, con il risultato paradossale di fare alla fine le stesse cose degli
altri. Ma, secondo quanto mi ha raccontato un notissimo rabbino di
Yerushalaim, nella Varsavia del 1930 la maggioranzadegli ebrei aveva in
casa l’albero di Natale, giustificandolo con una certa
disinvoltura come un uso culturale-nazionale piuttosto che religioso.
Proprio nei giorni della festa ebraica che celebra la lotta contro
l’assimilazione queste contraddizioni vengono a galla (come
l’olio) e pensando a queste storie e al clima di oggi appare ben
evidente come il nostro rapporto con gli altri sia strettamente legato
a come gli altri si comportino con noi. . |
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Questa
settimana, la settimana di Chanukkà, nel Mall di Washington di
fronte alla Casa Bianca, si erige una grande Chanukkià. Il Mall
è quel grande spazio verde al centro della capitale americana,
attorno al quale si affacciano i maggiori centri del potere
istituzionale e molti dei maggiori mausolei della memoria collettiva
del paese che costituisce (tuttora) il primario polo di riferimento
della civiltà occidentale. Lunedì mattina il notiziario
televisivo americano iniziava con l'annuncio "Oggi è il primo
giorno di Chanukkà " e terminava con l'augurio, nell'ordine,
"Felice Chanukkà e Buon Natale". Tutto questo è un poco
come se, circa 2200 anni fa, una grande Chanukkià fosse stata
posta sull'Acropoli di Atene di fronte al Partenone, nel fulcro della
civiltà occidentale di allora. Non la profanazione del Tempio in
Gerusalemme da parte degli Ellenici, magari con l'approvazione degli
Ellenizzanti, ma la pacifica metabolizzazione della simbologia ebraica
da parte della cultura dominante, allora in Atene, buffa ipotesi, oggi
a Washington, concreta realtà. La condizione ebraica è
diversa nel presente rispetto al passato, anche grazie a quegli ebrei
che, allora come oggi, hanno saputo combattere per l'affermazione della
propria civiltà.
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Sergio Della Pergola, demografo, Università ebraica di Gerusalemme
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Durban, il razzismo e Israele Intervista a Fiamma Nirenstein
“Quando in
Parlamento ho visto accendersi tutte insieme le luci verdi della
votazione non credevo ai miei occhi. E’ stato un gesto commovente e
straordinario”. Fiamma Nirenstein ricorda così, tra emozione e
orgoglio, il voto unanime che il 4 dicembre ha sancito
l’approvazione della mozione bipartisan che impegna l’Italia a
esercitare una serrata vigilanza in vista della prossima "Conferenza
mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia
e l'intolleranza", nota come Durban 2. Prima firmataria
dell’atto, sottoscritto da, Bocchino, Boniver, Guzzanti, Pianetta,
Picchi, Ruben, Pistelli, Repetti, Corsini, Colombo, Mecacci, Malgieri,
Mazzoni, Maran, La Malfa, Fiamma Nirenstein – oggi deputata Pdl e
vicepresidente della commissione Esteri - chiude così un simbolico
cerchio di partecipazione e d’impegno dalla parte d’Israele.
Otto anni fa aveva vissuto infatti da giornalista la prima conferenza
di Durban che mise in atto un vero e proprio processo politico nei
confronti d’Israele con tanto d’inquietanti episodi antisemiti. I suoi
vibranti articoli sulla Stampa, in cui metteva in guardia l’opinione
pubblica per la rinascita del terrorismo islamico che solo pochi mesi
dopo doveva colpire le Torri gemelle e l’intolleranza nei confronti
d’Israele, furono un richiamo forte per molte coscienze. Ed è proprio
lei a predisporre oggi un importate strumento d’iniziativa contro
l’intolleranza e la discriminazione. “L’Italia – dice – è il primo
paese d’Europa a essersi impegnato a sorvegliare e intervenire perché
la Durban 2 non divenga un’ulteriore occasione d’intolleranza o di
discriminazione”. Fiamma, come nasce questa mozione? Nel
2001 a Durban, una delle città africane simbolo dell’apartheid, si mise
in atto una strategia astuta e molto contagiosa che indicava Israele
come stato razzista e colonialista, reo di attuare politiche di
apartheid nei confronti dei palestinesi. Era un’operazione molto abile,
volta a delegittimare lo Stato d’Israele sul piano morale, che
riecheggiava le dichiarazioni dell’Onu del 1975. Furono parole d’ordine
che ebbero molta presa sull’opinione pubblica occidentale. Tanto che il
Tribunale internazionale condannò come razzista il recinto eretto da
Israele in funzione difensiva dopo un migliaio di morti per attentati
di estremisti palestinesi. Allora tu eri inviata a Durban per la Stampa. Cosa ti è rimasto impresso di quei giorni? Ricordo
i cartelli dei manifestanti che recavano l’effigie di Bin Laden e di
Arafat. Ricordo i discorsi contro Israele, applauditissimi, di leader
colpevoli di gravissime violazioni dei diritti umani come Arafat o
Fidel Castro o di un dittatore sanguinario come Mugabe. E mi tornano
alla mente gli ebrei delle Ong cacciati dalle riunioni dalle altre
Organizzazioni non governative e quelli con la kippah in testa
inseguiti per strada. Il rischio è che Durban 2 possa riprendere quest’approccio? Non
contento di Durban 1, l’Onu ci riprova e ha fissato per aprile una
nuova convocazione allo scopo di verificare se le conclusioni definite
allora sono state messe in atto. Per dare un’idea del clima, basti
pensare che il compito di stilare i documenti preparatori è stato
affidato a paesi violatori dei diritti umani quali la Libia, l’Iran o
Cuba. Il rischio è dunque di trovarsi ancora di fronte a uno scenario
molto dannoso. Non a caso Israele ha deciso non prendervi parte così
come il Canada mentre altri stati hanno annunciato la possibilità di
rinunciare a parteciparvi. Da qui l’idea di un impegno preciso da parte dell’Italia. Votando
la mozione il Parlamento italiano ha computo all’unanimità un gesto che
ritengo straordinario. Si è infatti impegnato a monitorare con grande
attenzione gli esiti e gli orientamenti della conferenza e ad agire
affinchè i documenti preparatori contengano solo l'intento di
combattere il razzismo e la discriminazione senza alcun obiettivo di
delegittimare Israele. Pochi
giorni fa l’Ugei – Unione giovani ebrei d’Italia ha lanciato un appello
al presidente perché conferisca la cittadinanza a Gilad Shalit come già
accaduto in Francia. Cosa ne pensi? E’ una bella idea,
anche se non dobbiamo dimenticare che Shalit è francese e che per
l’Italia si tratterebbe di una situazione diversa. In ogni caso il
nostro paese è già impegnato sulla questione. Proprio poche settimane
fa siamo stati in Israele con un gruppo di 24 parlamentari per portare
la nostra solidarietà agli abitanti di Sderot, vittima dei razzi
lanciati da Gaza. In quell’occasione abbiamo consegnato alla famiglia
Shalit una lettera da noi già consegnata alla Croce rossa
internazionale perché si diano finalmente notizie sulla sorte di questo
povero ragazzo. L’impegno per Israele viene considerato la cifra distintiva del tuo lavoro. Sei d’accordo? Potrei
rispondere con il titolo di un mio libro di qualche anno fa: “Israele
siamo noi”. Israele è una democrazia che si batte in un’area in cui le
democrazie non esistono in una lotta che cerca di non danneggiare i
civili e di non ledere i diritti umani. Salvare Israele dovrebbe essere
il mandato di ogni persona democratica. E sarebbe così se l’opinione
pubblica non fosse suggestionata da falsi pregiudizi alimentati anche
da tanto giornalismo. La mia battaglia non si limita però a Israele. Da
anni sono infatti impegnata contro la cultura dell’odio, contro
l’intolleranza e le discriminazioni di ogni tipo, a favore della
convivenza pacifica e dei diritti umani. In questo mi sento molto
rafforzata dall’essere ebrea e dalla mia conoscenza d’Israele e del
mondo: solo nell’identità c’è infatti la capacità d’essere universale.
Daniela Gross
SU WWW.MOKED.IT LEGGI IL TESTO INTEGRALE DELLA MOZIONE APPROVATA DAL PARLAMENTO E IL TESTO DELL'INTERVENTO ILLUSTRATIVO TENUTO IN AULA
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L'infamia delle leggi razziste e il futuro della memoria
Nella frenesia
delle feste, Milano si occupa anche di ricordare le barbarie perpetrate
in Italia nel 1938 e negli anni che seguirono, e lo fa in un convegno
alla Biblioteca Sormani organizzato dalla Fondazione Centro di
Documentazione Ebraica Contemporanea e presieduto dal suo direttore
Michele Sarfatti. La biblioteca, luogo della memoria organizzata e
resa a tutti fruibile, diviene così il punto di partenza per una
riflessione ad ampio raggio sulle leggi razziali. Ed è proprio
“il binomio inscindibile tra memoria e futuro” che Claudia
De Benedetti, vice presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, evidenzia nel suo intervento: “Le leggi
razziste furono un tradimento dell’Italia verso quegli stessi
cittadini che avevano contribuito alla sua nascita partecipando
all’epopea risorgimentale. È necessario ricordare e
trasmettere alle nuove generazioni ciò che accadde, per impedire
che orrori del genere possano essere ripetuti. Il 14 dicembre 1938 i
deputati della Camera approvarono la legislazione razzista
all’unanimità, nonostante la votazione a scrutinio segreto:
questo accadimento rimane una ferita aperta e deve essere un monito a
restare vigili contro i pericoli del razzismo e
dell’antisemitismo, mentre il ricordo di coloro che trovarono il
coraggio di opporvisi e di aiutare gli ebrei in un clima del genere,
devono farci guardare al futuro con speranza e ottimismo.” Il
presidente della Comunità ebraica di Milano, Leone Sued,
sottolinea il dovere di ricordare ciò che avvenne, di conoscere
il processo che s’innescò quel giorno con la privazione
dei diritti per arrivare negli anni successivi alla persecuzione
fisica. Michele Sarfatti entra poi nei dettagli di ciò che
furono le leggi antiebraiche. In Italia, spiega, non si revocò
mai la cittadinanza agli ebrei al contrario di ciò che avvenne
in altri paesi. Si tolse però loro la dignità di
cittadini con restrizioni sempre più stringenti e umilianti. Li
si privò a poco a poco della loro identità che andava
oltre l’essere di “razza ebraica. Non poterono più
servire nell’esercito, andare a scuola, lavorare nella pubblica
amministrazione, nel teatro e nell’editoria, frequentare circoli
sportivi". “Secondo una parte degli studiosi,
l’antisemitismo fascista fu un atto di emulazione del nazismo,
puramente strumentale - continua Sarfatti - A mio parere invece
Mussolini colpì gli ebrei, perché gli ebrei voleva
colpire, in quanto gruppo considerato potenzialmente pericoloso
perché non completamente allineato al regime, nonostante i molti
che si dichiaravano fascisti convinti. La legislazione antisemita aveva
lo scopo di sradicare dall’Italia ogni traccia ebraica, di
eliminarne la presenza fisica fino a cancellare i nomi di ebrei
illustri dai libri di storia. E, mentre nelle scuole s’insegnava
ai ragazzi ad essere fieri del proprio “arianesimo”, solo
l’8% degli ebrei italiani emigrò, convinti che il paese
che amavano e per cui avevano combattuto non avrebbe fatto loro nulla
di male”. Domenico Pulitanò, docente di diritto
penale all’Università di Milano-Bicocca sottolinea il tema
dell’“infamia del diritto”. Sostiene infatti il
professore: “Ciò a cui ci troviamo di fronte quando
consideriamo le leggi razziali è il problema
dell’’ingiusto in forma di legge’, che si pone quando
un contenuto aberrante nella veste formale di diritto travolge quelle
che sono le fondamenta del diritto stesso, l’uguaglianza e la
pari dignità degli uomini”. "Questo dilemma - prosegue -
portò il giurista tedesco Gustav Radbruch (1878-1949) a
postulare la sua famosa formula per cui, laddove la legge costituisca
una violazione intollerabile dei principi di giustizia sostanziale,
essa non può essere considerata autentico diritto. Oggi
questi principi sono tutelati dalla Costituzione e dalla Dichiarazione
dei Diritti dell’Uomo. Ma la loro tenuta giuridica non può
essere garantita senza una tenuta morale della società.” Nei
contributi dei relatori si ripete il riferimento alla mancata reazione
della popolazione italiana, dei compagni di scuola, dei colleghi, dei
vicini di casa, di fronte alla persecuzione ebraica.
L’indifferenza, il silenzio della gente, rotti solo da singole e
troppo poco numerose eccezioni. Anche tutto questo si vuole e si deve
ricordare. E un ambito in cui questo comportamento connivente
deve far riflettere ulteriormente, in quanto espressione delle maggiori
intelligenze italiane, è quello universitario, come racconta la
professoressa di storia contemporanea dell’Università di
Pavia Elisa Signori. “Tutto ebbe inizio con un censimento
– ricorda - si sottopose ai docenti un modulo in cui, oltre a
dati anagrafici e accademici, veniva chiesto di indicare anche
l’appartenenza religiosa. Nonostante le difficoltà
burocratiche, il lavoro fu terminato in soli quattro mesi, subito dopo
i docenti ebrei furono allontanati dalle università. Soltanto a
Milano, furono espulsi almeno 53 studiosi ebrei. Furono colpiti
nomi di grande prestigio, come l’allora rettore della Bocconi
Gustavo Del Vecchio, e poi liberi docenti e ricercatori, in tutte le
discipline e tutti iscritti al Partito Nazionale Fascista tranne uno,
Guido Ascoli, professore di analisi matematica. Tanti avevano portato
lustro all’Italia e al regime fascista grazie ai loro studi e
contatti con le università straniere. Non poterono più
insegnare, frequentare biblioteche o laboratori, i loro libri furono
vietati. Un ostracismo simile, nel mondo universitario, non ha eguali
nella storia. Proprio per questo motivo, molti colsero i segnali di
pericolo e si recarono all’estero, dove poterono proseguire la
loro attività.E se per espellerli erano bastati pochi mesi, dopo
la fine della guerra la reintegrazione fu lunga e difficoltosa,
perché non si volle far perdere il posto a coloro che erano
subentrati nelle loro cattedre approfittando della loro cacciata. Proprio
al tema del dopo, troppo spesso trascurato, ha dedicato il suo
intervento Giorgio Sacerdoti, presidente del Cdec e docente di diritto
internazionale all’università Bocconi. “Le leggi
razziste – spiega - portarono un grande sconquasso nella
società e rimediarvi fu molto più lungo e complesso di
quello che comunemente si pensa”. “Il problema
– continua - non era soltanto riconoscere nuovamente pari
dignità e diritti ai cittadini di religione ebraica, cosa che
peraltro fu imposta all’Italia dai trattati di pace.
C’erano persone che erano state spogliate o costrette a svendere
i propri beni, chi aveva perso il lavoro e anni di contributi, chi il
riconoscimento delle pensioni, per non parlare delle terribili
sofferenze morali e fisiche che gli ebrei patirono”. “Tutte
queste questioni – dice il professor Sacerdoti - sono
state minimizzate e affrontate con estrema lentezza e spesso sono state
necessarie aspre battaglie legali negli anni Settanta e Ottanta per
ottenere giustizia. Anche negli anni Novanta, quando in tutta Europa si
è aperta una nuova fase di risarcimento dei danni agli ebrei,
l’Italia si è mossa molto limitatamente, principalmente
con l’istituzione della Giornata della Memoria, affidandosi
però spesso alla buona volontà degli enti ebraici per
l’organizzazione.” Ci consente di toccare con mano il
senso più autentico del ricordare ciò che avvenne in
Italia settant’anni fa l’intervento di Liliana Segre,
sopravvissuta ad Auschwitz, che condivide con i presenti la sua
esperienza di bambina di otto anni, cacciata da scuola per il solo
fatto d’essere ebrea. Liliana vide la Polizia perquisire la sua
casa di famiglia piccolo borghese, convinta che, a loro, nessuno
avrebbe fatto del male. A San Vittore ascoltò suo padre
chiederle scusa per averla messa al mondo. Insieme a lui fu deportata
ad Auschwitz. “Dalle leggi razziste si arriva alla Shoah,
dai binari della Stazione Centrale ad Auschwitz, tutto il resto sono
solo tentativi di spiegare l’indicibile”, conclude Liliana
Segre. “Una sola domanda mi ha accompagnato in tutto ciò
che è successo a me e alla mia famiglia: perché? Una
risposta non sono mai riuscita a trovarla. Ma sono sopravvissuta, e
diventata mamma e poi nonna. Ho sconfitto con la vita i burocrati della
morte che un popolo intero volevano annientare. Questa è stata
la mia vittoria contro Hitler”. A chiusura del convegno,
l’intervento del presidente del Consiglio comunale di Milano,
Manfredi Palmieri, evidenzia l’attenzione del mondo politico
della città per i temi trattati e mette in luce una prospettiva
nuova per la memoria condivisa del passato ricordando
l’istituzione a Milano del Giardino dei Giusti di tutto il mondo,
là dove “c’è un albero per ogni uomo che ha
scelto il bene”.
Rossella Tercatin
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rassegna stampa |
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Il
commento alla rassegna di oggi si apre in un clima esclusivamente
internazionale. L’assenza dei quotidiani nazionali stamattina in
edicola, permette di dedicare uno sguardo più attento oltre i
confini italiani. Il Medio oriente si conferma, come sempre, il centro
nevralgico dell’informazione internazionale. Nonostante continui
a cadere incessante una pioggia di razzi sul nord di Israele, Ehud
Olmert ha rifiutato la richiesta di un’operazione su larga scala a Gaza (International Herald Tribune).
Il basso profilo, probabilmente adottato in vista delle prossime
elezioni politiche, predilige dunque un “wait and see
approach”, nonostante le rimostranze provenienti dalle fila del
Likud, che accusano l’ormai quasi ex primo ministro, di
trascurare la protezione dei civili israeliani stabiliti al confine. Nei
quotidiani spagnoli è dedicato ampio spazio alle tematiche
mediorientali, anche se appaiono costretti nella demonizzazione a tutti
i costi dello stato di Israele. Un senso unico che rende
l’informazione sterile e priva della sua missione originaria:
informare appunto! Così Abc dedica
un intero servizio alla scandalosa guida israeliana che specifica ai
pellegrini in visita nei luoghi sacri del cristianesimo,
nell’ambito di un tour messo a punto grazie ad un progetto del
ministero del turismo israeliano, che i territori occupati non possono
essere definiti “Palestina”. Un palese sforzo, dunque, di
normalizzazione dell’occupazione israeliana. Sfogliando El Mundo,
ci si imbatte nell’intervista al vicesindaco di Betlemme George
Sa'adeh, e si dà voce al disagio per un commercio in forte calo
dopo la costruzione del tanto discusso muro ma, soprattutto, si da voce
al dolore di un padre, la cui figlia è morta in uno scontro a
fuoco tra l’esercito israeliano e miliziani palestinesi. Le
vittime civili, a prescindere dall’appartenenza etnica e
religiosa, sono da sempre il risvolto più amaro di ogni
conflitto. Il conflitto mediorientale è gonfio di sfaccettature,
dolore e complessità. Appare inquietantemente riduttivo puntare
il dito su uno solo dei protagonisti in maniera così decisa. In
questo modo si priva il lettore della visione totale di cui ha diritto. Continuano
a dilettarsi geopolitici e specialisti da ogni parte del mondo, nel
groviglio diplomatico Israele-Turchia-Siria-Iran. L’ultima
imprevedibile mossa sullo scacchiere mediorientale sembra sia stata
fatta, inaspettatamente, proprio dalla Siria (Abc, Herald Tribune).
Forse frutto del forsennato lavoro della Turchia, perno diplomatico
delle relazioni occidentali con il mondo arabo, il governo di Abbas ha
fatto note le sue intenzioni di voler uscire dall’isolamento
creato dalla stretta alleanza con l’Iran di Ahmadinejad.
Purtroppo è difficile farsi prendere dall’ottimismo, la
strada è lunga e costellata da tappe di non facile
soluzione. Solo per citarne alcune: le elezioni politiche israeliane,
il programma nucleare iraniano, le tensioni tra Fatah e Hamas.
Melissa Sonnino |
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notizieflash |
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Frattini, “Non perdiamo la speranza nello spirito di Annapolis” Roma, 25 dic "Non
dobbiamo perdere la speranza e non dobbiamo pensare che Annapolis sia
morta". Così il ministro degli esteri Franco Frattini, in un
intervento oggi a Rainews 24, ha rilanciato l'appello al dialogo per la
pace di Medio Oriente. Frattini ha sottolineato che la presenza oggi in
Egitto del ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni per incontrare
il presidente, Hosni Mubarak, dimostra che Israele vuole la pace,
così come lo fa l'impegno di Abu Mazen. "Mi auguro – ha
concluso Frattini - che l'Egitto riesca a esercitare una forte
influenza su fazioni palestinesi affinché smettano di lanciare
razzi. Israele, un gruppo di pellegrini sfugge per miracolo a un attentato Gerusalemme, 25 dic Un
gruppo di 150 pellegrini cristiani palestinesi si è salvato per
miracolo dall’esplosione di una bomba di mortaio sparata da
miliziani palestinesi sul valico di Erez. L’ordigno è
infatti caduto lo stabile in cui si trovava il gruppo, diretto col
permesso di Israele da Gaza a Betlemme per le festività
natalizie, senza però esplodere. A seguito del fatto, riferito
dalla radio pubblica israeliana, il valico è stato di nuovo
chiuso.
Israele, pioggia di razzi da Gaza Gerusalemme, 25 dic Pioggia
di razzi ieri da Gaza. Una sessantina di ordigni, alcuni dei quali di
grossi calibro, sono stati lanciati sul territorio israeliano
probabilmente in reazione all’uccisione di tre miliziani da parte
dell' esercito israeliano. Molti i danni materiali mentre sono state
ferite modo lieve almeno due persone causando numerosi stati di
shock. Tra le località colpite, la città di Ashkelon,
Sderot e Netivot. In quest'ultima località un razzo è
scoppiato davanti a un centro comunitario ferendo due persone; solo per
miracolo non ha causato un maggiori numero di feriti. Il consiglio
di difesa israeliano si è riunito per discutere dell' aggravarsi
della situazione nel sud del paese mentre da più parti si
moltiplicano le richieste di un intervento militare a Gaza. |
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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