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L'Unione informa |
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4 gennaio 2009 - 8 Tevet 5769 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
La
lettura biblica di ieri presenta il confronto tra Giuseppe e Giuda, due
dei dodici figli di Giacobbe: il primo è viceré d'Egitto, il secondo
portavoce degli altri fratelli. Il testo e la tradizione interpretativa
li presentano come portatori di due diversi incarichi: Giuseppe
garantisce, attraverso il rapporto con gli altri, la sopravvivenza
fisica e materiale della famiglia, il nucleo originario delle dodici
tribù. Il secondo è piuttosto garante della sopravvivenza spirituale
attraverso lo studio. Sembra che solamente dalla loro collaborazione
possa derivare il futuro del popolo di Israele. |
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Alle
volte la letteratura è in grado di esprimere la complessità della
realtà, molto meglio che non le fini analisi, talvolta anche ponderate,
che abbiamo letto in questi giorni. Qualcuno ricorda le amare
considerazioni di Manzoni a proposito di Don Abbondio assalito a casa
sua da Renzo e Lucia? Don Abbondio che urla e si difende sembra
subire un sopruso, in realtà è lui che lo fa. Renzo e Lucia che violano
la sua casa, sembrano gli assalitori, in realtà cercano di riaffermare
un loro diritto. Non è detto che la soluzione sia efficace, ma è sempre
improprio fermarsi al primo livello dell’interpretazione. La realtà è sempre più complicata. |
David Bidussa, storico sociale delle idee |
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Memoria 2- Loewenthal: La storia ebraica senza lo sfregio della Shoah
In principio è Philip Roth che nel 2004, ne “Il complotto contro
l’America”, immagina al potere negli anni della guerra un Lindbergh
filonazista. Qualche anno dopo tocca a Michael Chabon riscrivere la
storia costruendo, ne “Il sindacato dei poliziotti yiddish”, un
inquietante e minacciato Stato ebraico d’Alaska mentre pochi mesi fa lo
scenario fantastico dell’autoscioglimento diviene protagonista del
romanzo “La scomparsa d’Israele” di Alessandro Schwed. La fantastoria, o meglio uno scarto fulmineo e decisivo della storia reale, domina anche l’ultimo romanzo di Elena Loewenthal (nella foto), “Conta le stelle, se puoi”
(Einaudi, 263 pagine, 17,50 euro) in cui la scrittrice e studiosa
torinese narra con passione e levità la saga di una famiglia ebraica
piemontese a partire dal giovanissimo Moisè che a fine Ottocento lascia
il paesino con il suo carretto di stracci. A imprimere un corso
straordinario alla vita dei Levi, è infatti la morte che d’improvviso
toglie di mezzo il duce regalando vita e fortuna a tutti i discendenti
che potranno così moltiplicarsi nei quattro angoli del mondo.
L’improvvisa deviazione della storia non è però un semplice pretesto
letterario, ma un profondo scatto d’orgoglio. E’ la via per creare vita
e parole lì dove si staglia l’abisso di morte della Shoah, dicendo cosa
poteva essere e cos’è oggi il mondo ebraico. “E’ stato il mio modo di
non arrendermi alla verità della storia – dice Elena Loewenthal – il
mio modo di raccontare che la Shoah non ha trasfigurato la mia storia
anche se l’ha profondamente deturpata, privandola di milioni di vite”. Elena
Loewenthal, il racconto è incastonato fra due momenti emblematici. Una
dedica iniziale a sua nonna che ha attraversato la Shoah e ha voluto
poi tacerla e una pagina finale in cui dedica la sua storia a quanti
“hanno vissuto quell’altra, purtroppo vera”. “Conta le stelle, se puoi”
non è però un libro sulla Shoah. In questo romanzo ho
voluto costruire la storia, del tutto inventata, di una famiglia
ebraica: non senza coloro che nella Shoah sono morti ma insieme a loro.
Così mi sono presa la libertà non di negare la Shoah. Ma di rinnegarla,
per dire a me stessa e agli altri che la storia ebraica non si
costruisce sulla Shoah. E che la Shoah appartiene a tutti, non solo a
noi che ci abbiamo messo i morti. Il
libro narra la vicenda di un’assoluta normalità, in quegli anni del
tutto impossibile per una famiglia ebraica, ricostruendo un periodo
poco raccontato dalla letteratura. Gli anni tra
l’Emancipazione e il fascismo sono un periodo in effetti molto poco
raccontato della storia ebraica, forse perché relegati in secondo piano
da quanto accaduto dopo. C’è da dire anche che proprio in quegli anni
l’integrazione degli ebrei nella società è stata straordinaria e poteva
portare a risultati davvero straordinari. Quanto c’è di reale nella narrazione: qualche personaggio, qualche situazione? E’
una storia tutta inventata, in cui si mescolano alcuni spunti e
frammenti che ricordavo dai racconti famigliari. In casa avevo ad
esempio sentito parlare di un avo indiretto, Aronne, che era partito da
Fossano con un carretto di stracci. Luigi Zalman è una figura più reale
mentre la casa di via Nizza esisteva davvero ma non come la racconto
io. Sono però elementi che ho trattato con estrema libertà. La ricostruzione storica non sembra invece libera. Sulla
parte storica o topografica mi sono documentata a lungo. Al mattino mi
isolavo e scrivevo, al pomeriggio mi dedicavo ai testi e ai documenti.
Ci sono voluti cinque mesi in tutto: è stato il libro che ho scritto
con maggiore rapidità. I personaggi erano dentro di me da sempre e li
vedevo prendere vita come se scrivessi sotto dettatura. A leggere certi brani sembra che lei si sia divertita parecchio a scrivere questo libro. A
tratti è stato un divertimento puro, a tratti una sofferenza. Quando ho
dovuto far morire Moisè ho cercato di trovare il modo migliore per
porre fine alla sua vita, ma ho pianto una settimana intera. Tutto il
libro è stato un’esperienza travolgente. C’è un modello che ha tenuto presente? Il
modello diretto e inequivocabile è Primo Levi e in particolare il
racconto “Argon” ne “Il sistema periodico” in cui racconta degli
antenati piemontesi. Anni dopo mi sono resa conto di condividere la
stessa lingua e lo stesso dialetto giudeo piemontese, che non è un
vezzo alla Camilleri ma di cui serbo ancora memorie famigliari. Perché questa scelta di fantasticare sulla storia? Sono
partita dal Patto, così spesso ribadito nella Bibbia, con cui Dio
promette ad Abramo di rendere la sua discendenza numerosa come le
stelle. Gli ebrei fanno del loro meglio per rispettarlo, ma questo
patto rimane una promessa mancata. Gli ebrei sono infatti uno dei
popoli più piccoli della terra. Ho cercato dunque di andare incontro a
questa promessa moltiplicando le vite e i discendenti. Anche altri autori hanno optato in questi anni per vicende fantastoriche. Cosa accomuna queste scelte? Forse
c’è un comune sentirsi stretti nei panni della Memoria. Riscrivere la
storia significa infatti poter liberare la fantasia. Roth ne “Il
complotto contro l’America” lo fa con toni piuttosto cupi. Io, che sono
ottimista, ho preferito girare al positivo il finale. Per questo ad
esempio il 1938, l’anno terribile in cui sono promulgate le leggi
razziali, diviene nel libro un anno bellissimo e indimenticabile
in cui in Italia viene meno la monarchia e nasce lo Stato d’Israele. Da
tempo lei sostiene, nei suoi interventi pubblici, che l’unico modo in
cui oggi si può parlare dell’orrore della Shoah è il silenzio. In
qualche modo il libro suggella questa convinzione. Da anni
non parlo della Shoah in incontri e occasioni pubbliche. Patisco molto
a farlo. Scrivere il libro è stato in un certo senso cercare di lasciar
passare quell’atroce bufera, restando lì a guardare. In questi anni forse si è parlato anche troppo della Shoah e questo ha finito per limitare e costringere l’ebraismo. Questo
ci ha in qualche modo costretti. Noi generazioni successive alla Shoah
non possiamo darne una testimonianza diretta. L’unica via per fuggire
da questa nostra inadeguatezza è rassegnarsi al silenzio. Ciò non
significa certo eliminare la Shoah dalla memoria e dall’educazione
delle nuove generazioni. La Shoah appartiene a tutti, non solo agli
ebrei. Basta però con le testimonianze indirette e con la teoria. Per
avere un sussulto emotivo o emozionale è sufficiente Primo Levi. Negli
ultimi anni quando mi invitano a parlare di quanto è accaduto propongo
proprio la rilettura di alcune sue pagine. Negli ultimi dieci anni le opere narrative sulla Shoah si sono però moltiplicate. La
Memoria è divenuta fonte d’ispirazione letteraria. Forse per il senso
di una materia che sempre più ci sfugge o per un senso di colpa. I due
canoni però per me rimangono Primo Levi e Cinthia Ozick. Quello che si
riesce a sapere e a capire di Auschwitz è tutto nelle opere di Levi
mentre il racconto “Lo scialle” della Ozick mostra all’opposto la
capacità di misurarsi con la Shoah da una grande distanza. Nel suo raccontare la famiglia Levi lei anticipa di molti anni la nascita d’Israele. Per quale motivo? Israele
non è nato dalla Shoah, come così spesso sentiamo dire. Israele è
frutto dei 150 anni di sionismo che precedono la sua nascita. Sono
convinta che sarebbe nato anche senza la Shoah. Quest’ultima non ha
infatti trasfigurato la storia ebraica. L’ha deturpata, ma la dignità
della civiltà ebraica, del popolo e delle sue tradizioni sono rimaste
intatte. Eppure la Shoah spesso si è sovrapposta all’identità ebraica. Di
recente ho tradotto il libro di Avraham Burg “Sconfiggere Hitler”. E’
stato un lavoro sofferto perché condivido molto poco delle sue tesi.
Sono però d’accordo sulla sua idea che non si possa assumere la Shoah
come connotato identitario. Ma si debba invece fondare la nostra
identità sul patrimonio positivo della nostra storia e della nostra
realtà anche recente. Penso ad esempio al sionismo, che è un
formidabile processo identitario. L’identità fondata sulla Shoah è stata per molti versi una scelta dello stesso mondo ebraico. Credo
che l’ebraismo ha ormai capito che questo fondamento va
progressivamente smantellato. Gli ebrei europei e gli israeliani sanno
bene che la costruzione di un’identità nuova va fondata su altri valori
che sono ben presenti.
Daniela Gross |
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“«Gesto umanitario» o operazione «tutta mediatica»?” Si può partire da qui, da questo titolo del Manifesto,
per inoltrarsi nella densissima e spesso isterica rassegna stampa di
oggi. L’articolo (senza firma) del Manifesto ci introduce infatti,
senz’altro in forma polemica, a due temi che oggi contrassegnano i
giornali, l’escalation bellica in Medio Oriente (di cui dà ampio
resoconto, tra gli altri, il Corriere della sera e
la posizione in merito degli ebrei italiani, senza però rilevare
l’altra questione che invece trova ampio spazio sui media: le bandiere
israeliane bruciate ieri in piazza durante le manifestazioni a sostegno
dei palestinesi che, come riferisce, Repubblica hanno
visto in piazza a Milano “stelle di David con la svastica e cori per
Hamas, finti cadaveri di bambini alzati tra la folla come nei funerali,
scarpe al cielo in segno di rivolta, l'urlo di «assassini» per il
ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, il presidente Ehud Olmert
e il presidente degli Stati Uniti George Bush”. Il titolo del
Manifesto rimanda alla donazione di medicinali, annunciata pochi giorni
fa dall’Ucei e dalla Comunità ebraica romana. Il Manifesto riporta le
posizioni dei donatori. “«Il nostro è un gesto di umanità», dice Renzo
Gattegna, presidente dell'Ucei. E come per qualsiasi gesto umanitario
degno di tale nome «non intendiamo dare un giudizio politico dei torti
o delle ragioni dell'una o dell'altra parte», gli fa eco Riccardo
Pacifici, il presidente della Comunità romana”. “Su quella
frase – spiega però il giornale - si è scatenato l'inferno fra la
Comunità ebraica di Roma e ambienti italo-ebraici di Israele”. Sempre sul Manifesto la
conclusione della lettera aperta con cui alcuni esponenti della Rete
Ebrei contro l'Occupazione (Stefano Sarfati Nahmad, Paola Canarutto,
Giorgio Forti) condannano l’affermazione di ieri di Pacifici a sostegno
della leadership israeliana. Tutt’altro taglio, fin dal titolo “Gli ebrei romani al fianco di Israele e al suo diritto ad esistere”, sul Messaggero.
“Dopo le manifestazioni di protesta contro Israele, durante le quali
sono state bruciate le bandiere americane e israeliane, sulle quali
erano state disegnate delle svastiche, tra gli ebrei italiani prevale
la voglia di difendere le ragioni di Israele – scrive Claudia Terracina
- «Quelli che oggi hanno bruciato le bandiere dovranno fare i conti con
la giustizia italiana», avverte il presidente della Comunità ebraica
romana”. “Condannare Israele vuol dire legittimare Hamas e legittimare
Hamas vuoi dire negare l'Occidente intero e tutti i suoi valori”,
conclude Claudio Morpurgo, già vicepresidente Ucei (cui viene
erroneamente attribuito il titolo di “presidente emerito”). Anna Momigliano sul Riformista prende
invece spunto da un articolo su Haaretz del corrispondente da Londra
Anshel Pfeffer, che ieri illustrava atteggiamento più critico unito a
un certo “imbarazzo” nei confronti d’Israele da parte della comunità
ebraica inglese, per una sintetica ricognizione dell’ebraismo
nazionale. “Dalla comunità ebraica italiana però arriva un messaggio
più complesso – scrive - cresce la solidarietà ai palestinesi, ma non
per questo diminuisce il sostegno a Israele, specie da sinistra”. “Per
la prima volta – continua - l'Unione delle Comunità ebraiche italiane
(Ucei) e la Comunità ebraica di Roma hanno messo a disposizione 200mila
euro in medicinali per le vittime palestinesi del conflitto (altri 100
mila sono stati donati a quelle israeliane). Ma questo non significa
critiche maggiori all'azione militare israeliana: anzi, sembra che
anche da sinistra il sostegno a Israele sia più radicato rispetto
all'ultima guerra, quella combattuta contro Hezbollah nel 2006”. “In
Italia – è il commento dello storico Gadi Luzzatto Voghera - le
comunità ebraiche sono sempre state molto lucide e indipendenti nel
giudicare l'operato di Israele, anche se in alcuni casi i media hanno
dato voce soprattutto alle componenti meno critiche». Le prese
di posizione di alcuni esponenti del mondo ebraico italiano,
interrogati a partire dal rogo di bandiere in piazza, occupa con un
certo rilievo i principali quotidiani. Repubblica
intervista Emanuele Fiano, deputato del Pd, per cui quelle bandiere
bruciate rappresentano “un atto di odio estremo che equivale
semplicemente a invocare la distruzione del nemico”. Sul Corriere della sera
Paolo Salom riporta l’opinione di Furio Colombo («chiunque abbia
bruciato quelle bandiere ha compiuto un atto delinquenziale, privo di
senso, totalmente inutile per la pace»). Sempre sul Corriere la
presa di posizione Moni Ovadia («La mia solidarietà con i palestinesi è
nota. Ma condanno questi gesti: sono sempre controproducenti, inutili,
uno sfogo insensato e l'espressione di una visione piatta. In piazza
nessuno fa cenno ai missili che cadono su Israele, rudimentali e
obsoleti, certo, ma in grado di ferire, uccidere”). Da leggere, sulla Stampa,
la riflessione di David Meghnagi sul significato più profondo di quanto
sta avvenendo in questi giorni mentre per un approccio in termini di
politica internazionale ai fatti del Medio oriente si segnalano gli
interventi di Maurizio Molinari sulla Stampa e di Fiamma Nirenstein sul Giornale. L’urgenza
della cronaca rischia invece di far passare purtroppo in secondo piano
due articoli senz’altro meritevoli di attenzione: quello sul Corriere della sera
in cui Alessandra Farkas riprende la vicenda degli ebrei italiani ex
deportati che non riescono a riavere la cittadinanza italiana e quello
di Silvia Kramar sul Giornale che
riferisce di una presa di posizione dei critici ebrei statunitensi
contro i film sull’Olocausto e i relativi rischi di speculazione sulla
Memoria. Un tema che, nell’avvicinarsi del Giorno della memoria, è
senz’altro di stretta attualità.
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MO: Cicchitto (Pdl) condanna chi brucia bandiere Israele Roma, 4 gen - 12:39 -
il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha oggi affermato
che "Coloro che oggi manifestano contro Israele dimenticano che da
molti mesi Israele è sottoposto da Hamas ad un continuo bombardamento e
che numerosi sono stati gli appelli a sospendere questi attacchi e a
iniziare le trattative di pace; Hamas ha il terrorismo come strumento
essenziale della sua azione politica, nel suo statuto ha l'obiettivo
della distruzione d'Israele e finora ha attaccato sul piano militare
non solo Israele ma anche Abu Mazen e al Fatah". "Il meccanismo
propagandistico - ha rilevato Cicchitto - è ben conosciuto: adesso si
cerca di far apparire chi è stato aggredito, cioé Israele, come
aggressore perché reagisce ad attacchi che perdurano da molto tempo. A
coloro che manifestano nel nostro Paese bruciando la bandiera di
Israele rispondiamo che ciò è inammissibile, ma vorremmo anche sapere
se nei loro paesi d'origine sarebbe possibile manifestare liberamente".
Gaza:secondo TV Al Jazira catturati 2 soldati israeliani a est Jabaliya Il Cairo, 4 gen - 12:45 La
tv satellitare del Qatar "Al Jazira" ha comunicato che la cattura dei
due soldati israeliani annunciata da Hamas sarebbe avvenuta, presso il
villaggio di Jabal el Kashef, a est di Jabaliya. Il notiziario della
tv ha anche dato notizia di palestinesi feriti quando uno dei
missili israeliani ha colpito un'autoambulanza a nord di Gaza, mentre
le Brigate Qassam hanno affermato di aver annientato due blindati
israeliani. La formazione palestinese Saraya Al Qods ha invece
informato di aver distrutto un carro armato dell'esercito israeliano.
Combattimenti molto violenti, infine, sarebbero in corso - sempre
secondo la tv - vicino all'abitato di Shojaya. MO:30 razzi colpiscono Ashdod Tel Aviv, 4 gen - 11:46 La
radio militare israeliana ha riferito che un razzo palestinese, sparato
da Gaza, ha colpito oggi la città di Ashdod, 30 chilometri a nord della
striscia. Non si ha notizia di vittime. Finora da Gaza sono stati
sparati oggi una trentina di razzi verso Israele, malgrado la massiccia
operazione terrestre avviata ieri dall'esercito israeliano. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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