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L'Unione informa |
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21 gennaio 2009 - 25 Tevet 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Nella
parashà di Shemòt assistiamo all'inizio della prima persecuzione
antiebraica della storia. A progettare e attuare questa persecuzione è un
"nuovo" re. Nel Talmùd si discute se si tratti veramente di un nuovo re
o se sia invece lo stesso che ha semplicemente cambiato opinione. Che
senso ha questa discussione? Perché è così importante stabilire che si
tratti veramente di un nuovo re? Secono Rav Moshè Feinstein, il Talmùd
vuole insegnarci qualcosa dell'animo umano. La prima opinione
ritiene che gli uomini non possano arrivare a un tale grado di
malvagità. Non è possibile che lo stesso uomo che aveva accolto
amichevolemente la famiglia di Ya'akòv e che era stato salvato dalla
carestia insieme al suo popolo da Yosèf possa diventare un feroce
persecutore dei discendenti di quella famiglia. Chi invece sostiene che
si tratta dello stesso re pensa che tutto ciò sia possibile e che
l'aberrazione a cui può arrivare l'animo umano è sconfinata. |
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L'articolo
7 dello statuto di Hamas dice: […] Il Profeta, Allah lo benedica e gli
conceda salvazione, ha detto: “Il Giorno del Giudizio non verrà finché
i Musulmani non combatteranno gli ebrei, quando gli ebrei si
nasconderanno dietro pietre e alberi. Le pietre e gli alberi diranno:
Oh Musulmani, Oh Abdulla, c’è un ebreo dietro di me, venite e
uccidetelo” [...]. Il profeta Geremia (1, 9-12) ha detto: [...] Egli mi
disse: [...] “Vedi: Io ti ho dato oggi, riguardo alle genti e ai regni,
l’incarico di abbattere, di atterrare, di distruggere, di demolire, di
costruire e di piantare”. [...] “Che cosa vedi tu, Geremia?” Ed io
risposi: “Io vedo un bastone di mandorlo”. [...] “Hai visto bene:
infatti Io sto per affrettarmi ad eseguire quel che ho detto”. |
Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme |
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davar |
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Accanto ai sindaci eroi
Quando ha ottenuto il rinnovo del suo mandato, Benny Ouaknine
non aveva messo in conto di fare l’eroe. Ancora per cinque anni sindaco
di Ashkelon, una tranquilla cittadina costiera a vocazione turistica,
una cittadino che ha accolto decine di migliaia di immigrati negli
ultimi anni e che ha da affrontare sensibili problemi sociali (reddito
sotto la media israeliana e in alcuni casi minore di molti villaggi
palestinesi dei territori, molte famiglie monoreddito). Ma anche un
sistema scolastico molto articolato. Industrie da sviluppare. Alberghi
da costruire. Sfide importanti per un sindaco che ama la sua città.
Tutto qui. Ma tre giorni dopo la sua riconferma su Ashkelon hanno
ricominciato a piovere missili. E’ stato allora che Ouaknine si è
reso conto che era necessario fare una scelta. Ci ha pensato un attimo
e ha ordinato di sgombrare gli scantinati del modesto edifico assegnato
all’amministrazione municipale. La sua centrale operativa sarebbero
state queste due stanze, i suoi cannoni solo gli estintori, la sua
armata la protezione civile, la sua arma segreta la dignità della gente
di Ashkelon. “E ha chiamato i concittadini disarmati a combattere la
loro battaglia più dura”. Ouaknine, abbracciato ieri dalla
delegazione di leader ebraici italiani, da comuni cittadini e da
parlamentari italiani di entrambi gli schieramenti, è solo l’ultimo dei
sindaci eroi di Israele. Il suo modello sono stati i sindaci delle
cittadine più esposti ai bombardamenti. David Buskila,
primo cittadino di Sderot oggi alla sua prima giornata di lavoro fuori
dal bunker, ha visto piovere sulla sua gente quasi diecimila missili
(almeno 7500 ben censiti e catalogati). Terrore, distruzione, morte.
Solo quindici secondi per tentare di mettersi in salvo. Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici e la presidente del Keren Hayesod Johanna Arbib,
che conducono questa missione di tre giorni hanno portato in queste ore
febbrili ai sindaci eroi di Israele tutto il calore degli ebrei
italiani. Gattegna ha sottolineato la straordinaria capacità
delleamministrazioni locali israeliane di tutelare la propria
popolazione. E sono arrivati gli abbracci, cento palloni da calcio con
la speranza di vedere tante partite e mai più un missile su un campo di
calcio. “Grazie per essere venuti, avete dimostrato coraggio”,
hanno detto agli ospiti i sindaci eroi di Israele che sono andati a
estrarre le vittime civili dalle macerie e si sono prodigati per
mettere in salvo la popolazione. “Grazie a voi per essere rimasti nelle
vostre città, ma il merito del coraggio è tutto vostro”, hanno
replicato i leader ebraici italiani. “Noi non avevamo scelta”, è stata
la risposta. Un momento di silenzio, poi ancora una replica degli
italiani: “Neanche noi avevamo scelta”. Il sindaco ha poi
accompagnato la delegazione in visita nella città ferita. Ora c’è da
ricostruire e da sanare le ferite. Il centro sportivo costruito nel
nome del milanese Jacopo Ghitis e la Cineteca che ospita il Festival
internazionale del cinema di Sderot realizzata con il contributo
italiano potranno essere di grande aiuto. Oggi le piccole cose
della vita quotidiana sono un miracolo a Sderot. Compiendo atti cui
nessuno in Italia darebbe peso la commozione di tutti è nell’aria.
Prendere un caffè nelle strade, sotto il sole di Sderot è un regalo,
una conquista senza pari. Tutti si sono detti determinati a conquistare
la pace e a difendere la dignità della vita con la massima
determinazione, con coraggio e con equità, come il bene più grande.
Guido Vitale
Donne d’Israele 2 - Gabriela Shalev In prima linea al Palazzo di vetro
E’
nonna di otto nipoti, e se fa tardi la sera al lavoro Uzi Levy, suo
partner da venti anni, la aspetta alzato facendole trovare un pasto
caldo pronto. Anche la sera dell’ultimo dell’anno Uzi era lì ad
aspettarla e hanno guardato insieme i fuochi d’artificio dalla finestra
del loro appartamento non lontano da Times Square. Sembrerebbe di
descrivere la vita di una normalissima donna dei nostri tempi e non
immagineresti mai che questi tratti corrispondano a Gabriela Shalev,
primo ambasciatore donna israeliano inviato a rappresentare lo Stato
d’Israele alle Nazioni Unite. Nata sessantasette anni fa a Tel Aviv
durante il Mandato britannico, da famiglia di origine tedesca, Gabriela
Shalev, si arruola nell’esercito israeliano nel 1959 uscendone nel 1961
con il grado di tenente. Studia e lavora per aiutare la famiglia, è
commessa alla Corte Suprema di Giustizia di Israele, poi la assumono
all’ufficio legale dell’Agenzia ebraica. Fra il 1969 ed il 1973
consegue la laurea e il dottorato in Giurisprudenza alla Università
ebraica di Gerusalemme, ma nello stesso anno la sua vita viene colpita
da un fatto tragico: suo marito muore durante la Guerra del Kippur e la
lascia da sola a crescere due figli. Gabriela, non si perde
d’animo. Esperta di contratti e di diritto comparato, scrive alcuni
libri e centinaia di articoli, fino al 2002 insegna diritto alla
Università ebraica di Gerusalemme e molte sono le sue collaborazioni
con prestigiose università europee e del Nord America. Nel 1989
conquista il Susman Law Prize, nel 1991 lo Zeltner Law Prize e nel 2003
il premio della Israeli Bar Association, l’associazione che in Israele
assicura lo standard e l’integrità della professione legale. Solo
sei mesi fa il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni le offre
l’incarico di ambasciatore alle Nazioni Unite, al posto di Dan
Gillerman con il quale si era interrotto un rapporto di fiducia. “Sono
stata veramente sorpresa dell’offerta ricevuta dalla Livni, ricorda la
Shalev in un’intervista rilasciata al quotidiano Haaretz, mi hanno dato
solo 24 ore per decidere. Ne ho parlato con Uzi e con i ragazzi, ma
soprattutto ho ascoltato la mia voce interiore. Dicevo a me stessa che
non potevo perdere l’occasione di servire il Paese, sentivo che la vita
mi aveva dato molte opportunità e le avevo sempre colte tutte cercando
di fare del mio meglio. Questo in fondo era quello che avevo sempre
raccomandato ai miei bambini: fai del tuo meglio”. Forse per non
deludere le aspettative dei suoi cari, o per onorare il ricordo dei
suoi nonni materni barbaramente trucidati ad Auschwitz, o per lo
spirito di avventura ed il coraggio ereditato dai nonni paterni che
molti anni prima avevano lasciato la loro tranquilla e confortevole
vita a Berlino per trasferirsi in Palestina, fatto sta che Gabriela
accetta la sfida e decide di trasferirsi, ma non è ancora atterrata a
New York che le piovono addosso le prime critiche: alcuni ritengono che
non abbia l’esperienza necessaria in ambito diplomatico e che le sia
stato affidato l’incarico solo grazie ai suoi buoni rapporti con la
Livni, altri la accusano di avere orientamenti politici di sinistra e
di essere membro di B’Tselem una organizzazione israeliana non
governativa che si riferisce a sé stessa come “Il Centro di
informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”. Questa
seconda accusa le piove addosso come un insulto dal momento che proprio
per la sua posizione in ambito giuridico, non ha mai aderito ad un
partito né espresso le sue opinioni politiche “sono l’emissario dello
Stato d’Israele, non di un partito” risponde a chi le fa questa domanda
per metterla in difficoltà. Ma non c’è tempo da perdere in
chiacchiere, Gabriela si mette subito al lavoro, fa tesoro
dell’esperienza del suo predecessore, ma è consapevole del fatto che
ciascuno attribuisce un valore aggiunto a questo ruolo, un ruolo
delicato per le posizioni spesso ostili a Israele espresse dal
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nelle settimane che
seguono alla sua nomina, Gabriela, non ha un attimo per riposare, per
leggere un buon libro, per ascoltare la musica, per guardarsi intorno
“mi sono sentita come quando ero bambina ed a quattro anni i miei
genitori mi gettarono nell’acqua per insegnarmi a nuotare” ricorda in
un’intervista, ma solo due mesi dopo il Palazzo di vetro le è familiare
come la sua casa. A fianco al lavoro alacremente svolto con
passione e determinazione, Gabriela cerca di instaurare buoni rapporti
con tutti i suoi colleghi ambasciatori ma si rende conto che anche se
tutti formalmente gentili parlano due linguaggi differenti, uno nei
discorsi pubblici spesso ostili ad Israele ed uno amichevole nei
colloqui privati. Rimane profondamente colpita il giorno in cui il
pubblico presente in sala applaude il discorso contro lo Stato
d’Israele pronunciato dal presidente iraniano Ajmadinejad e il
presidente dell’Assemblea Miguel d’Escoto Brockmann corre ad
abbracciarlo. Dall’inizio dell’operazione Piombo fuso il 27
dicembre scorso Gabriela Shalev ha rilasciato decine di interviste
sostenendo che Hamas e l’Iran non sono soltanto nemici israeliani, ma
di tutto il mondo occidentale e ha ringraziato la Casa Bianca e la
Comunità ebraica americana per il sostegno allo Stato di Israele e se
all’inizio alcuni avevano dei dubbi sulla sua esperienza in ambito
diplomatico ha dimostrato in poco tempo di saper parlare di diritti e
di giustizia e, quel che è più importante, di saperli far valere. Sono
ore difficili per Gabriela Shalev, importanti, decisive. Dalle sue
capacità, dal suo saper mantenere il sangue freddo e far valere le
ragioni del popolo ebraico, dipende una parte del futuro dello Stato di
Israele. “Faccio solo il mio lavoro, non mi lamento. E’ un grande
onore rappresentare Israele in questo momento” afferma in questi
giorni, confessando di sentire la mancanza della sua famiglia e dei
suoi studenti. Ma in questo momento così teso, così difficile, continua
a ripetere di non essere mai sola. Attorno a lei ci sono tutti coloro
che credono nella democrazia e nel progresso in Medio Oriente. Dietro
la sua scrivania, al Palazzo di vetro, i ritratti dei suoi cari, suo
marito, che per difendere l’indipendenza di Israele non ha fatto
ritorno a casa, e i suoi nonni che le hanno trasmesso la forza, la
tenacia il senso di giustizia e la sicurezza che la rendono la donna
speciale che ora tutti conoscono.
Lucilla Efrati |
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Memoria: una “riflessione ebraica”
Secondo la Torà, gli ebrei hanno l’obbligo di ricordare. Ma cosa
significa ricordare secondo i nostri maestri? La memoria ebraica
nell'insegnamento specifico della Haggadàh di Pesach ( Narrazione
dell’Esodo dall’Egitto) per esempio, attualizza l’evento dell’Esodo
attraverso una narrazione, consegnando il ricordo all'individuo, il
quale agisce in quanto componente della comunità. Questo significa
inevitabilmente che la strada del ricordare è quella
del raccontare, atto che porta alla redenzione e alla libertà: si
è liberi solo se si ricorda e la dimensione del racconto, che è
radicata nella memoria, diventa in tal senso condizione fondante della
propria identità. Secondo
un’ottica ebraica allora l’obbligo di ricordare è legato alla
possibilità di narrare. Ma narrare è un atto volto alla comprensione e
alle domande del presente: le storie che noi raccontiamo sono, così,
quelle che noi stiamo vivendo. In questo senso la memoria diventa
l’antidoto contro la morte, contro il perpetuare degli errori che solo
l’uomo può sottrarre alla storia attraverso una propria riflessione. Se
la memoria ha tenuto unito il popolo ebraico quindi, è perché questa è
sempre stata una storia che ha saputo tenere insieme passato, presente
e futuro, una storia scandita da un tempo che è continuità e attualità
e non più un insieme di momenti frammentati o una storia
istituzionalizzata, che sottrae la memoria alla sua appartenenza
individuale.
Rav Roberto Della Rocca
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Nel
giorno di Obama, in Medio Oriente si consolida la tregua. La rassegna
si divide tra Washington, Gaza e Tel Aviv: ieri nella Striscia in
visita sia il Segretario generale dell’Onu Ban ki Moon sia il Ministro
degli Esteri italiano Franco Frattini.
Nelle cronache dall’insediamento del presidente americano poco spazio alle questioni mediorientali. Repubblica e Corriere pubblicano ampi stralci del discorso, mentre sul Sole 24 Ore
Marco Valsania analizza il compito di Obama e le reazioni della
finanza. Riassume i rapporti Usa-Israele un’editoriale del Jerusalem
Post, mentre il Manifesto scrive, riportando l’anticipazione del
Washington Post, che sarà il clintoniano George Mitchell il super
inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente.
Il Segretario generale dell’Onu ha visitato ieri Gaza, e ha detto (scrive Francesco Battistini, sul Corriere, spazio anche su Repubblica, il Giornale, e il Manifesto)
di essere «inorridito». Ban Ki-moon è stato anche a Sderot (anche
quelli sulle città israeliane sono «spaventosi e inaccettabili»), ma
l’attenzione principale è su Gaza: «Serve - ha detto - un’inchiesta
approfondita, una spiegazione completa per assicurare che queste cose
non si ripetano mai più. I responsabili devono risponderne davanti ai
giudici». La tregua tiene: il ritiro continua. Anche se Guido Olimpio, sempre sul Corriere, riferisce di una «Nave iraniana colma di mine e razzi per riarmare Hamas». E anche se due giornali spesso lontani come il Giornale e Liberazione spiegano della «vendetta» interna di Hamas, della «resa dei conti fra Hamas e Fatah». Un’editoriale del Foglio sostiene invece che la guerra di Israele riapra le porte ai palestinesi moderati, da leggere anche Tobias Buck
e Roula Khalaf che sul Financial Times sottolineano come una soluzione
a due Stati non sia mai stata così lontana, ma anche come resti l’unica
via alla coesistenza. Racconta ancora Battistini che «un gruppo di
riservisti, ritirandosi, ha lasciato una lettera in un’abitazione
palestinese: ‘Alla famiglia che vive qua, ci scusiamo per le
distruzioni che la vostra casa ha subito’. Bel gesto commenta un
giornale - chiude il corrispondente del Corrriere della sera -, forse
ci vorrà altro».
Franco Frattini, che è arrivato nella
Striscia con camion di aiuti umanitari, ed ha portato in Italia 10
bambini da curare, ha invece ribadito (ne scrivono Sole, Stampa, Giornale, Repubblica e Manifesto)
che «agli estremisti non andrà nemmeno un euro» dei primi 2 milioni
stanziati e da consegnare all’Anp. Sul giornale diretto da Ferruccio de
Bortoli, Ugo Tramballi racconta delle problematiche relative alla
ricostruzione nella Striscia. «Proponiamo - gli dice un imprenditore
palestinese - sia l’Onu a gestire la ricostruzione. In Occidente -
continua - vi siete mai chiesti se il problema non fosse anche Israele,
il suo modo di vederci solo come un problema di sicurezza e non come
un’occasione di prosperità?».
Tre articoli meritano attenzione: l’intervista ad Anna Foa su Avvenire, il reportage nell’antisemitismo italiano di Paolo Rumiz su Repubblica e il fondo di Guido Ceronetti sulla Stampa.
«All’ebraismo - dice la storica a Edoardo Castagna - si chiede sempre
qualcosa in più: il simbolo prevale sulla realtà, e ormai
l’antisionismo ha varcato il confine, rivelando l’antisemitismo. Segno
che le giornate della Memoria non bastano». Un «uomo ben vestito»
conferma a Rumiz l’impressione della Foa: «identificazione totale fra
israeliani ed ebrei». Nel suo viaggio in treno, il cronista trova anche
una signora che dice: «Loro hanno crocefisso Nostro Signore... non
c’era da aspettarsi altro». «Pensare Israele - dice Ceronetti -
richiede utensili e categorie che non appartengono a nessuna logica
politica, a schemi d’uso. Un mondo che non veda che Israele è un
destino che s’iscrive naturalmente nel tragico non può comprenderne né
lo ieri né l’oggi. Tutt’al più temerne, senza capire, il domani».
Beniamino Pagliaro |
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notizieflash |
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Gaza: completato il ritiro da parte dell'esercito israeliano Gerusalemme, 21 gen - Il
portavoce delle forze armate israeliane ha dichiarato che "Questa
mattina l'ultimo soldato delle Forze di Difesa di Israele (Idf) ha
lasciato la Striscia di Gaza e le forze (armate) si sono schierate
fuori dalla Striscia, pronte a ogni evenienza". Da domenica Tsahal
aveva iniziato un graduale ritiro.
Gaza: esercito israeliano a palestinesi, non toccate ordingni inesplosi Tel Aviv, 21 gen - Il
portavoce della forze armate israeliane (Tsahal) ha lanciato oggi un
appello urgente alla popolazione di Gaza affinché non si avvicini ad
ordigni inesplosi e che di fronte ad ogni oggetto sospetto è necessario
chiedere l'intervento di artificieri specializzati. Il portavoce ha
anche fatto sapere che Israele è disposto a cooperare mediante un
apposito ufficio di collegamento. La popolazione di Gaza è stata
aggiornata sulla questione attraverso mezzi stampa arabi. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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