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L'Unione informa |
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13 gennaio 2009 - 17 Tevet 5769 |
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alef/tav |
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Roberto
Della Rocca, rabbino |
“...chi
cammina per la strada studiando e interrompe e dice: come è bello
questo albero!, come è bello questo solco!, è considerato come
uno che mette in pericolo la propria persona...” Pirqè Avòt, 3; 9. Da
questa situazione un po' estrema che la Mishnah ci prospetta, nella
quale vi è un'irruzione dell’estetica nell’etica, si evince come lo
studio della Torah deve costituire una continuità "in cammino" che
proibisce ogni forma di interruzione. Lo sviare lo sguardo durante il
nostro percorso può risultare una distrazione fatale per la continuità
dei nostri progetti. Apparentemente questo insegnamento potrebbe
indurci a concludere che anche un certo amore per la natura debba
essere escluso dall'universo ebraico. Niente affatto. Sembra piuttosto
emergere come l'impegno nella Torah non può essere
scambiato con il senso di una contemplazione estetica. Ne risulta che
dell'ebraismo non possiamo accogliere solo ciò che ci piace. Più che un
dovere o un obbligo la Torah costituisce una condizione
esistenziale di dinamismo e continuità tesa a scuotere il soporifero
corso della vita naturale. |
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Dalla
corrispondenza di André Chouraqui (in uscita presso le edizioni Paoline
di Roma: un volume di grande interesse e suggestione): "Mi sono
rivolto a voi (sta scrivendo a Jacques Maritain, nel 1969) per farvi
ascoltare il grido di questo popolo ferito da troppa saggezza o troppa
prudenza da parte degli stessi, i cristiani, che dovrebbero
meglio capire il significato spirituale della nostra rinascita e che
potrebbero forse non lavarsi le mani della nostra sorte e non
condannarci con troppa fretta, mentre il silenzio è così pesante quando
siamo noi stessi condotti al macello o minacciati di esserlo". Parole
dense di significato, di storia e di presente |
Elena Loewenthal,
scrittrice |
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I progetti di federalismo fiscale e le istituzioni ebraiche italiane
L'Aula
del Senato comincia oggi la discussione sul disegno di legge relativo
al federalismo fiscale. Semplificando al massimo: le Regioni – cui sono
state attribuite a seguito delle riforme degli anni Novanta, culminate
con la riforma costituzionale del 2001, numerose competenze – avranno
anche la possibilità di attingere direttamente sul proprio territorio
(molto più che in passato) le risorse necessarie per l'espletamento
delle proprie funzioni. Il processo in corso a livello
statale (attribuzione prima di competenze e poi di risorse) è in buona
misura speculare a quello percorso – in anni recenti – dalle Comunità
ebraiche. Fino all'opzione di avvalersi della quota dell'8
per mille, il bilancio dell'Unione delle Comunità ebraiche (e prima
ancora israelitiche) era quasi interamente derivato: dipendeva per la
quasi totalità dai contributi versati dalle Comunità. Con la
partecipazione all'8 per mille, l'UCEI è diventata la destinataria di
risorse modeste in termini assoluti ma importanti per l'ebraismo
italiano, traendone indubbia forza, in primo luogo come snodo
fondamentale nel flusso finanziario tra Stato e Comunità. Già
l'Intesa siglata nel 1987 aveva sancito un ruolo importante dell'UCEI
in termini di rappresentatività dell'ebraismo italiano nei confronti
dello Stato. L'afflusso diretto di risorse ha comportato un suo ruolo
più incisivo rispetto alle Comunità. Ne sono nati
contrasti e discussioni sul ruolo dell'Unione e sulle modalità di
distribuzione delle risorse tra UCEI e Comunità e tra le Comunità, cui
si è cominciata a dare soluzione già a partire dalla scorsa
consiliatura, quindi con il congresso del 2006 e con il Consiglio
attualmente in carica, nella cornice dello Statuto approvato dal
congresso straordinario del 1987. Lo Statuto ha quindi
dimostrato di reggere l'impatto della rivoluzione quasi copernicana nel
frattempo intervenuta, ma non mancano le problematiche suscettibili di
essere ripensate nel quadro di una complessiva riflessione
sull'ordinamento dell'ebraismo italiano. A questo fine il
Consiglio UCEI, nella riunione dell'8 dicembre 2008, ha nominato una
Commissione chiamata a valutare eventuali proposte di modifica
statutaria, che ho il compito di coordinare. Uno dei punti chiave all'esame della Commissione sarà sicuramente quello dei rapporti tra UCEI e Comunità. Per
inquadrare anche in termini storici la questione, proverò a
ripercorrere nelle prossime settimane i momenti salienti dei rapporti
tra Unione e Comunità nel corso del Novecento, anche avvalendomi di
recenti letture.
Valerio Di Porto, consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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Anche a Milano per Israele e per la pace
Una
grande manifestazione di solidarietà e vicinanza a Israele si è svolta
a Milano, città teatro nelle scorse ore di cortei proHamas che si sono
abbandonati a manifestazioni di intolleranza e antisemitismo, in cui
sono state bruciate bandiere con la Stella di Davide. Alla serata,
organizzata dal Keren Hayesod in collaborazione con la Comunità
Ebraica, il Keren Kayemet Leisrael, l’Associazione Amici d’Israele,
l’Unione Giovani Ebrei d’Italia, il Benè Akiva, l’Hashomer Hatzair e
tutti gli enti ebraici milanesi, molte autorità, esponenti del mondo
giornalistico e tantissimi comuni cittadini hanno voluto essere
presenti per portare il proprio sostegno a Israele nel momento
difficile che lo Stato ebraico sta attraversando. Tra gli altri, il
ministro della Difesa Ignazio La Russa, la giornalista, deputata del
PDL e vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera Fiamma
Nirenstein, il deputato PD Emanuele Fiano, Magdi Allam, giornalista e
scrittore, già vicedirettore del Corriere della Sera, , il filosofo
Paolo Del Debbio editorialista del Giornale e di TgCom. Il teatro è completamente pieno, tantissimi sono i giovani. La serata si apre con la toccante lettura a due voci di “Elogio alla mia terra” di Herbert Pagani. Poi
suona la sirena, quella sirena che “per gli abitanti del Sud di Israele
segna l’inizio dei 15 secondi a disposizione per scampare alla morte”
come ricorda il Presidente Nazionale del Keren Hayesod Samy Blanga.
“Oltre 9200 razzi - ha ricordato - in sei anni senza che Israele
reagisse. Israele non vuole che muoiano civili. Li avverte perché si
mettano al riparo. Hamas li usa come scudi umani. Vuole la pace, ma ha
bisogno di interlocutori affidabili. Non vuole conquistare Gaza, è
uscita da lì con costi enormi in termini sia economici che morali, con
la lacerazione provocata dallo smantellamento degli insediamenti. Oggi
siamo qui per dimostrare che Israele non è sola, e ringrazio tutti i
presenti e tutti coloro che hanno inviato messaggi di partecipazioni e
solidarietà a questa iniziativa”. Il Presidente della Comunità
Ebraica di Milano Leone Soued chiede prima di intervenire un minuto di
silenzio per tutte le vittime israeliane e palestinesi. Tutti i
presenti si alzano, perché, come ricorda l’ambasciatore israeliano
Gideon Meir nel messaggio che invia ai partecipanti, rammaricandosi di
non poter essere presente di persona, Israele sceglie e combatte per la
vita, Hamas vuole la morte di israeliani e di ebrei, ma non si
preoccupa neppure di quella dei civili palestinesi usati come scudi”. Il
moderatore della serata, Paolo Del Debbio, coordina gli interventi
ricordando “non sono ebreo, né milanese ma sono amico di Israele e
ritengo che la sua cultura e mentalità ci abbia insegnato tanto,
innanzitutto il rispetto per gli altri e nel 2009 con tutti i problemi
che abbiamo non vorremmo più perdere tempo a discutere della
legittimità non delle scelte di un governo, ma dell’esistenza stessa di
un Paese, è davvero assurdo.” Durante la serata giunge eco
dall’esterno degli scontri tra Polizia e un corteo con lo scopo di
impedire lo svolgimento della serata, ancora una volta carico di odio e
di violenza. Sulla gravità dei fatti avvenuti nelle manifestazioni
dei giorni scorsi si soffermano il vicesindaco di Milano Riccardo De
Corato, il sindaco di Varese Attilio Fontana, l’assessore alla
sicurezza della Provincia di Milano Alberto Grancini, a nome del
Presidente della Provincia Penati,. L’onorevole Emanuele Fiano “da
uomo di sinistra” come si definisce sostiene “il diritto di Israele a
difendersi da un nemico mortale come Hamas, che non si fa scrupolo di
indottrinare i bambini, di eliminare i propri avversari politici, e di
imporre il fanatismo. Io ricordo tutti i morti, quelli israeliani,
soldati e civili, i palestinesi uccisi da altri palestinesi, ma anche
quelli morti per mano israeliana. Sono convinto che la soluzione dovrà
essere quella di due popoli e due stati perché penso che la forza
militare non basti ad assicurare la pace a Israele”. Il Ministro
della Difesa La Russa, molto applaudito, parla di responsabilità. “La
solidarietà a tutti coloro che soffrono è doverosa, ma lo è anche
l’individuazione delle responsabilità in modo netto. Hamas ha rotto la
tregua. Hamas si pone come obiettivo nello statuto la cancellazione
dello stato d’Israele, e l’eliminazione fisica degli ebrei. Bisogna
distinguere il veleno dall’antidoto, la malattia dalla cura. La pietà
per le vittime innocenti è enorme, ma a tutti coloro che parlano di
reazione sproporzionata, che accusano Israele di aumentare i problemi,
o di non risolverli, dico che certo Israele se nel corso della sua
storia non si fosse difesa avrebbe certo fatto sparire molti problemi,
perchè non esisterebbe più. Ma Israele sceglie di difendersi e noi
dobbiamo tutti stringerci attorno a questo eroico paese.” E
secondo l’onorevole Fiamma Nirenstein sta davvero cambiando qualcosa
nell’opinione pubblica, che sembra più disposta rispetto al passato ad
ascoltare e condividere le ragioni di Israele, “uno Stato che paga con
la sua sofferenza il prezzo della lotta del mondo libero contro il
terrorismo, in cui l’eroismo è diffuso in ogni forma, quella di un
padre capace di chiamare suoi figli i commilitoni di suo figlio, ucciso
dal fuoco amico dei loro fucili, di un comandante ferito che scappa
dall’ospedale per raggiungere il suo battaglione, e soprattutto di
coloro che sotto i migliaia di missili sparati da Gaza rischiano in
continuazione la propria vita per mettere in salvo quella dei propri
figli, genitori, e poi anziani donne e bambini, mai lasciati indietro,
mai mandati a fare da scudi umani. Questa la vera sproporzione, Israele
i civili li protegge, Hamas con i civili si protegge, e sei milioni di
ebrei in mezzo a trecento milioni di arabi continuano a vivere una vita
il più normale possibile nonostante razzi, autobombe e kamikaze” “Israele
difende la sacralità della vita, e tutti coloro che la tengono in
considerazione devono sostenerla in modo netto. Il silenzio è
connivenza, soprattutto quella dei musulmani moderati” chiude con
grande forza gli interventi Magdi Cristiano Allam. “quello che è
successo a Milano nei giorni scorsi, piazza del Duomo, la Stazione
Centrale trasformate in moschee, è inaccettabile. Ci sono personaggi
che l’Italia continua ad accettare che portano avanti un’opera di
lavaggio del cervello e di instillazione d’odio, la guerra che combatte
Israele è la guerra di tutti noi. Non possiamo rischiare di rendercene
conto troppo tardi”. In chiusura di una serata in cui, come
sottolinea Del Debbio, la classe politica si è dimostrata all’altezza,
risuonano gli inni italiano e israeliano.
Rossella Tercatin |
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La situazione Continua e si approfondisce pian piano l’offensiva israeliana contro Hamas (Ugo Tramballi e Giannandrea Gaiani sul 24 ore), ma continua anche il lancio di razzi (Aldo Baquis sulla Stampa). Molte fonti (per esempio Giorgio Ferrari su L’Avvenire) parlano dell’imminenza di una “terza fase” dell’operazione. Per Battistini sul Corriere
invece l’operazione starebbe “rallentando” e ci sarebbero dissensi fra
Olmert che vorrebbe l’offensiva finale (come la vorrebbe anche lo stato
maggiore israeliano: così Michel Boel-Richard su Le Monde)
e Barak e Livni che invece frenerebbero. Da leggere l’intervista
allegata ad Amos Gilad, il quadro più politico di Tzahal. La tesi dei
dissensi nel governo, che viene da Haaretz (si veda l’editoriale non firmato intitolato “The danger of politicization”), è ripresa anche dal Foglio in un articolo incongruamente titolato “Nei sotterranei di Gaza” e pure dal Giornale (articolo siglato da Micalessin).
Per Il Giornale è chiaro comunque che siamo in una fase statica della
guerra, in uno “stallo” delle operazioni e delle trattative. Un’inchiesta fra i militari israeliani di Gulli del Giornale registra qualche malumore e incertezza. Ma Ethan Bronner sullo Herald Tribune
dice che i dissensi in Israele sono molto minori che in altre occasioni
e che è generale l’impressione che Tzahal stia combattendo una “guerra
giusta”. Si discute sulla possibilità di una soluzione
diplomatica. Tony Blair vede “vicina” una tregua. Gli iraniani la
condannano e invocano una nuova intifada (Francesca Bertoldi su Avvenire). Francesca Paci sulla Stampa
riferisce come al centro della situazione ci sia un duro
conflitto fra Iran e Egitto per l’egemonia nel mondo islamico. Che
l’Egitto sia la pedina chiave di questa partita e sia messo di fronte a
scelte difficili, lo sostiene anche un editoriale del Jerusalem Post. Da quel che si capisce (articolo siglato D.F. sul Corriere) i dissensi sono forti dentro Hamas. Per Micalessin sul Giornale, Hamas sarebbe ora dominato dal timore della sconfitta. Una breve del Corriere
informa che la commissione elettorale ha invalidato la presentazione
alle elezioni dei due partiti arabi, che in sostanza appoggiano Hamas
(c’è una clausola di legge che impedisce la partecipazione alle
elezioni di partiti che neghino l’esistenza dello stato o si alleino ai
suoi nemici). Deciderà a giorni la corte suprema. Da leggere anche sul
tema la cronaca del Messaggero. Guido Rampoldi intervista su Repubblica “il
re beduino dei tunnel” che si atteggia a benefattore dei suoi “fratelli
di Gaza” ma intento fa o faceva affari per 10 mila dollari al giorno.
Le gallerie sarebbero 900 e “si potrebbero scavare più in basso per
sfuggire ai bombardamenti”. Per capire il problema che deve affrontare
Tzahal per arrestare il lancio di razzi, è anche interessante
l’inchiesta di Luigi de Biase sul Foglio a
proposito delle officine in cui si fabbricano i razzi Qassam e della
loro storia, tutt’altro che “artigianale”, come ama dire la nostra
stampa. Alessandro Carlini su Libero parla invece dei cani addestrati che aiutano i soldati israeliani a evitare le trappole di Hamas.
Antisemitismo Daniele Zappalà su Avvenire e Anna Maria Merlo sul Manifesto
riferiscono del moltiplicarsi di “atti ostili” in Francia.
Dell’episodio principale (una bomba molotov lanciata su una sinagoga
nella banlieu parigina) riferisce un articolo di Katrin Bennhold sullo Herald Tribune). Le Monde
pubblica un intervento di Raphael Haddad, presidente degli studenti
ebrei francesi: “non lasciamo che la guerra arrivi in Francia”. Fabio
Perugia sul Tempo riferisce di analoghi episodi negli Stati Uniti. Il Corriere della sera
dà (involontariamente?) una mano agli antisemiti cattolici del sito
della comunità cristiana di Chieri che hanno pubblicato un invito al
boicottaggio di Israele, pubblicizzando il loro indirizzo web (Eccolo:
www.cdbchieri.it , per chi volesse protestare) le loro opinioni e
alcuni esempi dei prodotti che essi intendono danneggiare. E’ un grave
errore del quotidiano. Il problema non è affatto contingente. Va
meditata l’intervista di Giulio Meotti al grande storico Robert
Wistrich polemica col mondo islamico ma anche con la Chiesa:
“Vogliono un mondo Judenrein” titola il Foglio. Sul tema del rapporto fra antisemitismo e manifestazioni su Gaza, da leggere un intervento di Diego Gabutti su Italia oggi.
Sugli episodi dei giorni scorsi a Roma di imbrattamenti e scritte
provenienti sia dall’estrema destra che da sinistra indaga la Digos (Il Messaggero). Da leggere con attenzione l’editoriale di Daniel Schwammenthal sul Wall Street Journal dove si sostiene che l’Europa sta “reimportando” l’antisemitismo dal mondo arabo.
Il dibattito Nella
discussione italiana sulla guerra infuria di nuovo un effetto D’Alema:
in un’intervista televisiva alla “sua” rete Red, l’ex ministro degli
esteri parla di “spedizione punitiva” e “massacro”. L’intervista è
replicato da Antonio Polito sul Riformista.
Su queste posizioni vi sono però prese di distanza non solo dal Pdl ma
anche all’interno del suo partito (Vernetti), e l’appoggio però di
Franco Monaco (“dice la stessa cosa dell’Onu e del Vaticano” – eh già…)
del PDCI (il partito di Diliberto, quelli che “bruciare le bandiere non
è sbagliato”) e naturalmente del Manifesto (Giorgio Salvetti). Per Massimo Franco sul Corriere, quello di D’Alema è in realtà un attacco a Veltroni. Da leggere il durissimo attacco polemico a D’Alema di Paolo Guzzanti sul Giornale. La posizione dei dalemiani si può leggere anche in un intervento di Umberto Ranieri sul Riformista, dove si propone una soluzione “libanese” per Gaza. Molto efficace la lettera di Victor Magiar pubblicata sul Corriere
per spiegare che Hamas è altra cosa dai palestinesi e perché
l’intervento militare era necessario. Da leggere anche
l’interpretazione di David Meghnagi sul Messaggero sull’intolleranza crescente nel mondo islamico Shmuley Boteach sul Jerusalem Post
si interroga sul perché gli ebrei siano sempre visti come gli
aggressori e ne rintraccia l’origine nella narrazione dei vangeli che
rappresentano distortamente gli ebrei e non i romani come responsabili
della morte di Gesù. Il Foglio
pubblica una mezza dozzina di lunghe lettere sulle preghiere islamiche
sui sagrati delle chiese. Fra esse da notare quella di Yasha Raibman.
Sullo stesso tema Il Foglio
interviene ancora con un pezzo importante, siglato m.v., sul “grande
silenzio dei laici” e delle autorità dello stato “imbarazzati” dalla
preghiera politica dell’islamismo radicale. Carlo Panella, sempre sul Foglio,
spiega la dissimulazione e il “parlare obliquo” come base della
politica islamista, teorizzata nelle loro fonti: solo comprendendo
questo atteggiamento si spiega la ragnatela di atti e dichiarazioni
degli islamisti in Italia in questi giorni. Da leggere la
posizione pessimista sulla guerra (“nessuna delle due parti potrà
uscire vincitrice”, il che equivale a una continuazione infinita del
conflitto) dell’analista inglese Rosemary Hollins, intervista da
Lazzaro Petragnoli su Europa.
Che “nessuno possa vincere” in Medio Oriente e che la “tragedia”
consista nell’estensione del conflitto all’Europa è l’opinione
(possiamo dirlo? un po’ vigliacchetta) di Max Gallo sul Giornale. Fra i critici dell’operazione piombo fuso troviamo Michael Slakman sullo Herald Tribune, il quale pensa che essa metta in pericolo la possibilità di una soluzione a due stati nel futuro. Per Arpino su Liberal essa
è addirittura “la tomba di ogni pace duratura”. Peccato che la pace non
ci fosse neanche prima, se ricordiamo bene. Da registrare la violenta
invettiva (la solita, a dire il vero) dello scrittore marocchino Tahar
Ben Jellud contro “l’insensibilità” dell’Occidente. Una posizione non
molto diversa da quella dello scrittore peruviano Vargas Llosa (sulla Stampa),
che pure nel suo paese si era molto impegnato nella lotta al terrorismo
di Sendero luminoso in nome dei valori dell’Occidente. La critica più
divertente (si fa per dire) all’operazione israeliana è di un ex
diplomatico francese ora docente, Yves Aubin de la Messuziére sul
Nouvel Observateur: dopo aver notato che Hamas deve aver sbagliato
qualche conto a provocare la guerra, Aubin sostiene che c’è un rischio
grave in questa situazione ed è la radicalizzazione di Hamas… Sul Sole 24 ore Marco
Valsania riferisce dell’ultima conferenza stampa da presidente di Bush,
al cui centro c’è la riaffermazione della lotta al terrorismo, “sempre
pronto a colpire”. In Israele vi è un forte dibattito
intorno al lavoro di giornalisti che dissentono dalla guerra in corso:
non solo la solita Amira Hass, ma anche l’editorialista Gideon Levy e
la conduttrice Yonit Levy. Ne riferisce Davide Frattini sul Corriere.
E non sembra affatto entusiasta. E il caso anche di Yonatan Gefen su
“Maariv”, contestato dal suo editore per la critica alla guerra, come
riferisce Ugo Tramballi sul Sole 24 ore.
Da notare che sempre Tramballi sul 24 ore rifersice che il modello di
giornalismo di Gideon Levy è il corrsipondente di Al Jazeera, Ayman
Mohyeldin. Ora Al Jazeera non è stata solo espulsa dall’accreditamento
del ministero dell informazione israeliano per le sue cronache
spudoratamente pro-Hamas; la stessa cosa ha fatto perfino l’Autorità
Palestinese. E come dimenticare la festa offerta dalla sua redazione
libanese al terrorista omicida di bambini liberato l’anno scorso in
seguito allo scambio con Hezbullah, e trattato da eroe dalla Siria, dai
terroristi libanesi … e dall’emittente del Qatar? Amir Horen su Haaretz prevede una troika Netanyau-Livni-Barak per il governo che uscirà dalle elezioni. Infine Amos Oz, intervistato da De Giovannangeli sull’Unità sostiene che la via d’uscita è la trattativa con Abu Mazen e il ritorno ai confini del ’67.
La manifestazione di Milano e il seguito Ha
avuto un ottimo successo l’incontro “Sosteniamo Israele, Sosteniamo la
pace” organizzata dal Keren Hayesod e dagli altri enti ebraici
ieri al Piccolo Teatro di Milano. Alcune decine di autonomi dei centri
sociali hanno però cercato di impedire la pacifica manifestazione:
difficile giustificare chi, armato di petardi e manici di piccone
travestiti da asta di bandiere vuole impedire un convegno. La cosa più
pacifica che avessero in mano era un maghen david formato da ossa.
Eppure le cronache di molti giornali sono neutre e perfino positive,
parlano di “ragazzi” “manifestanti esuberanti” (E Polis) , che volevano “partecipare al convegno per far sentire il loro punto di vista” (D News), di “protesta” e ancora di “ragazzi” (Repubblica, che pure deve ammettere il successo del convegno). La cronaca più corretta è quella di Alberto Giannoni sul Giornale, corredata da un’intervista al vicesindaco De Corato. Francesco Cappozza su Liberal riferisce della nuova manifestazione pro Israele convocata per domani a Piazza Montecitorio a Roma. Sabato
invece ci saranno due manifestazioni contro Israele: una “pacifista” ad
Assisi e una “militante”, cioè violenta a Roma. Per rendersi conto
delle differenze e delle somiglianze fra le due iniziative, è utile
l’articolo di Eleonora Martini sul Manifesto.
Altre notizie Stringe il cuore leggere sul Riformista (articolo
di Antonella Benanzato) che davanti alla Risiera di San Sabba a
Trieste, unico campo di sterminio in Italia, sia stato allestito un
luna park Sergio Luzzato su Il Corriere
parla di un libro appena pubblicato da Laterza, Le ultime parole,
lettere dalla Shoà a cura di Zwi Bacharach. Fra le molte
informazione interessanti e commoventi tratte da queste lettere di
ebrei che si trovano di fronte alla morte chiusi nei campi di
concentramento, Luzzatto insiste molto sul tema delle richiesta di
vendetta e la collega alla natura dello Stato di Israele. Certo che la
lezione di “mai più Auschwitz” è stata fondante per Israele e così la
regola “siate leoni, non agnelli”; ma non si tratta di vendetta, bensì
di autodifesa. Molto interessante l’analisi del linguaggio dei
terroristi e dei loro video, contenuta in un libro di Cristian Uva,
intitolato “Schermi di piombo” e dedicato all’estetica della produzione
mediatica del terrorismo. Ne parla Gabriella Gallozzi sull’Unità.
Ugo Volli |
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Hamas rifiuta presenza di forze internazionali Gaza, 13 gen - Ismail
Radwan, uno dei dirigenti locali di Hamas ha ribadito questa mattina la
netta opposizione all'invio di forze internazionali nella striscia di
Gaza In un comunicato Radwan sostiene che l'unico scopo di tali
forze sarebbe di proteggere gli interessi di Israele. Di conseguenza
Hamas le vedrebbe alla stregua di una "potenza occupante" e dunque
ostili. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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