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    31 dicembre 2008 - 4 Tevet 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Il midràsh riportato da Rashì nel suo commento alla parashà sostiene che Yosèf sia stato punito per aver chiesto al ministro del faraone, che era stato imprigionato con lui e a cui aveva interpretato
favorevolmente un sogno, di ricordarsi di lui e di raccomandarlo al faraone.Yosèf avrebbe peccato di eccessiva fiducia in un essere umano e di
conseguenza di mancanza di fiducia in Dio. In realtà non si capisce che cosa ci sia di sbagliato in ciò che fa Yosèf. Fiducia in Dio non significa rimanere inattivi e non fare del proprio meglio per salvarsi. La chiave per interpretare ciò è nel verso dei Salmi che cita. Il verso dice di non aver fiducia dei superbi. Nella letteratura rabbinica il superbo non è semplicemente una persona che ha un'alta
considerazione di se stesso, bensì è una persona che si vede al centro dell'universo e non riesce a vedere nient'altro intorno a lui. Credere che un uomo del genere possa essere di aiuto agli altri è una pura illusione e Yosèf fa un grave errore di valutazione fidandosi del ministro. Questo atteggiamento di indifferenza verso il prossimo non è purtroppo così raro. In questi giorni, in occasione del 70° anniversario della promulgazione delle leggi razziali, si è molto discusso delle sostanziale indifferenza con cui questo evento fu accolto da troppe istituzioni e persone. Questo evento è stato causato dalla lunga e dolorosa storia
dell'antisemitismo europeo ma anche da una
diffusa insensibilità vero la sorte degli altri.  
Il centro culturale 92nd Y, nell'Upper East Side, si è trovato di fronte all'insolita richiesta di un gruppo di famiglie israeliane di far svolgere attività per i figli tese a trasmettere "israelianità". Poiché a New York ogni novità è una sfida da vincere, direttori e creatori del centro 92nd Y si sono messi a lavorare sulla peculiare definizione culturale dell'identità israeliana, tenendola ben separata da altre declinazioni dell'identità ebraica. Il risultato è un corso che si articola su sette temi: Rosh haShanà, Sukkot, Gerusalemme, musica, arte creativa, recitazione e racconto di storie umane. Nessuno ha spiegato perché questi temi hanno prevalso su altri. Ma vi è stato subito un boom di iscrizioni. E non solo per i più piccoli. Ora il 92nd Y ha il problema di trovare un sufficiente numero di insegnanti per la nuova materia.  Maurizio
Molinari,
giornalista
Maurizio Molinari  
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  civili-sderotGaza, la risposta degli ebrei italiani

L’appello del ministro degli Esteri Franco Frattini per aiutare le popolazioni civili di Israele e di Gaza ha trovato una pronta risposta. L’Unione delle Comunita’ ebraiche italiane e la Comunita’ Ebraica di Roma mettono a disposizione 300 mila euro in medicinali. L’appello del ministro mira alla raccolta di un milione di euro per i civili coinvolti dal conflitto a Gaza e in Israele. Due terzi della somma saranno destinati ai bambini e alla gente di Gaza e i restanti 100 mila ai bambini e ai civili delle cittadine israeliane colpiti dai razzi di Hamas. “La Comunità di Roma e l’Ucei - hanno detto organizzazioni - dopo un’attenta analisi e riflessione sulle vicende di questi giorni esprimono apprezzamento per l’apprezzamento per l’azione svolta dal governo italiano per una giusta soluzione del conflitto tra Hamas e Israele. Soprattutto per il ruolo che il governo potrà svolgere all’interno della Ue e soprattutto quale presidente di turno, da questo gennaio del G8″. “Rispondendo ad un appello del ministro Frattini, il quale ha annunciato oggi in commissione Esteri di voler reperire un milione di euro di fondi per aiuti umanitari per le popolazioni civili che soffrono sia a Gaza sia in Israele, l’Ucei e la Cer hanno deciso - hanno spiegato le organizzazioni - di far pervenire nei prossimi giorni 300 mila euro in medicinali da consegnare al ministro degli Esteri Frattini. Di questi 200 mila saranno per le popolazioni di Gaza, soprattutto per i bambini e i civili, coinvolti dagli attacchi mirati a infrastrutture terroristiche di Hamas e 100 mila ai bambini e ai civili delle cittadine del sud di Israele colpiti dai razzi di Hamas”.
“Con questa operazione - ha detto il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici - non intendiamo dare un giudizio politico dei torti o delle ragioni dell’una o dell’altra parte, pur essendo emotivamente coinvolti dalle vicende dei nostri fratelli che in Israele vivono questo dramma”. Pacifici ha poi reso noto che la Cer e l’Ucei incontreranno il ministro Frattini il prossimo lunedì 5 gennaio per consegnare formalmente l’offerta. “Il nostro - ha spiegato Renzo Gattegna, presidente dell’Ucei - e’ un gesto di umanità volto ad alleviare le sofferenze dei bambini di Israele e Gaza, accompagnato dalla speranza che a Gaza cessino il predominio dei gruppi che fanno uso indiscriminato di metodi violenti e terroristici”.

dopo_il_restauroBeni da salvare 3 – La memoria storica degli ebrei di Roma messa in salvo 

Inaugurato nel giugno 1997, l'Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma, uno degli archivi ebraici più grandi e più importanti d' Europa, sorge nello stesso edificio che ospita il Tempio Maggiore, il Museo ebraico ed altri uffici della comunità, in esso rivivono la storia e la vita degli ebrei nel ghetto di Roma, dal sedicesimo secolo agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, raccontata da centinaia di documenti, registri e pergamene.
Nel dicembre 2005 l'Archivio Storico ha presentato un progetto di finanziamento attraverso la legge 175 destinata alla tutela dei beni culturali ebraici in Italia per il restauro del materiale cartaceo di maggior valore e maggiormente danneggiato prendendo anche  in esame la possibilità della  sua digitalizzazione.
Un impegno economico importante che prevedeva inizialmente lo stanziamento della somma di oltre 400 mila euro.

prima_del_restauro


(Qui a fianco un'immagine del materiale cartaceo prima del restauro. Nella foto in testa l'immagine dello stesso materiale a seguito dell'intervento conservativo)



Dell'esperienza abbiamo parlato con i responsabili dell'Archivio, Silvia Haia Antonucci, archivista, e Claudio Procaccia, consulente storico.
Perché si è pensato di presentare un progetto di questo tipo, quali gli intenti, quali le finalità?
Nel corso dei riordino del materiale dell'Archivio storico della Comunità Ebraica di Roma iniziato nel 2001, è emersa la necessità di restaurare parte della documentazione che si trovava in condizioni degradate caratterizzate da mancanza di copertina, dall’inchiostro acido che perforava i documenti, dalla presenza di muffe e di carte lacere. Abbiamo proceduto al restauro di parte della documentazione tramite donazioni di privati e finanziamenti della Soprintendenza Archivistica per il Lazio. Nel frattempo, i vertici della Comunità ci hanno comunicato la possibilità di chiedere finanziamenti per il restauro grazie alla Legge 175.
Quale iter è stato intrapreso?
Nel dicembre 2005 abbiamo presentato la domanda all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per quanto riguarda l’anno di riferimento 2006, mentre, a settembre 2006 abbiamo presentato la domanda relativa all’anno 2007. A causa dell’errore iniziale da parte del Ministero per i Beni e le attività Culturali che l'ha attribuita al Dipartimento per i Beni Culturali e Paesaggistici-Direzione Generale per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico la gestione del finanziamento ottenuto dalla Comunità Ebraica di Roma per il restauro della documentazione del suo Archivio Storico, non abbiamo ricevuto tempestiva comunicazione ufficiale del finanziamento ottenuto. Solamente a dicembre 2006 è stato possibile individuare il gestore del contributo e pertanto abbiamo potuto dare inizio ai lavori. Per quanto riguarda l’anno 2006, sono stati stanziati 150 mila euro per il restauro della documentazione. Per il 2007 sono stati stanziati 50 mila euro per il restauro del materiale, in seguito ridotti a 43.700 euro , e 20 mila euro per il restauro dei volumi della biblioteca.
Quando sono iniziati i lavori, quando sono giunti a compimento?
Il primo ordine per il restauro della documentazione è stato emesso il 21 dicembre 2006.
Sino ad oggi sono stati affidati per il restauro sette lotti per euro complessivi pari a 99 mila euro. Dell’iniziale finanziamento di 150 mila euro, stanziato nel 2006, sono ancora da impiegare circa 50 mila euro. Hanno concorso al rallentamento dell’attività di restauro, oltre all’iniziale errore del MiBAC, anche il fatto che l’ASCER, a causa di lavori di ristrutturazione, è chiuso da circa un anno e mezzo, e ciò ha causato la sospensione dei restauri del materiale cartaceo per circa un anno.
Pensate che ci siano altri beni da salvare per i quali sarebbe opportuno presentare domanda di finanziamento attraverso la legge 175?
Sì, certamente sarebbe importante realizzare almeno questi progetti: sempre nell’ambito della conservazione delle fonti archivistiche e dei testi a stampa e manoscritti riteniamo fondamentale, per la ricostruzione della storia delle famiglie ebree romane, il restauro e la catalogazione delle lapidi del riquadro israelitico del cimitero Verano, nell’ambito della conservazione della documentazione archivistica, sarebbe importante digitalizzare i documenti più preziosi al fine di ridurne l’usura ed infine per la conservazione e la consultazione dei libri della Biblioteca della Comunità sarebbe opportuno dare continuità all’attività di restauro degli stessi.

Lucilla Efrati
 
 
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  otherWarL'altra guerra di Israele :
il pregiudizio dell'informazione distorta

I lettori più attenti della rassegna stampa di Moked l’hanno potuto vedere giorno dopo giorno, soprattutto se hanno letto la rassegna integrale e non solo le segnalazioni dei commentatori, inevitabilmente limitate agli articoli più interessanti e corretti: la stampa italiana ha uno strano atteggiamento sul mondo ebraico. Si mostra in genere interessata e aperta alle nostre tradizioni e alla nostra cultura, commossa e attenta al ricordo della Shoà, insomma ha un atteggiamento in genere positivo nei confronti dell’ebraismo come fenomeno storico, religioso e culturale. Perfino la potente campagna di stampa del Vaticano per la beatificazione di Pio XII e dunque contro le obiezioni sollevate da tanta parte del mondo ebraico, non è quasi mai degenerata nei tradizionali atteggiamenti antigiudaici.
Quando però si parla di Israele, le cose cambiano. Il pregiudizio contro lo Stato di Israele, diciamo pure la propaganda anti-israeliana, dominano la grande stampa. Vi è qualche eccezione di posizioni che in linea di principio si pongono al fianco di Israele:
Il Foglio, l’Opinione, qualche volta ma non sempre Il Giornale, Panorama, Il Riformista. L’orientamento politico prevalente a destra di queste testate riflette un’analoga polarizzazione dello schieramento parlamentare. Che si riflette anche nelle posizioni degli altri giornali: dalla attenta ostentazione di un atteggiamento neutrale del Corriere della sera  e del Sole all’appoggio esplicito per la causa palestinese, via via più militante e aggressivo andando a sinistra, da Repubblica all’Unità, alle testate extraparlamentari come Manifesto e Liberazione, ancor più vicine ad Hamas che all’Autorità Palestinese. Ma in realtà queste posizioni anti-israeliane sono abbastanza trasversali e coinvolgono in diversa misura giornali locali (per esempio Il messaggero), organi “autorevolissimi” come L’osservatore romano e la Rai.
Si è scritto molto sulle ragioni di questo atteggiamento filopalestinese e in generale filoarabo in particolare ma non solo della sinistra italiana (si pensi alle rivelazioni recenti di un ex presidente della Repubblica ed ex ministro degli interni come Francesco Cossiga sull’accordo stretto coi palestinesi da un capo del governo democristiano come Aldo Moro e poi rispettato da tutti i suoi successori; o all’appoggio di Craxi a Gheddafi e all’OLP). E molto ancora ci sarebbe da studiare su questo tema decisivo per l’ebraismo italiano.
Mancava invece una documentazione adeguata dei modi e delle tecniche della stampa italiana (e purtroppo non solo italiana) per esercitare la sua azione propagandistica – che ha un notevole successo, come si vede dai sondaggi che registrano un clima di opinione massicciamente sfavorevole a Israele. E’ importante dunque segnalare due libri che lavorano con competenza e intelligenza su questo tema.

giuseppe_giannottiIl primo è quello di un giornalista italiano, Giuseppe Giannotti, che lavora al Secolo XIX e dunque ha un’ottima competenza su tecniche e procedure redazionali dei nostri quotidiani. Il libro si intitola Israele, verità e pregiudizi (Editore De Ferrari, Genova 2008). Vi si analizza in maniera dettagliata la reazione di alcune delle più importanti testate italiane agli eventi cruciali della cosiddetta “seconda intifada”, la guerra asimmetrica scatenata dall’Olp di Arafat dopo aver fatto fallire le trattative di pace di Camp David. Sono episodi che fecero molto rumore qualche anno fa: l’uccisione del ragazzino palestinese Al Doura, il linciaggio di due riservisti israeliani a Ramallah ripreso da una troupe di Mediaset e l’indegna lettera di scuse mandata  in seguito ai palestinesi dal corrispondente della Rai Riccardo Cristiano, l’”assedio” della basilica della natività a Betlemme e la “battaglia” di Jenin e poi ancora la seconda guerra del Libano di due anni fa.
Il vantaggio di scrivere a freddo è che si dispone, se non della verità assoluta, almeno di documenti di terze parti e di testimonianze su come sono andati i fatti. Da molte inchieste e soprattutto da una sentenza di un tribunale francese sappiamo oggi con certezza che Al Doura molto probabilmente non è stato affatto ucciso dal fuoco di un avamposto israeliano, ma dagli stessi palestinesi (se non si è trattato di una messa in scena totale). Da un’inchiesta dell’Onu sappiamo che a Jenin non si è avuta nessuna strage, ma solo una guerriglia urbana piegata faticosamente dall’esercito israeliano a prezzo di alte perdite per non coinvolgere i civili e che i morti sono stati quasi tutti combattenti; dalla testimonianza di giornalisti che sono entrati nella basilica subito dopo la conclusione dei fatti sappiamo che a Betlemme  non vi erano rifugiati militanti ricercati ma una banda terrorista armata e violenta anche con i monaci. Da molte testimonianze sappiamo che buona parte delle immagine e delle notizie sul Libano erano organizzate da un efficiente servizio propagandistico.
Gianotti ha il merito di mettere in fila questi fatti, raccontandoli con cura e intelligenza. E soprattutto quello di farceli confrontare con i fatti accertati i reportages di alcuni giornali. La scorrettezza propagandistica non solo di “giornalisti” come Cristiano, che scrive ai palestinesi di “aver sempre lavorato secondo le loro regole”  (chissà quali) e di non avere mai dato notizie loro sgradite, ma anche di molti articoli di quotidiani, segnatamente di quelli di Repubblica, emerge in maniera inequivocabile da questo libro, facendone uno strumento prezioso per chiunque voglia confutare la propaganda anti-israeliana, o voglia semplicemente pensare con la sua testa su un tema così controverso.
Per capire come e perché una propaganda del genere sia prodotta, vale la pena di procurarsi un libro americano, The other war di Stephanie Gutmann (Encounter Books, San Francisco - un'immagine della copertina nella foto in testa). E’ la testimonianza di una giornalista che vive in prima persona, come corrispondente in Israele, lo stesso periodo. Si legge in queste pagine non solo la psicologia assai particolare dei corrispondenti; ma anche la sociologia di un lavoro che impegna molte centinaia di persone: la dipendenza da fonti (praticamente sempre palestinesi) che hanno interesse personale a creare gli scontri che saranno poi riportati dai giornalisti per cui lavorano; i rapporti molto corporativi del gruppo dei giornalisti, l’azione dei portavoce israeliani, le forme di intimidazione fisica che i giornalisti non allineati ricevono dai miliziani quando riferiscono o peggio riprendono con le telecamere quel che in Occidente non si deve sapere. Alcuni episodi culminanti sono gli stessi studiati da Giannotti sui testi giornalistici, raccontati qui nella forma inedita e interessante della cronaca della loro cronaca.
L’insieme di questi due libri mostra quanto lavoro ci sia da fare, in Israele ma anche in Italia e in Occidente per contrastare la massiccia prevalenza del politically correct anti-israeliano. Un compito cui si dedicano in pochi e con poche risorse, ma che è essenziale. Perché è evidente che l’”altra guerra”, quella delle notizie e delle menti è ancora più importante della “prima guerra”, quella sul campo. Ed è dimostrato dall’esperienza che gli odiatori di Israele (per antisemitismo nascosto, per odio di sé di certe frange ebraiche, per anticapitalismo e anti-occidentalismo deviati su Israele, per amicizia o paure della rivoluzione islamista, non si fermeranno, qualunque concessione di pace faccia Israele. Dunque anche la seconda guerra, come la prima, continuerà ancora a lungo e più della prima non lascerà immuni gli ebrei della diaspora.

Ugo Volli   
 
 
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Razzi sulle città israeliane sia nella notte che stamane: si allontana, così, l’ipotesi della tregua di 48 ore che apre i giornali di oggi. Secondo quanto detto questa mattina dalla radio militare israeliana, Gerusalemme respingerà la proposta di tregua.

Comunque, per la decisione definitiva si deve riunire nuovamente il gabinetto di sicurezza. E’ forte la pressione internazionale sullo stato ebraico. I giornali di oggi parlano infatti del quarto giorno di bombardamenti a Gaza e del vertice europeo di Parigi. Primi esiti dell’azione diplomatica: Tzipi Livni sarà nella capitale francese già domani, Sarkozy è atteso in Israele per lunedì prossimo.
La proposta europea, anticipata in diretta tv dal ministro francese Bernard Kouchner, è articolata in quattro punti: il cessate il fuoco, l’apertura dei valichi per ragioni umanitarie, la ripresa dei negoziati e la disponibilità al monitoraggio della tregua. «Non dovrebbe essere troppo difficile per Israele - scrive Andrea Nicastro sul Corriere della Sera - accontentare gli europei almeno per l’accesso degli aiuti umanitari. Più complesso, invece, ottenere lo stop ai bombardamenti». L’apertura, risaltata dalla gran parte delle prime pagine, è nelle parole del ministro della Difesa Ehud Barak, «favorevole» a una tregua di 48 ore. «Per tutti - continua il Corriere - il problema è anche rivolgersi ad uno solo dei protagonisti, dal momento che Hamas è qualificato come organizzazione terroristica». L’azione dell’Europa - scrive Antonio Ferrari in un fondo, sempre sul giornale di Paolo Mieli - «forse è un miracolo». Sia Barak che Olmert, spiega, sono d’accordo sulla tregua-lampo. «Ma lo stato ebraico si vedrebbe costretto a decidere mentre missili hanno raggiunto perfino la città di Beer Sheva, che dista quasi 40 chilometri da Gaza».

Se l’Europa trova nuovo vigore, anche approfittando della transizione americana, gli editorialisti italiani puntano il dito contro l’assenza a Parigi del ministro Franco Frattini. Soddisfatto, invece, Andrea Romano, sul Riformista: «Frattini ha finalmente detto una parola di chiarezza sulla politica estera italiana. Il suo netto giudizio sulla ‘scellerata responsabilità’ di Hamas deve essere salutato con soddisfazione».
Barack Obama, intanto, resta in silenzio, scrive Jonathan Wright in un’analisi dell’agenzia Reuters, «per confermare le aspettative arabe che la politica estera americana cambierà poco».

Tutti i quotidiani riportano in modo abbastanza similare della diplomazia sull’asse Parigi-Gerusalemme. Più variegate interviste e interventi. Ma in più casi, dal Sole 24 Ore al Corriere (con l’intervista a Naim), da Avvenire, al Giornale (altri ne avevano scritto nei scorsi giorni), viene evidenziata la frattura nel mondo arabo, e l’isolamento di Hamas. «L'altra Palestina, governata da Fatah, spera ancora nel dialogo: non decolla la terza intifada», titola il giornale diretto da Ferruccio de Bortoli. Decisamente più critici con Israele Liberazione e il Manifesto, tanto che Il Giornale dedica un fondo alla «sinistra», che, a dire di Salvatore Scarpino, «rispolvera i suoi livori anti israeliani».

Ammesso che sia dignitoso e rispettoso dibattere il numero dei morti, c’è da notare che quasi tutti i giornali segnalano in titoli e occhielli i «quasi 400 morti», registrando poi nel testo il fatto che i civili uccisi siano circa 60.

Tra gli interventi, Giuliano Ferrara su Panorama parla di «ultima condanna» per gli ebrei: quella di «mettere paura al mondo mentre si battono per sopravvivere». «Sarebbe bene - scrive su Il Giornale Fiamma Nirenstein - che l’Europa imparasse la nuova lingua di questo conflitto che è quello dell’Occidente che si difende dal terrorismo, e abbandonasse l’idea sbagliata di un conflitto ‘sbilanciato’». Su il Manifesto, spazio a una lettera di ebrei italiani fortemente critici con l’operato dello stato ebraico. Il Sole 24 Ore ragiona anche sulle ricadute di politica interna israeliana dell’offensiva. Scrive Ugo Tramballi: «Fra chi scende e chi sale nel sentimento elettorale degli israeliani, chi ora schizza verso l’alto è Ehud Barak».

Sull’International Herald Tribune Benny Morris spiega «perchè Israele si sente minacciata. Primo: i mondi islamici non hanno mai accettato veramente la legittimità della nascita di Israele. Secondo: l’opinione pubblica occidentale sta gradualmente riducendo il sostegno ad Israele». Secondo Morris, «Israele affronta una combinazione di minacce: l’Iran a Est, il Hezbollah a Nord, Hamas a Sud. La quarta minaccia è interna: la minoranza araba del paese».

Il Messaggero e Il Tempo danno spazio, infine, all’iniziativa di Ucei e Comunità Romana, che in risposta all’appello del ministro degli Esteri Franco Frattini, manderanno 300mila euro di medicinali in Israele: 200mila a Gaza, per i palestinesi, e 100mila ai bambini delle città colpite da Hamas.

Non c’è solo la crisi in Medio Oriente, nella rassegna quotidiana. Tra le altre cose, l’Unità dedica due pagine a Simon Wiesenthal, il «cacciatore dei nazisti» che avrebbe compiuto oggi 100 anni, intervistando anche l’ex presidente Ucei Amos Luzzatto.

Beniamino Pagliaro

 
 
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Iran:"Gruppo Benetton legato alla rete sionista", incendiato      
Theran, 31 dic -
Nord di Teheran - Una boutique del gruppo italiano Benetton è stata incendiata. Lo ha riferito oggi la stampa locale che interpreta il fatto come una probabile reazione di ostilità all'intervento armato israeliano contro Hamas, in corso nella Striscia di Gaza. L'agenzia Isna ha reso noto che le fiamme si sono sviluppate alle 02:40 nella notte tra lunedì e martedì (le 00:10 italiane di martedì). L'origine esatta dell'incendio è oggetto di un'inchiesta da parte della autorità. Il quotidiano conservatore Jomhuri Eslami scrive, da parte sua, che l'autore dell'incendio al negozio Benetton non è stato ancora identificato. La stampa governativa mette in relazione l'atto vandalico contro il gruppo di abbigliamento italiano con l'offensiva militare di Israele a Gaza, affermando che Benetton è legata alla "rete sionista".
In Iran è rara la presenza di marchi occidentali e l'apertura di negozi Benetton, nel corso degli ultimi due anni, ha causato polemiche.
Lo scorso anno un gruppo di parlamentari aveva protestato contro la presenza nel paese di Benetton, sostenendo che proprietario della casa italiana è un "milionario sionista", e che i suoi prodotti esercitano un'influenza nociva sugli iraniani.
 
 
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L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
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