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L'Unione informa
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30 dicembre 2008 - 3 Tevet 5769 |
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alef/tav |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Diversamente
dalle altre ricorrenze del nostro calendario che coincidono con una
luna nuova o crescente, Chanukkà è l'unica
festa nei cui 8 giorni si avvicendano tutte le varie e diverse fasi
lunari. La festa delle Luci infatti ha inizio al 25 di Kislèv
con una luna calante, continua con una luna che muore e rinasce e
si conclude al 2 del mese di Tevèt , che è stato ieri,
con una luna che ricomincia a crescere. Nella coscienza ebraica la luna
non è soltanto un astro indicatore del tempo ma costituisce una
specie di archetipo per una crescita etica. Nella Tradizione rabbinica
vi è un’assoluta identificazione tra la luna e il popolo
ebraico in ragione del fatto che ambedue risultano assoggettati alla
legge del "divenire", ovvero a momenti in cui si cresce, si cala,
si sparisce e immediatamente si rinasce “nuovi”. Anche il
calare e il rimpicciolirsi della luna deve pertanto essere
letto come un invito alla modestia e all'umiltà presupposti
necessari per mettersi in gioco e per interiorizzare un comportamento
che possa trascendere una struttura abitudinaria. |
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L'ennesima
tragedia israelo-palestinese. Intanto, da queste parti siamo generosi
di parole e giudizi. Dalla descrizione alla stigmatizzazione, il passo
è sempre brevissimo. Come se giudicare e condannare fosse la
cosa più immediata di questo mondo. Proprio in questo bel paese
dai processi interminabili... Al di là delle retoriche che,
quando c'è una tragedia di mezzo, non fanno del bene a nessuna
delle parti in gioco, spero che prima o poi qualcuno, di esperto, mi
spieghi una nota di novità che riscontro fra questi terribili
eventi. Appena qualche giorno fa, Tipzi Livni si è incontrata
con Hosni Mubarak. L'Egitto ha assunto una posizione molto
netta, in questo caso. Ha condannato Hamas che non lascia uscire da
Gaza i feriti. Che ha voluto arrivare a questa situazione. Intanto,
anche gli altri paesi arabi si sono limitati al minimo sindacale di
riprovazione, di attacco verbale a Israele. C'è forse, pur
dentro la tragedia, il conflitto, fra il sangue innocente versato, una
nuova consonanza? |
Elena Loewenthal,
scrittrice |
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pilpul |
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Un missile alla partita
Un missile Grad
lanciato da Gaza è caduto nell’area di rigore del campo di
calcio dell’Hapoel Ashkelon, dove la squadra di serie B si stava
allenando. Dieci metri più corto, il missile avrebbe fatto gol.
Altri dieci metri in meno, sarebbe finito in tribuna tra il pubblico.
L’allenamento è stato sospeso. Penso che se un episodio di
questo genere accadesse in Italia, vi sarebbero delle proteste.
Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme |
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rassegna stampa |
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Al terzo giorno
dell’operazione israeliana su Gaza, giornali e opinionisti
incominciano a realizzare quello che certamente era chiaro ai
responsabili militari e politici israeliani: che il compito è
complesso, che non basta colpire con precisione ed efficacia gli
obiettivi più esposti di Hamas, che l’operazione
dovrà essere lunga e probabilmente coinvolgere le forze di
terra. Che Israele avesse il diritto di difendersi anche con le armi, pochi lo negano al di fuori di qualche estremista convocato dal Manifesto (Helper Jeff) o da Liberazione (Francesta Marretta, Raf Cohen, Paolo Ferrero) con qualche eco su cui varrà la pena di riflettere sulla stampa cattolica come l’Avvenire (editoriale di Luigi Geninazzi) e su certi grandi organi di informazione progressisti internazionali (Shlomo Ben Ami e Karen Abuzyad sul Pais) o di Gad Lerner su Repubblica (ne parleremo più in basso). Considerazioni come quelle esposte da Riccardo Pacifici in un’intervista a E-polis o da Venerio Cattani sull’Avanti
sulle ragioni di Israele di difendersi risultano convincenti per la
grande maggioranza della stampa e dei politici italiani. Ciò
è una novità significativa rispetto al tradizionale
atteggiamento filo-arabo dell’Italia, come rileva Stefano
Cappellini sul Riformista e conferma Gianni De Michelis
(che di questo atteggiamento, da ex ministro degli esteri di Craxi, se
ne intende) in un’intervista allo stesso giornale. La ragione
è che Hamas è davvero indifendibile, con la sua
aggressività senza ragioni e il suo integralismo esasperato. Leggendo
le analisi dei giornali si conferma che una sostanziale accettazione
dell’azione israeliana si registra anche nel mondo arabo, almeno
nei suoi governi. Lo testimonia un articolo del Foglio sulle reazioni dei giornali sauditi, l’intervista a Micael Walzer e il pezzo di Viviana Mazza sul Corriere, quello di Camilla Eid sull’Avvenire, perfino certe fonti palestinesi come il “Walid” intervistato da Luciano Gulli sul Giornale. Del resto, come nota Fabio Nicolucci sul Riformista, la “terza intifada” proclamata da Hamas, sul terreno “non si vede”. Al
di làdelle ragioni dell’autodifesa israeliana e di uno
schieramento internazionale abbastanza favorevole (di cui fa parte
anche Barak Obama, silenzioso per dovere istituzionale, come scrive
Giuliano da Empoli sul Riformista),
il problema è che cosa accadrà e che cosa può fare
Israele. Tzipi Livni, intervistata da Emergui Sal del Mundo, in un
articolo pubblicato in Italia sul Corriere,
indica l’obiettivo israeliano: “cambiare radicalmente la
situazione della sicurezza nel Sud di Israele e ridare
tranquillità ai cittadini”. La maggior parte della stampa
sintetizza questo obiettivo nell’abbattimento di Hamas (Marco
Ansaldo su Repubblica, Gian Macalissin sul Giornale Sandra Cardi su Italia Oggi).
Comunque si tratta di un obiettivo molto ambizioso e difficile, visto
che il regime di Hamas è profondamente radicato a Gaza e non ci
sono concorrenti disponibili. Di qui una serie di rischi, anche in una
campagna militare che procede per il momento in maniera regolare. Li
indica così R.A.Segre sul Giornale:
il pericolo di una guerra troppo lunga, il rischio di offuscare un
successo tattico con una strategia non chiara, la “sindrome
dell’Iraq” (a chi affidare il dopoguerra?), la fine del
blocco di Gaza e il rischio di una terza intifada, la protesta degli
arabi israeliani, il dilemma fra ulteriori concessioni
all’autorità palestinese o l’appoggio degli
insediamenti nei territori. E’ chiaro che il quadro strategico
debba guidare le iniziative sul terreno, ma queste vanno ancora decise
e realizzate. L’ex generale Jacob Amirdor, su Liberal,
spiega perché Tzahahl sarà costretta a entrare nella
striscia con le forze di terra. Il suo omologo Shlomo Gazlit sipega a
Eric Salerno sul Messaggero
che se stesse in lui non ordinerebbe l’azione sul terreno, ma che
ritiene che invece l’invasione sarà decisa. Ma
“è un azzardo”, come spiega Giampiero Giacomello in
termini strategici sul Riformista. Come nota Antonio Ferrari sul Corriere
non bisogna dimenticare i riflessi dell’azione israeliana sulla
posizione di Abu Mazen: la sua gente gli si ribellerà contro,
come vorrebbero Hamas e Hizbullah, accusandolo di complicità col
nemico, o forse vedranno nella sua linea di compromesso una
possibilità di uscire dalla guerra? Molto dipende dalla risposta
a questa domanda. C’è oggi chi come David Grossman (in un articolo pubblicato da Repubblica
pensa che a questo punto, avendo dimostrato la propria potenza,
l’esercito israeliano debba fermarsi e attendere una proposta di
compromesso. Ma, spiega in un lucido articolo Emanuele Ottolenghi su Liberal
chiedere un cessate il fuoco unilaterale a Israele sarebbe
“ipocrita” e segnerebbe una sconfitta di tutta
l’azione, perché darebbe a Hamas la patente di vincitore. Una voce fuori dal coro, anche se si appoggia all’evidente antipatia di Repubblica
per le ragioni di Israele, è quella di Gad Lerner. A partire da
una estemporanea affermazione metafisica presa a prestito dal
romanziere Joseph Roth (“tutto ciò che è improvviso
è male, il bene arriva piano piano”) Lerner propone una
sorta di bizzarra critica etico-estetica alla
“velocità” dell’azione israeliana contro
Hamas, che sarebbe il frutto di un paese “accecato dal mito delle
guerra lampo”. Il risultato sarebbe “un Israele che riesce
a mettersi dalla parte del torto e del disonore pur avendo ragione nel
denunciare la sofferenza delle sue contrade meridionali
bombardate” Torto e disonore per la scelta di difendersi? O di
farlo troppo velocemente? Se l’espressione vi sconcerta o vi
indigna, come è accaduto al vostro commentatore,
ecco che per Lerner gli scrittori israeliani, sia pur dopo aver
approvato “una rappresaglia limitata” chiedono ora il
cessate il fuoco perché “sono i primi ad avvertire, nel
loro profetico distacco dalla politica, come il disonore possa
trascendere nella perdizione d'Israele. Esprimono il malessere di una
comunità frantumata cui riesce sempre più difficile
riconoscersi in una cultura nazionale unitaria.” Dal
“disonore” alla “perdizione” per via della
“frantumazione”! Per Lerner ha dunque ragione Avraham Burg
a pensare che la vita ebraica contemporanea sarebbe parassitata da
“un’insana, dubbia rappresentanza delle vittime”
della Shoà. Meglio dimenticarla e solidarizzare, come fa Lerner,
con i manifestanti pro-Hamas. La conclusione è addirittura
tragica: “Spero di sbagliarmi, ma temo che i più
entusiasti sostenitori dell'operazione Piombo Fuso saranno i primi a
squagliarsi, quando si avvicineranno le ore fatali d'Israele.”
Valeva la pena di citare per esteso questo articolo, pur così
impressionistico e ricco più di citazioni letterarie che di
argomentazioni di fatto, per indicare che uno dei fattori della
situazione attuale sia l’esplosione di un certo odio di sé
da parte di una minoranza ebraica piccola ma rumorosa. Nella rassegne
ne troviamo altri esempi, da Shlomo Ben Ami sulla Suddeutsche Zeitung a Manuela Dviri sulla Gazzetta.
E’ come se in alcuni ebrei, al momento del conflitto, scattasse
il bisogno di giustificare la propria origine agli occhi del mondo
negando la propria solidarietà a Israele, anzi mostrandosi
più filoarabi degli arabi.
Oltre alle analisi e alle cronache da Gaza, sulla rassegna c’è posto anche per altro. Per esempio, la cronaca del Foglio
sulla grottesca serata teatrale del negazionista Faurisson a Parigi,
“carne da marketing” per il comico Dieudonné. Un
certo numero di giornali (Il Mattino, Il Riformista, Libero)
riferiscono delle false memorie della shoà di Herman Rosenblat,
il cui libro è stato ritirato dal mercato dall’editore. Il
Corriere riferisce di un convegno sulle leggi razziali svoltosi a Salò. Angelo Paoluzzi su Europa parla di alcuni libri sulla politica sovietica filoisraeliana per alcuni anni intorno alla fondazione dello Stato.
Ugo Volli
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notizieflash
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Il
punto sull'operazione israeliana “Piombo fuso”
Tel Aviv, 30 dic - "Giunta
al suo quarto giorno, l'operazione “Piombo fuso”, lanciata
da Israele contro a Hamas, nella striscia di Gaza, è a un punto
di svolta" – così radio Gerusalmme ha parlato del
conflitto in corso. Secondo l'emittente israeliana la prima fase
del conflitto (quella caratterizzata da incessanti raid aerei contro
obiettivi di Hamas) si è conclusa, resta da verificare se sia
possibile un intervento diplomatico nella direzione di un cessate il
fuoco, oppure se si renda necessario un intervento delle forze di terra
israeliane, ammassate da giorni ai bordi della Striscia di Gaza. Ehud
Olmert, ha confermato soltanto che "attualmente ci si trova nella prima
di diverse fasi già approvate dal gabinetto per la sicurezza". Altri
esponenti di governo (Meir Sheetrit, Benyamin Ben Eliezer, Shaul Mofaz)
hanno da parte loro escluso, in questa fase, l' ipotesi di un cessate
il fuoco. Nelle operazioni sono stati colpiti 400 obiettivi a
Gaza, fra cui - ha precisato radio Gerusalemme - "una moschea
utilizzata come centro di attività terroristica". Da Gaza i
numeri delle vittime: 363 sarebbero i morti e circa 1700 i feriti.
Quattro israeliani sono stati peraltro uccisi in questi giorni dai
razzi palestinesi. Oggi a Beit Hanun, a nord di Gaza, due sorelle di 4
e 11 anni sono state uccise da un razzo israeliano esploso nelle loro
vicinanze. Il lancio di razzi da Gaza non si è arrestato,
anche oggi le città israeliane del Neghev, in particolare Sderot
sono state colpite. Oltre mezzo milione di israeliani (residenti nelle
città di Ashdod, Ashqelon, Sderot, Kiryat Gat e Netivot) sanno
ormai che rischiano di essere colpiti in ogni momento dai razzi di
Hamas: al suono delle sirene hanno al massimo 45 secondi per cercare un
riparo. La situazione di un milione e mezzo di abitanti a Gaza è
grave, anche per la penuria dei generi di consumo. Oggi Israele ha
autorizzato la consegna di 100 camion carichi di aiuti di vario genere.
Vertice UE, obiettivo: una tregua al conflitto di Gaza Parigi, 30 dic - I
ventisette paesi dell'Unione Europea si incontrano oggi a Parigi,
penultimo giorno della presidenza francese, per cercare una via
d'uscita dal conflitto di Gaza. Per il momento la Francia
propone di passare per una “tregua umanitaria” per
far arrivare aiuti umanitari alle popolazioni della Striscia, a questa
proposta sta lavorando, da un paio di giorni, il ministro degli esteri
francese Bernard Kouchner. Tel Aviv ha autorizzato l'accesso a un
convoglio di aiuti organizzato dalla Croce Rossa, dall'Unicef e
dall'Unrwa, l'agenzia dell'Onu per i profughi palestinesi. Ma
l'annuncio del vertice dei ministri degli esteri dell'Ue, in programma
oggi pomeriggio a Parigi, è stato seguito da raid aerei
israeliani che hanno fatto nuove vittime e dalle secche dichiarazioni
provenienti da Israele. Il ministro dell'interno israeliano Meir
Sheetrit ha dichiarato che non c'é posto per alcun cessate il
fuoco fino a quando la minaccia dei razzi palestinesi non sarà
cessata. Il premier Ehud Olmert ha sottolineato invece che l'operazione
si trova solo nella prima fase. La Francia non si da per vinta. Il
presidente Nicolas Sarkozy è in contatto quotidiano con il
presidente egiziano Hosni Mubarak e riceverà, all' inizio di
gennaio (la data non è stata ancora fissata), il ministro degli
esteri israeliano, Tzipi Livni. Richieste di Pace giungono anche
dal territorio israeliano. Lo scrittore David Grossman ha chiesto un
cessate il fuoco di 48 ore per svolgere un'opera di mediazione. I
leader israeliani sanno - ha detto Grossman - che è difficile
giungere a una soluzione militare assoluta e inequivocabile, mentre la
tregua potrebbe dare a Hamas "una via d'uscita onorevole dalla trappola
in cui si è cacciato".
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