se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
|
|
L'Unione informa |
|
|
|
12 gennaio 2009 - 16 Tevet 5769 |
|
|
|
| |
|
alef/tav |
|
|
|
|
|
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Tra
gli effetti collaterali e locali della guerra di Gaza c'è la
riflessione sul significato delle manifestazioni islamiste nelle grandi
piazze italiane, culminate simbolicamente in preghiere collettive.
Quale che ne sia l'interpretazione è evidente che si pone il problema
di una migrazione con forte identità politico-religiosa con modelli
antitetici rispetto alla cultura locale consolidata. Quello che qui
sembra un problema dell'ultima settimana è per noi un problema di
qualche millennio. Guarda caso proprio questa settimana leggiamo la
parashà di Shemot, l'inizio del libro dell'Esodo. Gli ebrei scesi in
Egitto erano un gruppo identificato da una religione e una cultura
nettamente differenti da quella egiziana; la Torà dice che le abitudini
ebraiche erano una to'evà, un abominio per gli egiziani; per questo si
tennero ben distinti gli uni dagli altri. Lo scenario biblico è noto:
accoglienza iniziale, assoggettamento, persecuzione, quindi a lungo
termine distacco traumatico. Quale scenario si prospetta per l'Europa
di oggi? |
|
L'intervista
di Guido Vitale a Walter Arbib, l'imprenditore ebreo che si è fatto
promotore dell'iniziativa di inviare medicinali destinati ad alleviare
le sofferenze dei bambini, tanto di quelli di Gaza che di quelli
israeliani bersaglio dei razzi di Hamas, ci riempie di speranza e di
orgoglio. Di orgoglio, perché c'è nelle parole di Arbib e nella volontà
di chi, come l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Comunità di
Roma, ha contribuito all'iniziativa, una motivazione etica alta,
lontana dalla politica e dalle sue strategie: quella di alleviare le
sofferenze di chi soffre, soprattutto di chi, come i bambini, è senza
difesa alcuna. E perché grida al mondo che per gli ebrei il sangue dei
bambini di Gaza vale esattamente quanto quello dei bambini di Sderot:
nulla di più, ma anche assolutamente nulla di meno. E credo che di
affermarlo ci sia, in questo momento, bisogno. Di speranza,
perché, per piccola cosa che sia di fronte a questa tragedia, ci fa
credere che esista la possibilità di uscirne. |
Anna Foa,
storica |
|
|
|
|
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
La stampa israeliana nella Rassegna Lezione di professionalità e democrazia
Un fatto nuovo attende i lettori di questo notiziario quotidiano e del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it
Gli
editoriali dei quotidiani israeliani del mattino (Haaretz e Jerusalem
Post, in lingua inglese) sono entrati già nelle prime ore del giorno
nel flusso della Rassegna stampa. Si apre ora una finestra
straordinaria, e proprio in questo momento così delicato, per vedere da
vicino come funziona e quanto vale l'unica democrazia del Medio
Oriente. Il lettore potrà prendere in mano già al mattino la stessa
pagina di giornale che si trova nelle edicole di Tel Aviv e
Gerusalemme. Potrà misurare di cosa si dibatte. E con quanta libertà. E
a quale livello. Potrà conoscere la professionalità con cui vengono
realizzati i quotidiani israeliani. Una lezione che non teme confronti,
non solo su quella sponda del Mediterraneo, ma nel mondo intero. Un
motivo in più, se ce ne fosse il bisogno, per amare, con la ragione e
con il cuore, la realtà di Israele.
Per ottenere questo
risultato, i colleghi del Desk e il personale di Data Stampa, che
fornisce il supporto tecnico, hanno lavorato nelle scorse ore
febbrilmente. A tutti loro la mia gratitudine: a beneficio della
minoranza ebraica in Italia e di tutti coloro che credono negli ideali
di cui è da due millenni portatrice, hanno messo a segno risultati
nuovi e importanti. Agli utenti, buona lettura.
g.v.
|
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Il pacifismo a senso unico di questi giorni rispolvera anche i trafficanti di armi
Del "pacifismo" ormai minato cronicamente nella propria salute da
decenni di pregiudizio e unilateralismo, sopravvive ancora
qualcosa di successo: a oggi le manifestazioni dei "pacifisti",
quelle nelle quali si continuano a bruciare le bandiere (in genere
degli odiati israeliani e americani) vengono infatti definite dai media
"per la pace". Manifestare quindi per le ragioni d'Israele, stato
democratico che cerca un vero interlocutore con il quale arrivare
finalmente alla giusta pace, sarebbe di conseguenza
"guerrafondaio"... Fortunatamente, come ha ribadito in questi
giorni l'ambasciatore d'Israele Gideon Meir, in realtà la percezione
delle ragioni d'Israele è oggi in Italia decisamente più solida che in
passato. Vediamo
quindi di superare ora anche lo zoccolo duro che conferisce, in molti
casi per riflesso inconscio, il titolo di manifestazioni per la pace a
quelle dei cosiddetti pacifisti. Un contributo utile può venire
dalla Toscana, dove, si legge sui giornali, ospitata da
Rifondazione Comunista regionale è sorta la campagna "Sos Palestina", a
cura del Comitato internazionale educazione per la pace, con lo scopo
di raccogliere fondi "per i bambini e le bambine di Gaza". A parte
l'immancabile lista di obsoleti pregiudizi antisraeliani, l'iniziativa
sarebbe anche lodevole (pur dimentica del fatto che ci sono bambini e
bambine che soffrono anche in Israele) se non vi fosse una nota
tragicomica e inquietante. Nel "comitato dei garanti" figura, tra gli
altri, quel sant'uomo di monsignor Hilarion Capucci, il sacerdote che,
lo ricordo ai più giovani, a metà degli anni settanta venne colto in
flagrante dagli israeliani mentre contrabbandava armi per i terroristi
palestinesi. E' proprio ora di archiviarli, questi "pacifisti".
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
|
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Tzahal è “vicina agli obiettivi”, dice il primo ministro Ehud Olmert (Luciano Gulli sul Giornale, Davide Frattini sul Corriere, De Giovannangeli sull’Unità),
il che significa che secondo Israele la guerra potrebbe finire presto,
ma anche che deve proseguire quanto serve a raccogliere i frutti
del durissimo sforzo compiuto finora. Come sempre negli ultimi
giorni i temi sui giornali riguardo alla guerra sono soprattutto tre: i
resoconti sul terreno, quelli sui movimenti diplomatici, le analisi
sulla situazione e sul futuro. Ad essi si aggiungono le notizie sulle
manifestazioni pro e conto Israele, in Italia e nel mondo.
La situazione sul terreno. Come dicono per esempio Davide Frattini sul Corriere e Alberto Stabile su Repubblica,
la dirigenza israeliana vede vicino il raggiungimento degli obiettivi:
il numero dei missili di Hamas sta lentamente calando, le forze attive
del terrorismo, i depositi di armi e i tunnel del contrabbando sono
stati pesantemente colpiti. Come si sa, a costo anche di gravi perdite
fra i civili palestinesi, usati come scudi umani dai terroristi. Questo
non vuol dire che Hamas sia pronta ad alzare bandiera bianca,
come spiega Amos Yadlin, capo dell’intelligence di Tzahal nella cronaca
del Corriere;
è di oggi la notizia sul sito del Jerusalem Post che l’Iran si stia
attivamente opponendo a ogni richiesta di tregua da parte di Hamas; né
certamente che Israele voglia trattare con loro; ma che presto ai
terroristi sarà molto difficile opporsi alle soluzioni internazionali
che saranno decise su Gaza. Un’analisi molto meno ottimista e più
perplessa si legge però su un editoriale non firmato di Haaretz.
Il fatto è che di quel che succede sul terreno si sa abbastanza poco,
soprattutto per la decisione di Israele di tener lontani i giornalisti,
per ragioni di sicurezza. Se ne lamentano in molti, anche la stessa
Haaretz, con un intervento di Jossy Melman Da leggere il servizio molto interessante di Gian Micalessin sul Giornale
sulle tattiche non convenzionali di Tzahal e sulle trappole di Hamas
nei combattimenti urbani a Gaza city. Tutt’altra cosa rispetto alla
spazzatura riportata da Cristina Nadotti su Repubblica
in cui si favoleggia di armi segrete, radioattive, chimiche, insomma
ogni sorta di demonizzazione di Israele, proveniente da notizie di
organizzazioni non governative. A questo proposito, vale la pena di
leggere l’articolo di Anne Herzberg sul Jerusalem Post che documenta come le ONG con le loro denunce spesso appoggino la campagna di relazioni pubbliche di Hamas. Una notizia a lato viene dal Libano (fra gli altri quotidiani, Il Giornale):
sarebbe stato sventato un attentato contro i soldati italiani
dell’Unifil, con un camion della spazzatura con un piccolo carico di
esplosivo, fermato mentre entrava nella loro caserma
Le analisi. Di particolare interesse la lettura di Angelo Panebianco sul Corriere
dei pregiudizi attraverso cui il mondo guarda il conflitto. Su letture
come quelle di D’Alema e dell’estrema sinistra pesa il vecchio
inquadramento della questione israeliano-araba nel contesto del
conflitto est-ovest e delle lotte di liberazione nazionale. Mentre oggi
il quadro è diverso, i fattori fondamentali sono l’islamismo radicale,
il terrorismo, l’aggressività iraniana. Viviana Mazza racconta con un certo compiacimento sul Corriere
il mutamento di tono dei giornali americani, New York Times in testa,
che sarebbero diventati meno filo-israeliani e più sensibili alle
posizioni palestinesi o pacifiste. Questo è vero dei grandi giornali
liberal americani; ma in genere in questa guerra l’informazione, anche
quella europea, appare meno schierata del solito in senso
filo-palestinese e più equilibrata del passato. Merito anche del grande
sforzo di hasbarà compiuto da Israele e dai suoi sostenitori
all’estero, come spiega Mitchell Barak sul Jerusalem Post. A conferma dell’ambiguità delle scelte dei grandi giornali americani, lo Herald Tribune
(che è in sostanza l’edizione europea del New York Times) riporta
l’editoriale di Roger Cohen che, nonostante il nome, protesta per la
simpatia dell’amministrazione attuale e forse anche della prossima per
Israele e chiede la nomina di un arabo-americano a capo dei negoziatori
di Obama per il medio oriente. Obama per fortuna non ascolta questi
richiami e ha dichiarato a un talk show di voler seguire i precedenti
della presidenza Bush e di quella Clinton (Bozzano su Il Messaggero). Da leggere sullo stesso tema l’analisi che su Le Monde Veronique
Maurus, garante dei lettori, fa delle lettere ricevute dal giornale
francese sul conflitto: diciamo solo che il quadro non è affatto
confortante. Irvin Kotler sul Jerusalem Post
torna sul carattere antisemita e guerrafondaio dell’identità di Hamas
come causa della guerra e ne deduce che la pace potrà essere solo
realizzata se si troverà il modo di neutralizzare queste tendenze.
Interessante l’intervista di A.B. Yehoshuah al Messaggero,
in cui afferma che le cose si risolverebbero se Hamas, invece di
pensare a far la guerra si occupasse del suo popolo e cercasse di
migliorare le sue condizioni economiche: volesse il Cielo… Francesca Paci sulla Stampa
riporta l’opinione di due analisti israeliani, lo storico Oreen e lo
stratega Yaari: si combatterà ancora per un periodo che proseguirà ben
dentro la presidenza Bush, fino a una vittoria tale da poter rendere
irrilevante Hamas per le trattative. In questo senso va anche la bella
intervista di Alan Dershowitz sul Corriere: solo la sconfitta di Hamas potrà riaprire il processo di pace. Daniel Pipes sul Jerusalem Post
accusa la politica israeliana di essere molto meno efficace dell’azione
militare e di aver sbagliato prospettiva strategica. Va certamente
letto infine il duro articolo di Gunnar Heinsohn sul Wall Street Journal:
bisogna smettere, dice l’autore “la guerra per procura dell’occidente
contro Israele”, che si realizza attraverso l’appoggio delle agenzie
dell’Onu ad Hamas e al boom demografico di Gaza. Solo così la guerra
potrà finire. Da notare in questo contesto una piccola notizia riportata sul New York Times (riferita in Italia dal vari giornali fra cui Corriere, da Repubblica e dall’Unità; la notizia più completa è quella di Molinari sulla Stampa):
l’anno scorso Israele chiese agli Stati Uniti il permesso di sorvolare
l’Iraq per raggiungere i siti atomici iraniani, e Bush negò questo
permesso. Se n’era già parlato, ma la conferma ha peso.
Gli sviluppi diplomatici. Il Corriere
parla della delusione di Tzipi Livni “tradita” dal segretario di stato
Condy Rice sulla risoluzione dell’Onu: la storia sa di pettegolezzo, ma
certo l’atteggiamento dell’America è decisivo per questa guerra come
per tutta la politica mondiale. Il fatto è che la risoluzione in
Israele suscita molte critiche ed è considerata un fallimento della
Livni. Il Jerusalem Post,
per esempio, in un editoriale non firmato critica la risoluzione
dell’Onu come vuota e inefficace. Un’analoga argomentazione sullo
stesso giornale è ribadita da un articolo dell’ex ambasciatore
israeliano all’Onu Gold Dore. R.A. Segre, in un’analisi sul Giornale
delle prossime elezioni israeliane, giudica che questo fallimento possa
costare alla leader di Kadima la guida del prossimo governo. Zvi Ba’rel su Haaretz,
analizza i rapporti fra Israele e gli stati vicini e afferma che Hamas
è riuscito a danneggiare gravemente le relazioni con alcuni stati della
regione che erano considerati amici, come l’Egitto e la Turchia. Aluf
Benn, sullo stesso giornale, cerca di capire perché Israele sia così a
disagio con le istituzioni internazionali. L’ex generale Ramponi, ora deputato Pdl, sostiene sul Tempo che nel vuoto dell’azione diplomatica efficace, sono i servizi segreti oggi a tessere la tela delle trattative.
Le manifestazioni. C’è
stata ieri un’ennesima sfilata islamica per le strade di Milano, con
bandiere bruciate, bambini inquadrati a portare bandiere e preghiera
islamica alla fine. I manifestanti erano piuttosto pochi (un migliaio
per la polizia, secondo loro 5 mila) e vanno registrate le reazioni di
irritazione da parte del Comune. Ne riferiscono due articoli di Nello
Schiavo sull’Avvenire e due di Paola Fucilieri e Alberto Giannoni sul Giornale. Quest’ultimo nota la presenza alle manifestazioni di frange pro Brigate Rosse A Roma c’è stata invece una “catena umana”, anch’essa non troppo numerosa ma più pacifica. Ne parla l’edizione romana del Corriere della sera.
Molto preoccupante nella capitale il raid di teppisti filopalestinesi
(probabilmente di sinistra dopo le svastiche di destra dei giorni
scorsi) contro la Rai, Repubblica
(che certo non sono a favore di Israele): bisognerà seguire con molta
attenzione la saldatura in atto fra metodi fascisti dell’estrema destra
e dell’estrema sinistra. Cronache su E-polis e Corriere. A
Torino è uscito un comunicato del Pdci (il partito di Diliberto) che
difende l’atto di bruciare le bandiere durante le manifestazioni: una
testimonianza ulteriore della regressione neo-stalinista e del
“primitivismo” (così il democratico Ranieri sul Corriere)
delle forze dell’ultrasinistra. Carlo Giovanardi, sottosegretario
alla presidenza del consiglio, ha proposto di espellere gli immigrati
che bruciano bandiere: naturalmente è stato trattato da repressore
antidemocratico da Marco Minniti, dalemiano del PD (Alberto Custodero
su Repubblica), appoggiato dal solito cardinale antisraeliano, questa volta José Saraviva Martins (Orazio La Rocca su Repubblica). Sulla posizione filopalestinese della Chiesa polemizza, sempre su Repubblica il ministro della difesa La Russa. Prosegue anche la polemica sulle preghiere islamiche sui sagrati delle cattedrali. Questa volta interviene preoccupato sul Giornale
il vescovo di San Marino Monsignor Negri, che parla di “conquista di
spazi pubblici”. Sempre sul Giornale troviamo un inquietante ritratto
del nuovo dirigente dei giovani islamici italiani: Omar Jabril: un
estremista, e dei peggiori. Giovanna Zincone sulla Stampa cerca di dare un’analisi sociologica delle reazioni all’”invasione dello spazio pubblico”. Questioni analoghe, del resto, si pongono un po’ dappertutto in Europa: così in Spagna (El mundo) e in Francia (Le figaro)
Altre notizie Shahar Ilan su Haaretz
illustra la situazione assai confusa sul piano legislativo e
burocratico che regola l’esenzione degli studenti a tempo pieno delle
yeshivot dal servizio militare in Israele. Altri editoriali sullo
stesso giornale parlano della posizione attuale dei nazionalisti
religiosi (Yair Sheleg) del rischio dell’incriminazione per crimini di guerra dei comandanti dell’esercito israeliano (Gideon Levy), della necessità di rinviare le elezioni (Ze’ev Segal) e dell’opportunità di respingere una petizione che escluderebbe le liste arabe dalle elezioni (editoriale non firmato). Da leggere la nobile intervista del rabbino capo di Francia Gilles Bernheim al Figaro, che fra l’altro esprime compassione per i danni alla popolazione civile di Gaza. Va sottolineato infine l’annuncio sul Giornale della manifestazione milanese “Sosteniamo Israele, sosteniamo la pace” questa sera alle 20.30 al Piccolo Teatro.
Un’innovazione importante nella rassegna Come
i lettori avranno notato, da oggi sono entrati massicciamente nella
nostra rassegna i maggiori giornali israeliani in lingua inglese
(Haaretz, Jerusalem Post). E’ uno sviluppo importante che consente ai
lettori di avere informazioni in presa diretta sul dibattito israeliano
e di prendere atto della sua ricchezza e complessità. Israele è una
democrazia vera e ricchissima, ribollente di idee e di posizioni; non
soffre certo di pensiero unico anche sui temi cruciali della guerra e
della pace. Dobbiamo esserne fieri e imparare a considerare in maniera
un po’ meno monolitica la vita politica e soprattutto l’identità di
Israele. Questo ci aiuterà ad appoggiarlo in maniera più efficace e
dialettica.
Ugo Volli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Gaza: Frattini elabora un "Piano Mashall" per palestinesi Roma, 12 gen - Il
ministro degli Esteri, Franco Frattini, in un'intervista al quotidiano
online 'ilsussidiario.net' ha dichiarato che il G8 a guida italiana si
impegnerà per un'azione "a medio termine", per il "futuro dello Stato
palestinese e della sicurezza dello Stato israeliano" e per
l'attuazione di una sorta di "Piano Marshall per i palestinesi".
Frattini ha anche aggiunto che l'Italia è impegnata sul piano
umanitario, con l'invio di un "convoglio che partirà tra pochi giorni,
e che porterà nel territorio palestinese di Gaza una serie di aiuti
alla popolazione, come medicine e generatori elettrici".
Roma: D'Alema non è guerra contro Hamas è una spedizione punitiva Roma, 12 gen - L'ex
ministro degli Esteri Massimo D'Alema, ospite della tv 'Red' ha
affermato che " La Guerra contro Hamas è un'espressione partigiana
dell'esercito israeliano. Si tratta di una vera e propria spedizione
punitiva dove sono stati uccisi già circa 300 bambini. Come si combatte
il fondamentalismo? Con il massacro di bambini il fondamentalismo si
rafforza". L'uccisione di civili e di bambini, è la convinzione
di D'Alema, "avrà un enorme peso politico perché quello che sta
accadendo a Gaza dal punto di vista del fondamentalismo è uno
straordinario incoraggiamento ad una campagna di reclutamento in una
logica di un guerra santa all'Occidente". L'ex vice premier ribadisce
la sua "avversione contro il fondamentalismo di Hamas" ma "il problema
non è Hamas perché noi non siamo alleati di Hamas. Il problema è cosa
fa l'Europa, gli Stati Uniti e Israele per non fare il gioco del
fondamentalismo che uscirà rafforzato mentre saranno indebolite le
leadership moderate". |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|