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L'Unione informa |
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7 gennaio 2009 - 11 Tevet 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso
Arbib, rabbino capo di Milano |
Il
Mèshekh Chokhmà, R. Meir Simchà Hacohèn di
Dvinsk, rileva che Ya'akòv è l'unico patriarca che riceve
la rivelazione divina di notte. Egli riceve questa rivelazione quando
si accinge a scendere in Egitto. Questa discesa segna l'inizio della
storia del popolo ebraico in Egitto e l'inizio dell'esperienza
dell'esilio. Nella tradizione ebraica l'esilio è paragonato alla
notte. Vivere in Egitto significherà persecuzione, riduzione del
popolo in schiavitù e rischio di scomparsa spirituale. Secondo
il commento di Rashì, all'inizio della parashà di
Beshallàch, solo un quinto del popolo ebraico esce dall'Egitto,
i 4/5 scompaiono. Questa è la notte in cui si accinge a entrare
Ya'akòv; però proprio in questo momento riceve la
rivelazione divina. Secondo il Mèshekh Chokhmà questo
evento insegna a Ya'akòv e ai suoi discendenti che, perfino nei
momenti più terribili, la presenza di Dio accompagnerà la
storia del popolo ebraico e che anche la notte più profonda
può essere illuminata dalla rivelazione divina. |
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Sul
grande schermo è arrivato "Defiance", il film di Edward Zwick
che racconta da storia dei fratelli Bielski che durante la Seconda
Guerra Mondiale reagirono al massacro dei loro genitori da parte dei
nazisti in uno shtetl della Bielorussia dando vita ad un gruppo di
resistenza ebraica che attaccava i nazisti, salvava gli ebrei dalla
deportazione e riuscì anche a creare nei boschi una parvenza di
vita normale in un villaggio in cui si celebravano matrimoni, si faceva
tefillà nella sinagoga e ognuno aveva un tetto sopra la testa.
In coincidenza con la prima del film, svoltasi nel Jewish Heritage
Museum di New York, si sono riuniti in un'unica sala tutti i figli e
nipoti di quegli eroi. Centinaia di persone provenienti da ogni angolo
del mondo, da Israele all'Australia. C'era anche uno dei sopravvissuti,
che ha detto: "Siamo una famiglia". Alla quale appartiene ogni
ebreo. |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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Beni da salvare 5 / Bologna, il recupero dell'antico Cimitero
Antiche lapidi dissestate e rese illeggibili dal tempo. Alberi e
arbusti così folti da sommergere le tombe. Vialetti spesso
impercorribili. Si presentava così, fino un anno fa, lo storico
Cimitero ebraico di Bologna edificato a fine Ottocento ai margini della
grande cittadella cemeteriale della Certosa. Ad avviare la
riqualificazione di quest’ampia area, articolata in tre campi di
età storiche diverse, è l’intervento realizzato
grazie ai fondi della legge 175 per la salvaguardia del patrimonio
culturale ebraico che tra il 2006 e il 2007 ha provveduto al restauro
di numerosi elementi lapidei e alla sistemazione della vegetazione, (nella foto in alto una simulazione di come dovrà essere realizzata la facciata esterna del cimitero). Il
programma iniziale, a firma dell’architetto Daniele De Paz che
poi ha diretto i lavori, prevedeva un radicale recupero
dell’intero Cimitero sorto nel 1869. La ridotta
disponibilità di fondi ha però indotto un ripensamento
che ha portato a una diversa tempistica dei lavori che sono stati
suddivisi in due fasi. “Il progetto – spiega De Paz –
è stato ripresentato, con l’approvazione della
Soprintendenza, ridimensionandolo su un intervento d’urgenza che
congelava lo stato, piuttosto degradato, di conservazione”. E a
questa prima fase seguirà una seconda tranche più
ambiziosa e articolata che rivedrà in modo più radicale
l’assetto interno. Nella
prima tornata di lavori gli esperti hanno dunque provveduto a
recuperare i sepolcri e le lapidi del campo più antico, quello
ottocentesco, per poi passare alle lapidi di primo Novecento conservate
nel secondo campo. Le lastre e i ceppi sono state ripulite con
delicatezza, riparate e riposizionate nell’originaria
collocazione che a sua volta era stata restaurata nel pieno rispetto
dell’antica bellezza. E ad accompagnare il ripristino degli
elementi lapidei, in totale una novantina di reperti, dalla piccola
stele alla scultura, una vigorosa sistemata al verde. “Gli
alberi e i cespugli – dice l’architetto De Paz –
avevano in pratica inghiottito le componenti architettoniche dei campi,
tanto che spesso era difficile farsi un’idea precisa della
configurazione del luogo”. “L’obiettivo –
continua – è stato di conservare le caratteristiche
tipologiche degli spazi cemeteriali ebraici. Qui, a differenza di
quanto avviene nei cimiteri cristiani, il verde non è disposto
secondo una regola distributiva ma viene regolarizzato rispettando la
spontaneità di piante, alberi e arbusti”. La
conclusione del recupero ha segnato un momento di grande importanza per
la Comunità ebraica di Bologna sia per il profondo valore
affettivo dell’area sia per la forte rispondenza che il restauro
ha avuto in città. Dopo i lavori il Cimitero ebraico è
stato infatti inserito negli itinerari organizzati all’interno
della Certosa dal Comune diventando ben presto una delle aree
più frequentate. Altrettanto significativo, sia per la
Comunità sia per la cittadinanza, un altro progetto realizzato
anch’esso con un finanziamento della legge 175 per i beni ebraici
che ha visto il restauro di un gruppo di undici sefarim di cui sono
state recuperate cinque pergamene risalenti al XVI e XVII secolo,
numerosi ornamenti d’argento e tessuti otto-novecenteschi.
L’intervento, che ha richiesto un budget di 40 mila euro e ha
impegnato diversi esperti, ha consentito alla Comunità ebraica
di ritrovare, nell’uso quotidiano, la bellezza dei suoi antichi
sefarim e il valore della sua storia comunicando al tempo stesso alla
città il valore di un patrimonio che non è solo ebraico
ma appartiene all’intera collettività. Non a caso uno dei
sefarim restaurati è stato inaugurato quest’anno proprio
in occasione della Giornata della cultura ebraica, uno dei momenti di
maggiore apertura e dialogo del mondo ebraico con la società. E
il recupero dei beni ebraici di Bologna potrebbe non esaurirsi qui.
Rimane infatti in sospeso il secondo capitolo della riqualificazione
del Cimitero. Il problema sostanziale dell’area, lo scolo delle
acque piovane che stanno mettendo a rischio tombe e monumenti
provocandone il dissesto, dovrebbe infatti essere affrontato in una
seconda tranche progettuale della durata di circa tre anni. Il
progetto, che prevede un impegno di spesa di circa 800 mila euro ed
è in attesa di finanziamenti, in parte anche sui fondi della
legge 175, ha già ottenuto l’ok della Soprintendenza e del
Comune. “Fra gli interventi previsti – spiega Daniele De
Paz – vi è innanzi tutto la realizzazione di una rete di
scolo per le acque che, in mancanza di adeguati drenaggi, rischiano di
compromettere la stabilità di tombe e lapidi”. “Sono
inoltre previsti – continua - il restauro dei muri perimetrali,
il recupero di ulteriori 35 lapidi in cattivo stato di conservazione
e il restauro di quattro cappelle di famiglia molto interessanti
dal punto di vista storico e architettonico oggi soggette a forti
infiltrazioni d’acqua piovana”. E’ infine in
programma la manutenzione del tempietto per i riti funebri,
tutt’ora in uso, e il rifacimento di un nuovo accesso
all’intera area.
Daniela Gross |
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“Gli orrori del passato e le minacce future. Serve vigilanza e uno sguardo lucido”
Il
4 gennaio di 65 anni fa il decreto legislativo del duce n. 2
recò “Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai
cittadini di razza ebraica”, che segnò – nei
territori assoggettati alla Repubblica di Salò – la
spoliazione finale degli ebrei, già individuati come stranieri
appartenenti a nazionalità nemica dalla Carta di Verona (14
novembre 1943). Con contraddittorio ossimoro, gli ebrei venivano
ora nuovamente insigniti del titolo di “cittadini”, proprio
mentre venivano braccati da fascisti e nazisti, nella negazione
più totale del diritto di avere e – soprattutto –
del diritto di essere. Si compiva nella Repubblica di Salò
l’atto finale della persecuzione antiebraica in Italia che, nel
corso dello scorso anno civile è stata commemorata in numerose
manifestazioni, a settanta anni dalle leggi razziali. Alla
legislazione razziale è anche dedicato un bel numero della
“Rassegna mensile di Israel”, curato da Michele Sarfatti e
alla cui realizzazione ha dato un prezioso apporto Myriam Silvera. L’auspicio,
a breve distanza dal Giorno della Memoria, è che non vi sia un
illogico strabismo – come talora sembra di vedere – tra
l’occhio che si volge indietro, severo nel riconoscere gli orrori
del passato, e l’occhio che guarda all’oggi, incapace di
percepire come questi orrori possano riprodursi se non si ha il
coraggio di fronteggiare chi vaneggia di nuovi olocausti, chi continua
a trattare Israele come l’ebreo tra gli Stati e chi professa e
diffonde l’antisemitismo.
Valerio Di Porto, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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Gaza
dodicesimo giorno. Ormai è guerra piena: una dura, sanguinosa,
terribile guerra asimmetrica per Israele. Una guerra forse necessaria
per garantire un futuro di sicurezza al sud del Paese. Ma una guerra
spietata nel cuore di un’enclave sovraffollata, dove i terroristi
di Hamas colpevolmente si fanno scudo della popolazione civile, che
è di fatto impossibile evitare di coinvolgere
nell’operazione. Frutto insanguinato di questa situazione
è stata ieri la distruzione della scuola ONU
“Fakura” di Jabalyia: una trentina di morti e più di
cinquanta feriti, tutti civili che cercavano riparo
dall’offensiva israeliana. I giornali di oggi mettono questo
grave episodio al centro delle loro cronache di guerra. Battistini sul
“Corriere della Sera”, Micalessin sul “Giornale”, Pintozzi Faccioli su “Liberal”, Marretta su “Liberazione”, Giorgio sul “Manifesto”, Scuto su “Repubblica”, Tramballi sul “Sole 24 Ore”
e altri su altre testate descrivono le scene di morte con analogo senso
di orrore e di umana pietas. Diverso è però il tono
complessivo, diversa la contestualizzazione della vicenda. Solo
Micalessin e Battistini paiono dare il giusto peso alla presenza nella
scuola di uomini di Hamas che sparando sugli israeliani ne hanno
provocato la reazione; anzi, solo Micalessin ne trae la naturale
constatazione di una metodologia bellica palestinese fondata sul farsi
consapevolmente scudo della popolazione civile. Marretta e Giorgio,
come prevedibile, sparano a zero su Israele, per loro colpevole al di
là di ogni possibile giustificazione. Certo, le
perplessità di fondo dello stesso Battistini (troppi
errori…se sono davvero errori…) e di Tramballi (quella
del “fuoco ostile” è una giustificazione
insufficiente) non possono essere allontanate a cuor leggero, aprono in
realtà – oltre la realtà spietata della cronaca di
guerra – una “questione morale”: è lo stesso
Tramballi a sostenere che la superiorità militare è utile
solo se al servizio di una “superiorità morale” che
va preservata. Su questo ineludibile piano etico interviene anche
– sulle pagine del “Corriere”
– Davide Frattini, che in un articolo dal significativo titolo
Combattenti o coinvolti? Quale bersaglio è legittimo? solleva il
problema dell’irrinunciabile atteggiamento umano, dei limiti che
occorre sempre porsi. Giornalista e non filosofo, lo fa dando la parola
ad autorevoli voci israeliane: il capo di stato maggiore della difesa
Ashkenazi, che tecnicamente spiega come siano irrinunciabili e
però anche incontrollabili gli obici dei carri e
dell’artiglieria in questo tipo di operazioni; un dirigente
dell’organizzazione umanitaria B’Tselem, che invita a
distinguere da Hamas uffici o università forzatamente coinvolti
da quel gruppo se non si vuole diventare altrettanto fondamentalisti
(ma come fare a distinguere, se questi sono i luoghi di formazione e di
propaganda anti-israeliana privilegiati?); Gideon Levy di
“Haaretz”, che con durezza implacabile si interroga non
solo su quel che resterà di Hamas ma anche su ciò che
sopravvivrà della democrazia israeliana; Ben Dror-Yemini, che
pur da destra osa – su “Maariv” – paragonare
questo intervento a Gaza a quello russo in Cecenia e constata quanto
sia forte il rischio di sradicare, con Hamas, anche se stessi. Al
problema morale ci richiama anche, con forza e però con
altrettanto dura condanna per il fondamentalismo di Hamas, un accorato
articolo di Adriano Sofri su “Repubblica”. Con
questo dilemma nel cuore (dilemma che certo Israele intero sente, a
differenza dei fanatici di Hamas), è però opportuno
tornare agli scenari bellici e alla politica, visto che tutto si gioca
su quel terreno. Mentre gli esiti militari della campagna israeliana
(fin qui tangibili e innegabili) cominciano a farsi più incerti
nel duro combattimento tra le vie di Gaza City o nei covi dei
terroristi di Hamas come Khan Yunis (Micalessin sul "Giornale” , Marretta su “Liberazione”, Scuto su “Repubblica”),
più fragile si fa anche la posizione di Israele sul piano
internazionale. E’ sempre Faccioli Pintozzi su “Liberal”
a evidenziarlo, citando la posizione del Commissario UE Benita
Ferrero-Waldner a colloquio con Peres a Gerusalemme. Nella medesima
direzione di accusa, stavolta giuridica oltre che politica, vanno le
pesanti dichiarazioni del responsabile dell’Unrwa a Gaza Ging,
che – ripreso da diversi giornali – chiede l’apertura
di un’inchiesta sulla vicenda della scuola bombardata. Anche gli
USA sembrano cambiare direzione, per quanto un correttissimo
Obama (da cui tutti i nostri blateranti politici potrebbero prendere
lezioni di democratico silenzio) si limiti, da “Presidente
eletto” e non in carica, a dirsi preoccupato per la situazione
umanitaria, e per quanto l’appoggio americano a Israele sia
comunque fuori discussione: intanto anche gli Stati Uniti giudicano
ormai una tregua come opzione urgente (ce ne parlano Mario Platerio sul
“Sole 24 Ore”, il liberal Paul Barman intervistato da Ennio Caretto sul “Corriere”, Steven Clemens responsabile dell’American Strategy Program interpellato da Marisa Palombo su “Europa”).
Ma quale tregua? Invocata con quali scopi e con quali parole? Un
sincero invito al cessate il fuoco, ma anche un forte richiamo ad
andare oltre le ipocrisie e le ambiguità tese a salvare e
giustificare la logica di Hamas è quello che ci giunge
dall’editoriale di Pierluigi Battista sul “Corriere”,
capace di cogliere con linearità la posizione politica
asimmetrica dei due contendenti, mentre troppo spesso si manifesta
sulle pagine dei nostri giornali la tendenza a equiparare, a non
indicare da che parte stanno la realtà e la struttura politica
della democrazia. In questo senso va pure letto l’incisivo
intervento di Furio Colombo sull’ “Unità”. Così come quello, netto e lineare, di Bernard Henry Lévy sul “Corriere”. Anche Fiamma Nirenstein sul “Giornale”
tenta di ristabilire i giusti procedimenti di un’informazione
correttamente critica, mentre nei confronti di Israele troppo spesso
(e, in certe situazioni, quasi sempre) non è la critica ma
l’odio, con i suoi secolari pregiudizi antiebraici, a fungere da
filo conduttore. Non pare però essere l’odio quello che
muove le posizioni di Massimo D’Alema, che oggi interviene
su “Repubblica”
a chiarire le sue posizioni ultimamente assai contestate: ama Israele e
la sua democrazia, e per questo vorrebbe la rinuncia alle inutili armi
e la ripresa della politica. Non odio dunque, da parte sua, ma
ingenuità: come dialogare con una parte (Hamas) che vuole solo
la tua distruzione? E la democrazia deve restare immobile di fronte ad
elezioni che danno democraticamente il potere a una dittatura?
D’Alema dunque avrebbe accettato anche il nazismo, giunto
legittimamente al potere dopo democratiche elezioni? A parte questo,
tutti (israeliani compresi) sono d’accordo che la parola debba
passare quanto prima alla politica. Ma insomma, cosa bolle in
pentola in queste ore forse decisive? Una tregua è
all’orizzonte? Le pagine dei giornali di oggi non ce lo dicono
chiaramente ma lo fanno prevedere. E anche le ultimissime on line lo
confermano: intanto Israele decide unilateralmente tre ore al giorno di
sospensione dell’azione militare. Sarà questione dei
prossimi giorni, probabilmente. Certo, dopo questo necessario
intervento di sicurezza, sarà duro costruire il complicato
dopoguerra.
David Sorani |
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Shimon Peres valuta il piano franco-egiziano per la pace Londra, 7 genn - "Noi
apprezziamo molto la posizione dell'Egitto, studieremo quel che propone
l'Egitto - ha detto il presidente israeliano Shimon Peres in merito al
piano franco-egiziano per una tregua a Gaza - “Abbiamo – ha
aggiunto - un'idea generale, dobbiamo guardare i dettagli perché
sfortunatamente da quelli dipende come verrà organizzata. Le
cose solo sulla carta non sono sufficienti a cambiare la situazione.
Noi non vogliamo prolungare la guerra. Non abbiamo alcuna ambizione
territoriale. Vogliamo mettere fine alla situazione attuale, ma anche
al terrore" – ha spiegato Peres, intervistato da Sky News
britannica. Il presidente egiziano Hosni Mubarak ha invitato ieri
sera israeliani e palestinesi a una riunione urgente per negoziare
accordi e garanzie per Gaza, in un'iniziativa congiunta con il
presidente francese Nicolas Sarkozy. Tra le garanzie, la sicurezza
delle frontiere, chiesta da Israele, l'apertura di valichi di confine e
la fine del blocco contro Gaza, come chiedono i palestinesi.
Gaza: il dodicesimo giorno Tel Aviv, Gaza, 7 genn - Dodicesimo giorno dell'operazione “Piombo Fuso”. A
mezzogiorno, come annunciato un paio d'ore prima, è entrata in
vigore la 'cessazione dei bombardamenti' al fine di facilitare gli
aiuti umanitari, permettere alla popolazione di approvvigionarsi e
facilitare il lavoro delle organizzazioni umanitarie. E' stato
messo in pratica pertanto quanto Olmert aveva deciso nella notte,
autorizzando un 'corridoio umanitario' di tre ore giornaliere -
compatibilmente con le necessità militari - per consentire alle
agenzie umanitarie di rifornire la popolazione di viveri. Iniziata
la tregua i ministri e i responsabili dell'esercito sono stati
chiamati a decidere se estendere ulteriormente le operazioni sul
terreno (ricorrendo anche alle unità di riservisti richiamate
nei giorni scorsi) oppure cedere alle pressioni internazionali che
invocano una tregua immediata, anche alla luce delle gravi condizioni
umanitarie createsi fra gli abitanti di Gaza, oltre un milione e mezzo
di persone. Israele continua ad accusare Hamas di utilizzare
"cinicamente" i civili come scudo umano per attaccare l'esercito.
L'agenzia dell'Onu Unrwa, invece, ha smentito che ci fossero
miliziani palestinesi nella scuola al-Foukhar di Jabalya, dove ieri
oltre 40 persone sono rimaste uccise dal fuoco di mortai israeliani.
Anche l'ospedale Shifa di Gaza ha smentito informazioni israeliane
secondo cui "nei suoi sotterranei" avrebbero trovato riparo dirigenti
di Hamas. Quanto ai combattimenti, due miliziani sono stati
uccisi di prima mattina dal fuoco israeliano e altre sette persone sono
poi rimaste uccise in combattimenti divampati nel rione di Sheikh
Radwan, a Gaza. Non si sa ancora se fossero civili o uomini armati.
Complessivamente, dall'inizio delle ostilità, 680 palestinesi
sono stati uccisi a Gaza dal fuoco israeliano e altri 3.000 sono stati
feriti. Nel frattempo il braccio armato di Hamas prosegue gli attacchi
di razzi contro diverse città israeliane. Nella mattinata ne
sono esplosi una decina. Le città colpite sono state Ashqelon,
Ashdod e Sderot. Non si ha notizia di vittime.
Il conflitto israeliano, le ong francesi:"sospendiamo la cooperazione con Israele" Parigi, 7 genn - Alcune
organizzazioni non governative francesi hanno chiesto all'Ue di
sospendere il processo di potenziamento della cooperazione economica e
politica con Israele (processo che dovrebbe concludersi nel 2009). Nessun
legame privilegiato quindi con Israele "fino a quando non
accetterà il cessate il fuoco completo e permetterà
l'ingresso nella Striscia". Fra le ong d'Oltralpe che hanno mosso
tale richiesta vi sono: Il Comitato cattolico contro la fame (Ccfd),
Oxfam Francia e la Federazione internazionale dei diritti dell'uomo
(Fidh). Le ong accusano Israele di "violare il diritto internazionale
umanitario e favorire il proseguimento della violenza", per questo
motivo hanno inoltrato tale richiesta a Bruxelles. Il proseguimento
della cooperazione con Israele, secondo loro, metterebbe in gioco la
stessa credibilità dell'Ue. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
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