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L'Unione informa |
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31 dicembre 2008 - 4 Tevet 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso
Arbib, rabbino capo di Milano |
Il
midràsh riportato da Rashì nel suo commento alla parashà sostiene che
Yosèf sia stato punito per aver chiesto al ministro del faraone, che
era stato imprigionato con lui e a cui aveva interpretato favorevolmente
un sogno, di ricordarsi di lui e di raccomandarlo al faraone.Yosèf
avrebbe peccato di eccessiva fiducia in un essere umano e di conseguenza
di mancanza di fiducia in Dio. In realtà non si capisce che cosa ci sia
di sbagliato in ciò che fa Yosèf. Fiducia in Dio non significa rimanere
inattivi e non fare del proprio meglio per salvarsi. La chiave per
interpretare ciò è nel verso dei Salmi che cita. Il verso dice di non
aver fiducia dei superbi. Nella letteratura rabbinica il superbo non è
semplicemente una persona che ha un'alta considerazione di se
stesso, bensì è una persona che si vede al centro dell'universo e non
riesce a vedere nient'altro intorno a lui. Credere che un uomo del
genere possa essere di aiuto agli altri è una pura illusione e Yosèf fa
un grave errore di valutazione fidandosi del ministro. Questo
atteggiamento di indifferenza verso il prossimo non è purtroppo così
raro. In questi giorni, in occasione del 70° anniversario della
promulgazione delle leggi razziali, si è molto discusso delle
sostanziale indifferenza con cui questo evento fu accolto da troppe
istituzioni e persone. Questo evento è stato causato dalla lunga e
dolorosa storia dell'antisemitismo europeo ma anche da una diffusa insensibilità vero la sorte degli altri. |
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Il
centro culturale 92nd Y, nell'Upper East Side, si è trovato di fronte
all'insolita richiesta di un gruppo di famiglie israeliane di far
svolgere attività per i figli tese a trasmettere "israelianità". Poiché
a New York ogni novità è una sfida da vincere, direttori e creatori del
centro 92nd Y si sono messi a lavorare sulla peculiare definizione
culturale dell'identità israeliana, tenendola ben separata da altre
declinazioni dell'identità ebraica. Il risultato è un corso che si
articola su sette temi: Rosh haShanà, Sukkot, Gerusalemme, musica, arte
creativa, recitazione e racconto di storie umane. Nessuno ha spiegato
perché questi temi hanno prevalso su altri. Ma vi è stato subito un
boom di iscrizioni. E non solo per i più piccoli. Ora il 92nd Y ha il
problema di trovare un sufficiente numero di insegnanti per la nuova
materia. |
Maurizio Molinari, giornalista
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Gaza, la risposta degli ebrei italiani
L’appello del ministro degli Esteri Franco Frattini per aiutare le
popolazioni civili di Israele e di Gaza ha trovato una pronta risposta.
L’Unione delle Comunita’ ebraiche italiane e la Comunita’ Ebraica di Roma
mettono a disposizione 300 mila euro in medicinali. L’appello del
ministro mira alla raccolta di un milione di euro per i civili
coinvolti dal conflitto a Gaza e in Israele. Due terzi della somma
saranno destinati ai bambini e alla gente di Gaza e i restanti 100 mila
ai bambini e ai civili delle cittadine israeliane colpiti dai razzi di
Hamas. “La Comunità di Roma e l’Ucei - hanno detto organizzazioni -
dopo un’attenta analisi e riflessione sulle vicende di questi giorni
esprimono apprezzamento per l’apprezzamento per l’azione svolta dal
governo italiano per una giusta soluzione del conflitto tra Hamas e
Israele. Soprattutto per il ruolo che il governo potrà svolgere
all’interno della Ue e soprattutto quale presidente di turno, da questo
gennaio del G8″. “Rispondendo ad un appello del ministro Frattini, il
quale ha annunciato oggi in commissione Esteri di voler reperire un
milione di euro di fondi per aiuti umanitari per le popolazioni civili
che soffrono sia a Gaza sia in Israele, l’Ucei e la Cer hanno deciso -
hanno spiegato le organizzazioni - di far pervenire nei prossimi giorni
300 mila euro in medicinali da consegnare al ministro degli Esteri
Frattini. Di questi 200 mila saranno per le popolazioni di Gaza,
soprattutto per i bambini e i civili, coinvolti dagli attacchi mirati a
infrastrutture terroristiche di Hamas e 100 mila ai bambini e ai civili
delle cittadine del sud di Israele colpiti dai razzi di Hamas”. “Con questa operazione - ha detto il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici
- non intendiamo dare un giudizio politico dei torti o delle ragioni
dell’una o dell’altra parte, pur essendo emotivamente coinvolti dalle
vicende dei nostri fratelli che in Israele vivono questo dramma”.
Pacifici ha poi reso noto che la Cer e l’Ucei incontreranno il ministro
Frattini il prossimo lunedì 5 gennaio per consegnare formalmente
l’offerta. “Il nostro - ha spiegato Renzo Gattegna,
presidente dell’Ucei - e’ un gesto di umanità volto ad alleviare le
sofferenze dei bambini di Israele e Gaza, accompagnato dalla speranza
che a Gaza cessino il predominio dei gruppi che fanno uso
indiscriminato di metodi violenti e terroristici”.
Beni da salvare 3 – La memoria storica degli ebrei di Roma messa in salvo
Inaugurato
nel giugno 1997, l'Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma, uno
degli archivi ebraici più grandi e più importanti d' Europa, sorge
nello stesso edificio che ospita il Tempio Maggiore, il Museo ebraico
ed altri uffici della comunità, in esso rivivono la storia e la vita
degli ebrei nel ghetto di Roma, dal sedicesimo secolo agli anni
immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, raccontata da
centinaia di documenti, registri e pergamene. Nel dicembre 2005
l'Archivio Storico ha presentato un progetto di finanziamento
attraverso la legge 175 destinata alla tutela dei beni culturali
ebraici in Italia per il restauro del materiale cartaceo di maggior
valore e maggiormente danneggiato prendendo anche in esame la
possibilità della sua digitalizzazione. Un impegno economico importante che prevedeva inizialmente lo stanziamento della somma di oltre 400 mila euro.

(Qui
a fianco un'immagine del materiale cartaceo prima del restauro. Nella
foto in testa l'immagine dello stesso materiale a seguito
dell'intervento conservativo)
Dell'esperienza
abbiamo parlato con i responsabili dell'Archivio, Silvia Haia
Antonucci, archivista, e Claudio Procaccia, consulente storico. Perché si è pensato di presentare un progetto di questo tipo, quali gli intenti, quali le finalità? Nel
corso dei riordino del materiale dell'Archivio storico della Comunità
Ebraica di Roma iniziato nel 2001, è emersa la necessità di restaurare
parte della documentazione che si trovava in condizioni degradate
caratterizzate da mancanza di copertina, dall’inchiostro acido che
perforava i documenti, dalla presenza di muffe e di carte lacere.
Abbiamo proceduto al restauro di parte della documentazione tramite
donazioni di privati e finanziamenti della Soprintendenza Archivistica
per il Lazio. Nel frattempo, i vertici della Comunità ci hanno
comunicato la possibilità di chiedere finanziamenti per il restauro
grazie alla Legge 175. Quale iter è stato intrapreso? Nel
dicembre 2005 abbiamo presentato la domanda all’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane per quanto riguarda l’anno di riferimento 2006,
mentre, a settembre 2006 abbiamo presentato la domanda relativa
all’anno 2007. A causa dell’errore iniziale da parte del Ministero per
i Beni e le attività Culturali che l'ha attribuita al Dipartimento per
i Beni Culturali e Paesaggistici-Direzione Generale per il Patrimonio
Storico, Artistico e Etnoantropologico la gestione del finanziamento
ottenuto dalla Comunità Ebraica di Roma per il restauro della
documentazione del suo Archivio Storico, non abbiamo ricevuto
tempestiva comunicazione ufficiale del finanziamento ottenuto.
Solamente a dicembre 2006 è stato possibile individuare il gestore del
contributo e pertanto abbiamo potuto dare inizio ai lavori. Per quanto
riguarda l’anno 2006, sono stati stanziati 150 mila euro per il
restauro della documentazione. Per il 2007 sono stati stanziati 50 mila
euro per il restauro del materiale, in seguito ridotti a 43.700 euro ,
e 20 mila euro per il restauro dei volumi della biblioteca. Quando sono iniziati i lavori, quando sono giunti a compimento? Il primo ordine per il restauro della documentazione è stato emesso il 21 dicembre 2006. Sino
ad oggi sono stati affidati per il restauro sette lotti per euro
complessivi pari a 99 mila euro. Dell’iniziale finanziamento di 150
mila euro, stanziato nel 2006, sono ancora da impiegare circa 50 mila
euro. Hanno concorso al rallentamento dell’attività di restauro, oltre
all’iniziale errore del MiBAC, anche il fatto che l’ASCER, a causa di
lavori di ristrutturazione, è chiuso da circa un anno e mezzo, e ciò ha
causato la sospensione dei restauri del materiale cartaceo per circa un
anno. Pensate che ci siano altri
beni da salvare per i quali sarebbe opportuno presentare domanda di
finanziamento attraverso la legge 175? Sì, certamente
sarebbe importante realizzare almeno questi progetti: sempre
nell’ambito della conservazione delle fonti archivistiche e dei testi a
stampa e manoscritti riteniamo fondamentale, per la ricostruzione della
storia delle famiglie ebree romane, il restauro e la catalogazione
delle lapidi del riquadro israelitico del cimitero Verano, nell’ambito
della conservazione della documentazione archivistica, sarebbe
importante digitalizzare i documenti più preziosi al fine di ridurne
l’usura ed infine per la conservazione e la consultazione dei libri
della Biblioteca della Comunità sarebbe opportuno dare continuità
all’attività di restauro degli stessi.
Lucilla Efrati |
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L'altra guerra di Israele : il pregiudizio dell'informazione distorta
I lettori più attenti della rassegna stampa di Moked l’hanno potuto
vedere giorno dopo giorno, soprattutto se hanno letto la rassegna
integrale e non solo le segnalazioni dei commentatori, inevitabilmente
limitate agli articoli più interessanti e corretti: la stampa italiana
ha uno strano atteggiamento sul mondo ebraico. Si mostra in genere
interessata e aperta alle nostre tradizioni e alla nostra cultura,
commossa e attenta al ricordo della Shoà, insomma ha un atteggiamento
in genere positivo nei confronti dell’ebraismo come fenomeno storico,
religioso e culturale. Perfino la potente campagna di stampa del
Vaticano per la beatificazione di Pio XII e dunque contro le obiezioni
sollevate da tanta parte del mondo ebraico, non è quasi mai degenerata
nei tradizionali atteggiamenti antigiudaici. Quando
però si parla di Israele, le cose cambiano. Il pregiudizio contro lo
Stato di Israele, diciamo pure la propaganda anti-israeliana, dominano
la grande stampa. Vi è qualche eccezione di posizioni che in linea di
principio si pongono al fianco di Israele: Il Foglio, l’Opinione, qualche volta ma non sempre Il Giornale, Panorama, Il Riformista.
L’orientamento politico prevalente a destra di queste testate riflette
un’analoga polarizzazione dello schieramento parlamentare. Che si
riflette anche nelle posizioni degli altri giornali: dalla attenta
ostentazione di un atteggiamento neutrale del Corriere della sera e del Sole all’appoggio esplicito per la causa palestinese, via via più militante e aggressivo andando a sinistra, da Repubblica all’Unità, alle testate extraparlamentari come Manifesto e Liberazione,
ancor più vicine ad Hamas che all’Autorità Palestinese. Ma in realtà
queste posizioni anti-israeliane sono abbastanza trasversali e
coinvolgono in diversa misura giornali locali (per esempio Il
messaggero), organi “autorevolissimi” come L’osservatore romano e la
Rai. Si è scritto molto sulle ragioni di questo atteggiamento
filopalestinese e in generale filoarabo in particolare ma non solo
della sinistra italiana (si pensi alle rivelazioni recenti di un ex
presidente della Repubblica ed ex ministro degli interni come Francesco
Cossiga sull’accordo stretto coi palestinesi da un capo del governo
democristiano come Aldo Moro e poi rispettato da tutti i suoi
successori; o all’appoggio di Craxi a Gheddafi e all’OLP). E molto
ancora ci sarebbe da studiare su questo tema decisivo per l’ebraismo
italiano. Mancava invece una documentazione adeguata dei modi e
delle tecniche della stampa italiana (e purtroppo non solo italiana)
per esercitare la sua azione propagandistica – che ha un notevole
successo, come si vede dai sondaggi che registrano un clima di opinione
massicciamente sfavorevole a Israele. E’ importante dunque segnalare
due libri che lavorano con competenza e intelligenza su questo tema.
Il primo è quello di un giornalista italiano, Giuseppe Giannotti,
che lavora al Secolo XIX e dunque ha un’ottima competenza su tecniche e
procedure redazionali dei nostri quotidiani. Il libro si intitola Israele, verità e pregiudizi
(Editore De Ferrari, Genova 2008). Vi si analizza in maniera
dettagliata la reazione di alcune delle più importanti testate italiane
agli eventi cruciali della cosiddetta “seconda intifada”, la guerra
asimmetrica scatenata dall’Olp di Arafat dopo aver fatto fallire le
trattative di pace di Camp David. Sono episodi che fecero molto rumore
qualche anno fa: l’uccisione del ragazzino palestinese Al Doura, il
linciaggio di due riservisti israeliani a Ramallah ripreso da una
troupe di Mediaset e l’indegna lettera di scuse mandata in
seguito ai palestinesi dal corrispondente della Rai Riccardo Cristiano,
l’”assedio” della basilica della natività a Betlemme e la “battaglia”
di Jenin e poi ancora la seconda guerra del Libano di due anni fa. Il
vantaggio di scrivere a freddo è che si dispone, se non della verità
assoluta, almeno di documenti di terze parti e di testimonianze su come
sono andati i fatti. Da molte inchieste e soprattutto da una sentenza
di un tribunale francese sappiamo oggi con certezza che Al Doura molto
probabilmente non è stato affatto ucciso dal fuoco di un avamposto
israeliano, ma dagli stessi palestinesi (se non si è trattato di una
messa in scena totale). Da un’inchiesta dell’Onu sappiamo che a Jenin
non si è avuta nessuna strage, ma solo una guerriglia urbana piegata
faticosamente dall’esercito israeliano a prezzo di alte perdite per non
coinvolgere i civili e che i morti sono stati quasi tutti combattenti;
dalla testimonianza di giornalisti che sono entrati nella basilica
subito dopo la conclusione dei fatti sappiamo che a Betlemme non
vi erano rifugiati militanti ricercati ma una banda terrorista armata e
violenta anche con i monaci. Da molte testimonianze sappiamo che buona
parte delle immagine e delle notizie sul Libano erano organizzate da un
efficiente servizio propagandistico. Gianotti ha il merito di
mettere in fila questi fatti, raccontandoli con cura e intelligenza. E
soprattutto quello di farceli confrontare con i fatti accertati i
reportages di alcuni giornali. La scorrettezza propagandistica non solo
di “giornalisti” come Cristiano, che scrive ai palestinesi di “aver
sempre lavorato secondo le loro regole” (chissà quali) e di non
avere mai dato notizie loro sgradite, ma anche di molti articoli di
quotidiani, segnatamente di quelli di Repubblica, emerge in maniera
inequivocabile da questo libro, facendone uno strumento prezioso per
chiunque voglia confutare la propaganda anti-israeliana, o voglia
semplicemente pensare con la sua testa su un tema così controverso. Per capire come e perché una propaganda del genere sia prodotta, vale la pena di procurarsi un libro americano, The other war di Stephanie Gutmann
(Encounter Books, San Francisco - un'immagine della copertina nella
foto in testa). E’ la testimonianza di una giornalista che vive in
prima persona, come corrispondente in Israele, lo stesso periodo. Si
legge in queste pagine non solo la psicologia assai particolare dei
corrispondenti; ma anche la sociologia di un lavoro che impegna molte
centinaia di persone: la dipendenza da fonti (praticamente sempre
palestinesi) che hanno interesse personale a creare gli scontri che
saranno poi riportati dai giornalisti per cui lavorano; i rapporti
molto corporativi del gruppo dei giornalisti, l’azione dei portavoce
israeliani, le forme di intimidazione fisica che i giornalisti non
allineati ricevono dai miliziani quando riferiscono o peggio riprendono
con le telecamere quel che in Occidente non si deve sapere. Alcuni
episodi culminanti sono gli stessi studiati da Giannotti sui testi
giornalistici, raccontati qui nella forma inedita e interessante della
cronaca della loro cronaca. L’insieme di questi due libri mostra
quanto lavoro ci sia da fare, in Israele ma anche in Italia e in
Occidente per contrastare la massiccia prevalenza del politically
correct anti-israeliano. Un compito cui si dedicano in pochi e con
poche risorse, ma che è essenziale. Perché è evidente che l’”altra
guerra”, quella delle notizie e delle menti è ancora più importante
della “prima guerra”, quella sul campo. Ed è dimostrato dall’esperienza
che gli odiatori di Israele (per antisemitismo nascosto, per odio di sé
di certe frange ebraiche, per anticapitalismo e anti-occidentalismo
deviati su Israele, per amicizia o paure della rivoluzione islamista,
non si fermeranno, qualunque concessione di pace faccia Israele. Dunque
anche la seconda guerra, come la prima, continuerà ancora a lungo e più
della prima non lascerà immuni gli ebrei della diaspora.
Ugo Volli |
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Razzi
sulle città israeliane sia nella notte che stamane: si allontana, così,
l’ipotesi della tregua di 48 ore che apre i giornali di oggi. Secondo
quanto detto questa mattina dalla radio militare israeliana,
Gerusalemme respingerà la proposta di tregua.
Comunque, per
la decisione definitiva si deve riunire nuovamente il gabinetto di
sicurezza. E’ forte la pressione internazionale sullo stato ebraico. I
giornali di oggi parlano infatti del quarto giorno di bombardamenti a
Gaza e del vertice europeo di Parigi. Primi esiti dell’azione
diplomatica: Tzipi Livni sarà nella capitale francese già domani,
Sarkozy è atteso in Israele per lunedì prossimo. La proposta
europea, anticipata in diretta tv dal ministro francese Bernard
Kouchner, è articolata in quattro punti: il cessate il fuoco,
l’apertura dei valichi per ragioni umanitarie, la ripresa dei negoziati
e la disponibilità al monitoraggio della tregua. «Non dovrebbe essere
troppo difficile per Israele - scrive Andrea Nicastro sul Corriere della Sera -
accontentare gli europei almeno per l’accesso degli aiuti umanitari.
Più complesso, invece, ottenere lo stop ai bombardamenti». L’apertura,
risaltata dalla gran parte delle prime pagine, è nelle parole del
ministro della Difesa Ehud Barak, «favorevole» a una tregua di 48 ore.
«Per tutti - continua il Corriere - il problema è anche rivolgersi ad
uno solo dei protagonisti, dal momento che Hamas è qualificato come
organizzazione terroristica». L’azione dell’Europa - scrive Antonio Ferrari
in un fondo, sempre sul giornale di Paolo Mieli - «forse è un
miracolo». Sia Barak che Olmert, spiega, sono d’accordo sulla
tregua-lampo. «Ma lo stato ebraico si vedrebbe costretto a decidere
mentre missili hanno raggiunto perfino la città di Beer Sheva, che
dista quasi 40 chilometri da Gaza».
Se l’Europa trova nuovo
vigore, anche approfittando della transizione americana, gli
editorialisti italiani puntano il dito contro l’assenza a Parigi del
ministro Franco Frattini. Soddisfatto, invece, Andrea Romano, sul Riformista:
«Frattini ha finalmente detto una parola di chiarezza sulla politica
estera italiana. Il suo netto giudizio sulla ‘scellerata
responsabilità’ di Hamas deve essere salutato con soddisfazione». Barack Obama, intanto, resta in silenzio, scrive Jonathan Wright in un’analisi dell’agenzia Reuters, «per confermare le aspettative arabe che la politica estera americana cambierà poco».
Tutti
i quotidiani riportano in modo abbastanza similare della diplomazia
sull’asse Parigi-Gerusalemme. Più variegate interviste e interventi. Ma
in più casi, dal Sole 24 Ore al Corriere (con l’intervista a Naim), da Avvenire, al Giornale
(altri ne avevano scritto nei scorsi giorni), viene evidenziata la
frattura nel mondo arabo, e l’isolamento di Hamas. «L'altra Palestina,
governata da Fatah, spera ancora nel dialogo: non decolla la terza
intifada», titola il giornale diretto da Ferruccio de Bortoli.
Decisamente più critici con Israele Liberazione e il Manifesto, tanto che Il Giornale dedica un fondo alla «sinistra», che, a dire di Salvatore Scarpino, «rispolvera i suoi livori anti israeliani».
Ammesso
che sia dignitoso e rispettoso dibattere il numero dei morti, c’è da
notare che quasi tutti i giornali segnalano in titoli e occhielli i
«quasi 400 morti», registrando poi nel testo il fatto che i civili
uccisi siano circa 60.
Tra gli interventi, Giuliano Ferrara su Panorama
parla di «ultima condanna» per gli ebrei: quella di «mettere paura al
mondo mentre si battono per sopravvivere». «Sarebbe bene - scrive su Il Giornale Fiamma
Nirenstein - che l’Europa imparasse la nuova lingua di questo conflitto
che è quello dell’Occidente che si difende dal terrorismo, e
abbandonasse l’idea sbagliata di un conflitto ‘sbilanciato’». Su il Manifesto, spazio a una lettera di ebrei italiani fortemente critici con l’operato dello stato ebraico. Il Sole 24 Ore
ragiona anche sulle ricadute di politica interna israeliana
dell’offensiva. Scrive Ugo Tramballi: «Fra chi scende e chi sale nel
sentimento elettorale degli israeliani, chi ora schizza verso l’alto è
Ehud Barak».
Sull’International Herald Tribune
Benny Morris spiega «perchè Israele si sente minacciata. Primo: i mondi
islamici non hanno mai accettato veramente la legittimità della nascita
di Israele. Secondo: l’opinione pubblica occidentale sta gradualmente
riducendo il sostegno ad Israele». Secondo Morris, «Israele affronta
una combinazione di minacce: l’Iran a Est, il Hezbollah a Nord, Hamas a
Sud. La quarta minaccia è interna: la minoranza araba del paese».
Il Messaggero e Il Tempo danno
spazio, infine, all’iniziativa di Ucei e Comunità Romana, che in
risposta all’appello del ministro degli Esteri Franco Frattini,
manderanno 300mila euro di medicinali in Israele: 200mila a Gaza, per i
palestinesi, e 100mila ai bambini delle città colpite da Hamas.
Non c’è solo la crisi in Medio Oriente, nella rassegna quotidiana. Tra le altre cose, l’Unità
dedica due pagine a Simon Wiesenthal, il «cacciatore dei nazisti» che
avrebbe compiuto oggi 100 anni, intervistando anche l’ex presidente
Ucei Amos Luzzatto.
Beniamino Pagliaro |
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Iran:"Gruppo Benetton legato alla rete sionista", incendiato Theran, 31 dic - Nord
di Teheran - Una boutique del gruppo italiano Benetton è stata
incendiata. Lo ha riferito oggi la stampa locale che interpreta il
fatto come una probabile reazione di ostilità all'intervento armato
israeliano contro Hamas, in corso nella Striscia di Gaza. L'agenzia
Isna ha reso noto che le fiamme si sono sviluppate alle 02:40 nella
notte tra lunedì e martedì (le 00:10 italiane di martedì). L'origine
esatta dell'incendio è oggetto di un'inchiesta da parte della autorità.
Il quotidiano conservatore Jomhuri Eslami scrive, da parte sua, che
l'autore dell'incendio al negozio Benetton non è stato ancora
identificato. La stampa governativa mette in relazione l'atto vandalico
contro il gruppo di abbigliamento italiano con l'offensiva militare di
Israele a Gaza, affermando che Benetton è legata alla "rete sionista". In
Iran è rara la presenza di marchi occidentali e l'apertura di negozi
Benetton, nel corso degli ultimi due anni, ha causato polemiche. Lo
scorso anno un gruppo di parlamentari aveva protestato contro la
presenza nel paese di Benetton, sostenendo che proprietario della casa
italiana è un "milionario sionista", e che i suoi prodotti esercitano
un'influenza nociva sugli iraniani. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
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