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    13 gennaio 2009 - 17 Tevet 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Roberto Della Rocca Roberto
Della Rocca,

rabbino 
“...chi cammina per la strada studiando e interrompe e dice: come è bello questo albero!, come è bello questo solco!, è considerato  come uno che mette in pericolo la propria persona...” Pirqè Avòt, 3; 9. Da questa situazione un po' estrema che la Mishnah ci prospetta, nella quale vi è un'irruzione dell’estetica nell’etica, si evince come lo studio della Torah deve costituire una continuità "in cammino" che proibisce ogni forma di interruzione. Lo sviare lo sguardo durante il nostro percorso può risultare una distrazione fatale per la continuità dei nostri progetti. Apparentemente questo insegnamento potrebbe indurci a concludere che anche un certo amore per la natura  debba essere escluso dall'universo ebraico. Niente affatto. Sembra piuttosto emergere  come l'impegno nella  Torah non può essere scambiato con il senso di una contemplazione estetica. Ne risulta che dell'ebraismo non possiamo accogliere solo ciò che ci piace. Più che un dovere o un obbligo la Torah costituisce  una condizione esistenziale di dinamismo e continuità tesa a scuotere il soporifero corso della vita naturale. 
Dalla corrispondenza di André Chouraqui (in uscita presso le edizioni Paoline di Roma: un volume di grande interesse e suggestione):  "Mi sono rivolto a voi (sta scrivendo a Jacques Maritain, nel 1969) per farvi ascoltare il grido di questo popolo ferito da troppa saggezza o troppa prudenza da parte degli stessi, i cristiani, che  dovrebbero meglio capire il significato spirituale della nostra rinascita e che potrebbero forse non lavarsi le mani della nostra sorte e non condannarci con troppa fretta, mentre il silenzio è così pesante quando siamo noi stessi condotti al macello o minacciati di esserlo". Parole dense di significato, di storia e di presente Elena
Loewenthal,

scrittrice
Elena Loewenthal  
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  I progetti di federalismo fiscale e le istituzioni ebraiche italiane

L'Aula del Senato comincia oggi la discussione sul disegno di legge relativo al federalismo fiscale. Semplificando al massimo: le Regioni – cui sono state attribuite a seguito delle riforme degli anni Novanta, culminate con la riforma costituzionale del 2001, numerose competenze – avranno anche la possibilità di attingere direttamente sul proprio territorio (molto più che in passato) le risorse necessarie per l'espletamento delle proprie funzioni.
Il processo in corso a livello statale (attribuzione prima di competenze e poi di risorse) è in buona misura speculare a quello percorso – in anni recenti – dalle Comunità ebraiche.
Fino all'opzione di avvalersi della quota dell'8 per mille, il bilancio dell'Unione delle Comunità ebraiche (e prima ancora israelitiche) era quasi interamente derivato: dipendeva per la quasi totalità dai contributi versati dalle Comunità. Con la partecipazione all'8 per mille, l'UCEI è diventata la destinataria di risorse modeste in termini assoluti ma importanti per l'ebraismo italiano, traendone indubbia forza, in primo luogo come snodo fondamentale nel flusso finanziario tra Stato e Comunità.
Già l'Intesa siglata nel 1987 aveva sancito un ruolo importante dell'UCEI in termini di rappresentatività dell'ebraismo italiano nei confronti dello Stato. L'afflusso diretto di risorse ha comportato un suo ruolo più incisivo rispetto alle Comunità.
Ne sono nati contrasti e discussioni sul ruolo dell'Unione e sulle modalità di distribuzione delle risorse tra UCEI e Comunità e tra le Comunità, cui si è cominciata a dare soluzione già a partire dalla scorsa consiliatura, quindi con il congresso del 2006 e con il Consiglio attualmente in carica, nella cornice dello Statuto approvato dal congresso straordinario del 1987.
Lo Statuto ha quindi dimostrato di reggere l'impatto della rivoluzione quasi copernicana nel frattempo intervenuta, ma non mancano le problematiche suscettibili di essere ripensate nel quadro di una complessiva riflessione sull'ordinamento dell'ebraismo italiano.
A questo fine il Consiglio UCEI, nella riunione dell'8 dicembre 2008, ha nominato una Commissione chiamata a valutare eventuali proposte di modifica statutaria, che ho il compito di coordinare.
Uno dei punti chiave all'esame della Commissione sarà sicuramente quello dei rapporti tra UCEI e Comunità.
Per inquadrare anche in termini storici la questione, proverò a ripercorrere nelle prossime settimane i momenti salienti dei rapporti tra Unione e Comunità nel corso del Novecento, anche avvalendomi di recenti letture.

Valerio Di Porto, consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane 
 
 
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  milanoAnche a Milano per Israele e per la pace

Una grande manifestazione di solidarietà e vicinanza a Israele si è svolta a Milano, città teatro nelle scorse ore di cortei proHamas che si sono abbandonati a manifestazioni di intolleranza e antisemitismo, in cui sono state bruciate bandiere con la Stella di Davide.
Alla serata, organizzata dal Keren Hayesod in collaborazione con la Comunità Ebraica, il Keren Kayemet Leisrael, l’Associazione Amici d’Israele, l’Unione Giovani Ebrei d’Italia, il Benè Akiva, l’Hashomer Hatzair e tutti gli enti ebraici milanesi, molte autorità, esponenti del mondo giornalistico e tantissimi comuni cittadini hanno voluto essere presenti per portare il proprio sostegno a Israele nel momento difficile che lo Stato ebraico sta attraversando. Tra gli altri, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, la giornalista, deputata del PDL e vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera Fiamma Nirenstein, il deputato PD Emanuele Fiano, Magdi Allam, giornalista e scrittore, già vicedirettore del Corriere della Sera, , il filosofo Paolo Del Debbio editorialista del Giornale e di TgCom.
Il teatro è completamente pieno, tantissimi sono i giovani.
La serata si apre con la toccante lettura a due voci di “Elogio alla mia terra” di Herbert Pagani.
Poi suona la sirena, quella sirena che “per gli abitanti del Sud di Israele segna l’inizio dei 15 secondi a disposizione per scampare alla morte” come ricorda il Presidente Nazionale del Keren Hayesod Samy Blanga. “Oltre 9200 razzi - ha ricordato - in sei anni senza che Israele reagisse. Israele non vuole che muoiano civili. Li avverte perché si mettano al riparo. Hamas li usa come scudi umani. Vuole la pace, ma ha bisogno di interlocutori affidabili. Non vuole conquistare Gaza, è uscita da lì con costi enormi in termini sia economici che morali, con la lacerazione provocata dallo smantellamento degli insediamenti. Oggi siamo qui per dimostrare che Israele non è sola, e ringrazio tutti i presenti e tutti coloro che hanno inviato messaggi di partecipazioni e solidarietà a questa iniziativa”.
Il Presidente della Comunità Ebraica di Milano Leone Soued chiede prima di intervenire un minuto di silenzio per tutte le vittime israeliane e palestinesi. Tutti i presenti si alzano, perché, come ricorda l’ambasciatore israeliano Gideon Meir nel messaggio che invia ai partecipanti, rammaricandosi di non poter essere presente di persona, Israele sceglie e combatte per la vita, Hamas vuole la morte di israeliani e di ebrei, ma non si preoccupa neppure di quella dei civili palestinesi usati come scudi”.
Il moderatore della serata, Paolo Del Debbio, coordina gli interventi ricordando “non sono ebreo, né milanese ma sono amico di Israele e ritengo che la sua cultura e mentalità ci abbia insegnato tanto, innanzitutto il rispetto per gli altri e nel 2009 con tutti i problemi che abbiamo non vorremmo più perdere tempo a discutere della legittimità non delle scelte di un governo, ma dell’esistenza stessa di un Paese, è davvero assurdo.”
Durante la serata giunge eco dall’esterno degli scontri tra Polizia e un corteo con lo scopo di impedire lo svolgimento della serata, ancora una volta carico di odio e di violenza.
Sulla gravità dei fatti avvenuti nelle manifestazioni dei giorni scorsi si soffermano il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, il sindaco di Varese Attilio Fontana, l’assessore alla sicurezza della Provincia di Milano Alberto Grancini, a nome del Presidente della Provincia Penati,.
L’onorevole Emanuele Fiano “da uomo di sinistra” come si definisce sostiene “il diritto di Israele a difendersi da un nemico mortale come Hamas, che non si fa scrupolo di indottrinare i bambini, di eliminare i propri avversari politici, e di imporre il fanatismo. Io ricordo tutti i morti, quelli israeliani, soldati e civili, i palestinesi uccisi da altri palestinesi, ma anche quelli morti per mano israeliana. Sono convinto che la soluzione dovrà essere quella di due popoli e due stati perché penso che la forza militare non basti ad assicurare la pace a Israele”.
Il Ministro della Difesa La Russa, molto applaudito, parla di responsabilità. “La solidarietà a tutti coloro che soffrono è doverosa, ma lo è anche l’individuazione delle responsabilità in modo netto. Hamas ha rotto la tregua. Hamas si pone come obiettivo nello statuto la cancellazione dello stato d’Israele, e l’eliminazione fisica degli ebrei. Bisogna distinguere il veleno dall’antidoto, la malattia dalla cura. La pietà per le vittime innocenti è enorme, ma a tutti coloro che parlano di reazione sproporzionata, che accusano Israele di aumentare i problemi, o di non risolverli, dico che certo Israele se nel corso della sua storia non si fosse difesa avrebbe certo fatto sparire molti problemi, perchè non esisterebbe più. Ma Israele sceglie di difendersi e noi dobbiamo tutti stringerci attorno a questo eroico paese.”
E secondo l’onorevole Fiamma Nirenstein sta davvero cambiando qualcosa nell’opinione pubblica, che sembra più disposta rispetto al passato ad ascoltare e condividere le ragioni di Israele, “uno Stato che paga con la sua sofferenza il prezzo della lotta del mondo libero contro il terrorismo, in cui l’eroismo è diffuso in ogni forma, quella di un padre capace di chiamare suoi figli i commilitoni di suo figlio, ucciso dal fuoco amico dei loro fucili, di un comandante ferito che scappa dall’ospedale per raggiungere il suo battaglione, e soprattutto di coloro che sotto i migliaia di missili sparati da Gaza rischiano in continuazione la propria vita per mettere in salvo quella dei propri figli, genitori, e poi anziani donne e bambini, mai lasciati indietro, mai mandati a fare da scudi umani. Questa la vera sproporzione, Israele i civili li protegge, Hamas con i civili si protegge, e sei milioni di ebrei in mezzo a trecento milioni di arabi continuano a vivere una vita il più normale possibile nonostante razzi, autobombe e kamikaze”
“Israele difende la sacralità della vita, e tutti coloro che la tengono in considerazione devono sostenerla in modo netto. Il silenzio è connivenza, soprattutto quella dei musulmani moderati” chiude con grande forza gli interventi Magdi Cristiano Allam. “quello che è successo a Milano nei giorni scorsi, piazza del Duomo, la Stazione Centrale trasformate in moschee, è inaccettabile. Ci sono personaggi che l’Italia continua ad accettare che portano avanti un’opera di lavaggio del cervello e di instillazione d’odio, la guerra che combatte Israele è la guerra di tutti noi. Non possiamo rischiare di rendercene conto troppo tardi”.
In chiusura di una serata in cui, come sottolinea Del Debbio, la classe politica si è dimostrata all’altezza, risuonano gli inni italiano e israeliano.

Rossella Tercatin
 
 
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La situazione
Continua e si approfondisce pian piano l’offensiva israeliana contro Hamas (Ugo Tramballi e Giannandrea Gaiani sul 24 ore), ma continua anche il lancio di razzi (Aldo Baquis sulla Stampa). Molte fonti (per esempio Giorgio Ferrari su L’Avvenire) parlano dell’imminenza di una “terza fase” dell’operazione. Per Battistini sul Corriere invece l’operazione starebbe “rallentando” e ci sarebbero dissensi fra Olmert che vorrebbe l’offensiva finale (come la vorrebbe anche lo stato maggiore israeliano: così Michel Boel-Richard su Le Monde) e Barak e Livni che invece frenerebbero. Da leggere l’intervista allegata ad Amos Gilad, il quadro più politico di Tzahal. La tesi dei dissensi nel governo, che viene da Haaretz (si veda l’editoriale non firmato intitolato “The danger of politicization”), è ripresa anche dal Foglio in un articolo incongruamente titolato “Nei sotterranei di Gaza” e pure dal Giornale (articolo siglato da Micalessin
). Per Il Giornale è chiaro comunque che siamo in una fase statica della guerra, in uno “stallo” delle operazioni e delle trattative.
Un’inchiesta fra i militari israeliani di Gulli del Giornale registra qualche malumore e incertezza. Ma Ethan Bronner sullo Herald Tribune dice che i dissensi in Israele sono molto minori che in altre occasioni e che è generale l’impressione che Tzahal stia combattendo una “guerra giusta”.
Si discute sulla possibilità di una soluzione diplomatica. Tony Blair vede “vicina” una tregua. Gli iraniani la condannano e invocano una nuova intifada (Francesca Bertoldi su Avvenire). Francesca Paci sulla Stampa riferisce come al centro della situazione  ci  sia un duro conflitto fra Iran e Egitto per l’egemonia nel mondo islamico. Che l’Egitto sia la pedina chiave di questa partita e sia messo di fronte a scelte difficili, lo sostiene anche un editoriale del Jerusalem Post.
Da quel che si capisce (articolo siglato D.F. sul Corriere) i dissensi sono forti dentro Hamas. Per Micalessin sul Giornale, Hamas sarebbe ora dominato dal timore della sconfitta.
Una breve del Corriere informa che la commissione elettorale ha invalidato la presentazione alle elezioni dei due partiti arabi, che in sostanza appoggiano Hamas (c’è una clausola di legge che impedisce la partecipazione alle elezioni di partiti che neghino l’esistenza dello stato o si alleino ai suoi nemici). Deciderà a giorni la corte suprema. Da leggere anche sul tema la cronaca del Messaggero.
Guido Rampoldi intervista su Repubblica “il re beduino dei tunnel” che si atteggia a benefattore dei suoi “fratelli di Gaza” ma intento fa o faceva affari per 10 mila dollari al giorno. Le gallerie sarebbero 900 e “si potrebbero scavare più in basso per sfuggire ai bombardamenti”. Per capire il problema che deve affrontare Tzahal per arrestare il lancio di razzi, è anche interessante l’inchiesta di Luigi de Biase sul Foglio a proposito delle officine in cui si fabbricano i razzi Qassam e della loro storia, tutt’altro che “artigianale”, come ama dire la nostra stampa. Alessandro Carlini su Libero parla invece dei cani addestrati che aiutano i soldati israeliani a evitare le trappole di Hamas.

Antisemitismo
Daniele Zappalà su Avvenire e Anna Maria Merlo sul Manifesto riferiscono del moltiplicarsi di “atti ostili” in Francia. Dell’episodio principale (una bomba molotov lanciata su una sinagoga nella banlieu parigina) riferisce un articolo di Katrin Bennhold sullo Herald Tribune). Le Monde pubblica un intervento di Raphael Haddad, presidente degli studenti ebrei francesi: “non lasciamo che la guerra arrivi in Francia”. Fabio Perugia sul Tempo riferisce di analoghi episodi negli Stati Uniti.
Il Corriere della sera dà (involontariamente?) una mano agli antisemiti cattolici del sito della comunità cristiana di Chieri che hanno pubblicato un invito al boicottaggio di Israele, pubblicizzando il loro indirizzo web (Eccolo: www.cdbchieri.it , per chi volesse protestare) le loro opinioni e alcuni esempi dei prodotti che essi intendono danneggiare. E’ un grave errore del quotidiano.
Il problema non è affatto contingente. Va meditata l’intervista di Giulio Meotti al grande storico Robert Wistrich  polemica col mondo islamico ma anche con la Chiesa: “Vogliono un mondo Judenrein” titola il Foglio. Sul tema del rapporto fra antisemitismo e manifestazioni su Gaza, da leggere un intervento di Diego Gabutti su Italia oggi. Sugli episodi dei giorni scorsi a Roma di imbrattamenti e scritte provenienti sia dall’estrema destra che da sinistra indaga la Digos (Il Messaggero). Da leggere con attenzione l’editoriale di Daniel Schwammenthal sul Wall Street Journal dove si sostiene che l’Europa sta “reimportando” l’antisemitismo dal mondo arabo.

Il dibattito
Nella discussione italiana sulla guerra infuria di nuovo un effetto D’Alema: in un’intervista televisiva alla “sua” rete Red, l’ex ministro degli esteri parla di “spedizione punitiva” e “massacro”. L’intervista è replicato da Antonio Polito sul Riformista. Su queste posizioni vi sono però prese di distanza non solo dal Pdl ma anche all’interno del suo partito (Vernetti), e l’appoggio però di Franco Monaco (“dice la stessa cosa dell’Onu e del Vaticano” – eh già…) del PDCI (il partito di Diliberto, quelli che “bruciare le bandiere non è sbagliato”) e naturalmente del Manifesto (Giorgio Salvetti). Per Massimo Franco sul Corriere
, quello di D’Alema è in realtà un attacco a Veltroni. Da leggere il durissimo attacco polemico a D’Alema di Paolo Guzzanti sul Giornale. La posizione dei dalemiani si può leggere anche in un intervento di Umberto Ranieri sul Riformista, dove si propone una soluzione “libanese” per Gaza.
Molto efficace la lettera di Victor Magiar pubblicata sul Corriere per spiegare che Hamas è altra cosa dai palestinesi e perché l’intervento militare era necessario. Da leggere anche l’interpretazione di David Meghnagi sul Messaggero sull’intolleranza crescente nel mondo islamico
Shmuley Boteach sul Jerusalem Post si interroga sul perché gli ebrei siano sempre visti come gli aggressori e ne rintraccia l’origine nella narrazione dei vangeli che rappresentano distortamente gli ebrei e non i romani come responsabili della morte di Gesù.
Il Foglio pubblica una mezza dozzina di lunghe lettere sulle preghiere islamiche sui sagrati delle chiese. Fra esse da notare quella di Yasha Raibman. Sullo stesso tema Il Foglio interviene ancora con un pezzo importante, siglato m.v., sul “grande silenzio dei laici” e delle autorità dello stato “imbarazzati” dalla preghiera politica dell’islamismo radicale. Carlo Panella, sempre sul Foglio, spiega la dissimulazione e il “parlare obliquo” come base della politica islamista, teorizzata nelle loro fonti: solo comprendendo questo atteggiamento si spiega la ragnatela di atti e dichiarazioni degli islamisti in Italia in questi giorni.
Da leggere la posizione pessimista sulla guerra (“nessuna delle due parti potrà uscire vincitrice”, il che equivale a una continuazione infinita del conflitto) dell’analista inglese Rosemary Hollins, intervista da Lazzaro Petragnoli  su Europa. Che “nessuno possa vincere” in Medio Oriente e che la “tragedia” consista nell’estensione del conflitto all’Europa è l’opinione (possiamo dirlo? un po’ vigliacchetta) di Max Gallo sul Giornale. Fra i critici dell’operazione piombo fuso troviamo Michael Slakman sullo Herald Tribune, il quale pensa che essa metta in pericolo la possibilità di una soluzione a due stati nel futuro. Per Arpino su Liberal essa è addirittura “la tomba di ogni pace duratura”. Peccato che la pace non ci fosse neanche prima, se ricordiamo bene. Da registrare la violenta invettiva (la solita, a dire il vero) dello scrittore marocchino Tahar Ben Jellud contro “l’insensibilità” dell’Occidente. Una posizione non molto diversa da quella dello scrittore peruviano Vargas Llosa (sulla Stampa), che pure nel suo paese si era molto impegnato nella lotta al terrorismo di Sendero luminoso in nome dei valori dell’Occidente. La critica più divertente (si fa per dire) all’operazione israeliana è di un ex diplomatico francese ora docente, Yves Aubin de la Messuziére sul Nouvel Observateur: dopo aver notato che Hamas deve aver sbagliato qualche conto a provocare la guerra, Aubin sostiene che c’è un rischio grave in questa situazione ed è la radicalizzazione di Hamas…
Sul Sole 24 ore Marco Valsania riferisce dell’ultima conferenza stampa da presidente di Bush, al cui centro c’è la riaffermazione della lotta al terrorismo, “sempre pronto a colpire”.
In Israele vi  è un forte dibattito intorno al lavoro di giornalisti che dissentono dalla guerra in corso: non solo la solita Amira Hass, ma anche l’editorialista Gideon Levy e la conduttrice Yonit Levy. Ne riferisce Davide Frattini sul Corriere.  E non sembra affatto entusiasta. E il caso anche di Yonatan Gefen su “Maariv”, contestato dal suo editore per la critica alla guerra, come riferisce Ugo Tramballi sul Sole 24 ore. Da notare che sempre Tramballi sul 24 ore rifersice che il modello di giornalismo di Gideon Levy è il corrsipondente di Al Jazeera, Ayman Mohyeldin. Ora Al Jazeera non è stata solo espulsa dall’accreditamento del ministero dell informazione israeliano per le sue cronache spudoratamente pro-Hamas; la stessa cosa ha fatto perfino l’Autorità Palestinese. E come dimenticare la festa offerta dalla sua redazione libanese al terrorista omicida di bambini liberato l’anno scorso in seguito allo scambio con Hezbullah, e trattato da eroe dalla Siria, dai terroristi libanesi … e dall’emittente del Qatar?
Amir Horen su Haaretz prevede una troika Netanyau-Livni-Barak per il governo che uscirà dalle elezioni.
Infine Amos Oz, intervistato da De Giovannangeli sull’Unità sostiene che la via d’uscita è la trattativa con Abu Mazen e il ritorno ai confini del ’67.

La manifestazione di Milano e il seguito
Ha avuto un ottimo successo l’incontro “Sosteniamo Israele, Sosteniamo la pace”  organizzata dal Keren Hayesod e dagli altri enti ebraici ieri al Piccolo Teatro di Milano. Alcune decine di autonomi dei centri sociali hanno però cercato di impedire la pacifica manifestazione: difficile giustificare chi, armato di petardi e manici di piccone travestiti da asta di bandiere vuole impedire un convegno. La cosa più pacifica che avessero in mano era un maghen david formato da ossa. Eppure le cronache di molti giornali sono neutre e perfino positive, parlano di “ragazzi” “manifestanti esuberanti” (E Polis) , che volevano “partecipare al convegno per far sentire il loro punto di vista” (D News), di “protesta” e ancora di “ragazzi” (Repubblica, che pure deve ammettere il successo del convegno). La cronaca più corretta è quella di Alberto Giannoni sul Giornale, corredata da un’intervista al vicesindaco De Corato.
Francesco Cappozza su Liberal riferisce della nuova manifestazione pro Israele convocata per domani a Piazza Montecitorio a Roma.
Sabato invece ci saranno due manifestazioni contro Israele: una “pacifista” ad Assisi e una “militante”, cioè violenta a Roma. Per rendersi conto delle differenze e delle somiglianze fra le due iniziative, è utile l’articolo di Eleonora Martini sul Manifesto.

Altre notizie
Stringe il cuore leggere sul Riformista (articolo di Antonella Benanzato) che davanti alla Risiera di San Sabba a Trieste, unico campo di sterminio in Italia, sia stato allestito un luna park
Sergio Luzzato su Il Corriere parla di un libro appena pubblicato da Laterza, Le ultime parole, lettere dalla Shoà a cura di Zwi Bacharach. Fra le molte  informazione interessanti e commoventi tratte da queste lettere di ebrei che si trovano di fronte alla morte chiusi nei campi di concentramento, Luzzatto insiste molto sul tema delle richiesta di vendetta e la collega alla natura dello Stato di Israele. Certo che la lezione di “mai più Auschwitz” è stata fondante per Israele e così la regola “siate leoni, non agnelli”; ma non si tratta di vendetta, bensì di autodifesa.
Molto interessante l’analisi del linguaggio dei terroristi e dei loro video, contenuta in un libro di Cristian Uva, intitolato “Schermi di piombo” e dedicato all’estetica della produzione mediatica del terrorismo. Ne parla Gabriella Gallozzi sull’Unità.

Ugo Volli 

 
 
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Hamas rifiuta presenza di forze internazionali
Gaza, 13 gen -
Ismail Radwan, uno dei dirigenti locali di Hamas ha ribadito questa mattina la netta opposizione all'invio di forze internazionali nella striscia di Gaza  In un comunicato Radwan sostiene che l'unico scopo di tali forze sarebbe di proteggere gli interessi di Israele. Di conseguenza Hamas le vedrebbe alla stregua di una "potenza occupante" e dunque ostili.
 
 
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