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L'Unione informa
 
    22 gennaio 2009 - 26 Tevet 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
In una lezione pubblica nei giorni scorsi di guerra, Rav J. Sachs, capo rabbino del Regno Unito, ha ricordato il midrash che commenta il verso biblico che descrive lo stato d'animo del patriarca Yaaqov alla vigilia del suo incontro, dopo anni di separazione, dal fratello Esav che stava per raggiungerlo con intenzioni apparentemente minacciose. La Torà dice che Yaaqov "ebbe molta paura e fu rattristato". Bastava dire che aveva paura, perché anche rattristato? La risposta del midrash è che si prospettava a Yaaqov la necessità di difendersi anche con le armi, e questa prospettiva non gli piaceva affatto. Nei giorni passati abbiamo sentito critiche e accuse di tutti i tipi, compreso l'antico argomento della natura congenitamente violenta e guerrafondaia del popolo ebraico. Ma la guerra per Israele è talora, purtroppo, solo una tristissima necessità.
Nell'immediata vigilia dell'insediamento Barack Obama si è recato in Ohio per passare una giornata dentro una fabbrica che produce bulloni destinati a impianti di energia eolica. Sono vecchie strutture industriali rigenerate per contribuire a emancipare l'America dal greggio importato da Paesi instabili del Medio Oriente o dal Venezuela. E' questa la strada su cui si incammina il nuovo presidente.  Maurizio
Molinari,
giornalista
Maurizio Molinari  
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  paola cantori Leader o persone comuni poco importa
Sono le donne le protagoniste di Israele


Quando abbiamo programmato il lavoro della settimana alla vigilia di questo viaggio di solidarietà dei leader ebraici italiani, noi della redazione del Portale dell’ebraismo italiano, si era pensato di mettere in cantiere una serie di ritratti che aiutassero il lettore italiano a cogliere la vera essenza dell’Israele di oggi. Abbiamo puntato su tre donne, per dire quanto contino, quanto siano importanti le donne in Israele, ma anche per fare un ritratto di tre protagoniste. I primi due ritratti, quelli dedicati a Tzipi Livni a capo della coalizione Kadima che si candida in queste elezioni a governare Israele e quello di Gabriela Shalev, la giurista di origine tedesca che da qualche mese rappresenta Gerusalemme alle Nazioni unite, come il lettore avrà osservato, sono già stati pubblicati. Il terzo è in cantiere e sarà dedicato a una giornalista israeliana autorevole e controversa: la corrispondente del quotidiano Haaretz Amira Haas, che racconta in presa diretta la vita e il dramma dei palestinesi, graffia, provoca il lettore oltremisura, a volte esagera, ma al tempo stesso tiene alta la bandiera della più assoluta libertà d’espressione e della più grande professionalità giornalistica, due beni su cui Israele non ha nulla da invidiare a nessuno.
Ora che la missione, con tutte le emozioni e le passioni che ha suscitato, volge al termine dirigendosi nella residenza del Presidente Shimon Peres, credo sia giusto rivedere le scelte su cosa pubblicare alla luce della realtà.
Certo, la sensazione che le donne tengano assieme una realtà difficile e complessa, resta. Certo, Livni, Shalev e Haas sono delle grandissime protagoniste. Ma le donne incontrate nelle scorse ore non erano solo protagoniste per forza. Erano anche donne comuni costrette dalle circostanze a essere delle eroine.
E’ così, perché Israele è un tesoro inestimabile e anche chi crede di conoscere a fondo questa realtà non può trascorrerci anche solo un paio di giorni senza essere costretto a modificare profondamente la propria visione delle cose. Così, se è vero che il lavoro dei giornalisti onesti dovrebbe essere quello di rimettersi continuamente in gioco.
Vorrei quindi raccontare di tre donne incontrate nelle scorse ore. Non sono celebrità destinate a finire sulle prime pagine delle riviste, ma forse proprio per questo sono drammaticamente vive e appassionanti.
Paola Cantori (ritratta nella prima foto in alto) ha lasciato Genova nel 1981. Subito dopo il matrimonio con Desiderio, che oggi è uno stimato pediatra nella regione di Sderot, ha preso il volo per trasferirsi in Israele. Nel villaggio cooperativo di Sdot Negev, dove si è stabilita, si sta bene. Ma la vita in Israele è entusiasmante e difficile al tempo stesso. Da anni sul moshav piovono missili lanciati dalla vicina Gaza. E suonava a ripetizione l’allarme. E solo quindici secondi per mettersesi in salvo.
“Per otto anni siamo stati anni a fare da bersaglio”, racconta oggi Paola. E mostra la casa dei vicini sventrata da un missile. Era lo scorso 24 dicembre e gli abitanti snervati da centinaia di allarmi e di esplosioni si trovavano ormai anche in prima linea. Nurit Lazar, la vicina di Paola, era in casa con il marito Ari e i loro tre bambini. Primo allarme, secondo allarme… all terza sirena Ari non ha seguito ancora una volta la moglie in fuga verso il rifugio con i bambini, ma si è fermato sul divano a vedere la tv.. Il missile è entrato sopra la finestra grande, ha attraversato il salotto, ha sfondato il bagno ed è uscito dall’altra parte. Gli è passato sora la testa, mentre la casa gli si sbriciolava intorno. Quando è arrivata la missione italiana, Paola ha portato tutti a conoscere il suo vicino miracolato. Qualcuno gli ha chiesto di giocare assieme al Totocalcio. La casa i Lazar la stanno già ricostruendo. Ma Paola continua a prodigarsi per aiutare i vicini che non possono ancora abitarla. La pioggia di razzi, intanto, si è quietata, anche se una pace stabile si fa ancora attendere.

shoshana cassutoNon c’è da fare molta strada per incontrare al kibbutz Saad Shoshana Cassuto (ritratta nella foto a fianco). Arrivata in Israele quando finiva l’inverno del 1945, la sua Firenze assieme al fratello David (architetto a Gerusalemme) era stata già liberata, ma la guerra doveva ancora volgere al termine. Il 31 dicembre Shoshana si trovava nella sala da pranzo collettiva dove tutti i componenti del kibbutz prendono i pasti. Poco prima di prendere il caffè, la sirena ha suonato per l’ennesima volta. Cessato l’allarme, Shoshana ha trovato un missile in casa. E’ la seconda volta che qualcuno le toglie una casa. La volta precedente era una bambina e per le vie di Firenze si dava la caccia agli ebrei.
Oggi nella sala da pranzo Shoshana mostra la sua collezione di missili ed esplosivi di tutte le taglie piovuti da Gaza. Li hanno raccolti negli anni, dopo l’esplosione, per mostrarli agli ospiti. Oggi Shoshana ha un progetto. Dotare ognuna delle 800 casette di Saad di un rifugio. “Se tornassero tempi difficili - spiega - dobbiamo pensare a ripararci”.
Tutti affrontano il trauma e il dolore con dignità. E dietro ci sono di nuovo sempre le donne di Israele.

karnit goldwasserInfine, a sera, l’ultimo incontro di una giornata travolgente. Si chiama Karnit Goldwasser (ritratta nella foto a fianco), suo marito Ehud è stato rapito e ucciso al Nord dai miliziani di Hezbollah. Per farsi restituire la salma Israele ha pagato un prezzo altissimo. Ma non c’è un prezzo troppo alto per rendere omaggio a chi ha donato la propria vita in questo modo
Sembra fragile, consumata da una vita ingiusta, pietrificata da un destino insopportabile. Poi parla per spiegare come Israele sia un appuntamento irrinunciabile. Per lei come per tutti noi. Chi la conosce garantisce che non si lascerà mai spezzare dal dolore. C’è chi le ha chiesto se non si sente tradita dal suo Paese che mandato il suo Dudu a sorvegliare i confini e non è riuscito a portarlo a casa vivo. “Al contrario - ha ripetuto - sono fiera di un Paese disposto a fare qualunque terribile sacrificio pur di dare a mio marito l’onore di essere seppellito nella sua terra”.
Queste e quelle sono le donne di Israele, protagoniste vera di una realtà senza pari. Il loro coraggio, comunque le si guardi, sembra capace di sconfiggere gli eserciti e di restituire speranza in un futuro senza ingiustizie.

Guido Vitale


SchwedMemoria 5 - Alessandro Schwed
Dobbiamo ricostruire le emozioni


La fine d’Israele. Le case e le vie che si svuotano mentre la natura e il silenzio inghiottono ciò che resta. Parte da qui, da quest’epilogo amarissimo, il dialogo con Alessandro Schwed sulla Memoria e i suoi rituali. Al venir meno dello stato ebraico lo scrittore e giornalista, penna satirica del Male negli anni Settanta con lo pseudonimo di Giga Melik, ha infatti dedicato il suo ultimo romanzo (La scomparsa d’Israele, 223 pagine, Mondadori editore) che narra una surreale controdiaspora a metà tra l’incubo e lo sberleffo. “Ho voluto proporre – spiega Schwed – ciò che in matematica è la dimostrazione per assurdo. Mi sono cioè chiesto a cosa poteva portare la distruzione dello stato d’Israele, invocata da così tanta parte del mondo arabo”. La risposta, per molti versi scontata, è “assolutamente niente”. “Ciò che è spinto dall’odio, dal terrore e dalla guerra produce solo devastazioni”, chiosa infatti l’autore. Parlare del collasso israeliano significa però misurarsi su un nodo altrettanto scabroso e cioè il modo in cui, dopo la Shoah, gli ebrei sono percepiti e vissuti dalla società circostante.
Alessandro Schwed, lei per anni ha militato nel Manifesto. Come viveva, da ebreo, l’atteggiamento di certa sinistra italiana nei confronti d’Israele?
Negli anni Settanta quando il discorso toccava Israele calava il silenzio. E prima di parlare a suo favore si doveva esibire la patente di democratico, antifascista e via di seguito. Serpeggiava un’avversione, poi esplosa negli ultimi anni, all’idea che gli ebrei potessero avere un loro stato. Non mi ci ritrovavo. Lo strappo definitivo per me però è avvenuto pochi anni fa. E’ stato alla manifestazione del 25 aprile a Milano, quando ho visto tre vecchi partigiani della Brigata ebraica insultati e fatti oggetto di sputi da alcuni giovani rappresentanti dell’estrema sinistra mentre nel corteo si bruciavano le bandiere israeliane.
Fu un momento sconvolgente per molti.
Fu la rottura tra l’idea di un mondo libero, nato dalla Resistenza e dall’antifascismo, e la realtà.
L’avversione nei confronti d’Israele sembra contraddire una generale grande disponibilità alla Memoria della Shoah.
C’è una sorta di ricatto di fondo che aleggia ormai da trent’anni. Sono tutti pronti, anche se sempre un po’ meno, a stracciarsi le vesti per gli ebrei morti. Ma se gli ebrei sono vivi, vogliono fare i cittadini democratici, esserci e costruire allora il discorso cambia.
Siamo di fronte a una specie d’idealizzazione?
Il mondo vive gli ebrei in modo positivo quando sono proiettati in una sorta di esodo eterno, come se li amasse solo sulla carta. Ed è una percezione che viene profondamente messa in discussione dalla presenza dello Stato d’Israele.
Le cerimonie dedicate alla Memoria, in certe loro formulazioni più rituali, rischiano di diventare parte di questa percezione. Non è che in quest’ultimo decennio da parte ebraica si è marcato troppo quest’aspetto?
Gli ebrei sono professionisti della memoria, sono “uomini d’aria”, sempre al centro di un contenzioso della storia. Al tempo dell’esilio di Nabucodonosor per conservare la memoria dell’esatta pronuncia della parole adottarono la punteggiatura sotto le lettere e così preservarono un aspetto prezioso della loro identità. E’ una storia piena di poesia, che ci riporta al grande valore attribuito dall’ebraismo alle proprie radici.
Non si rischia di diventare un po’ ossessivi?
So che vi sono persone che della Shoah hanno fatto una religione. Anche se l’ebraismo non è nato da lì ma lì è stato massacrato e polverizzato. Non si deve però dimenticare che l’ossessione ebraica della Shoah nasce dal fatto che quel massacro è proseguito lungo le generazioni nella devastazione interiore di chi l’aveva vissuto, nei figli e nei nipoti. Una delle tappe della Shoah è stata ad esempio la morte di Primo Levi, avvenuta così tanti anni dopo la guerra. Gli ebrei conoscono bene quel senso di accerchiamento terrificante. Non ci si può scagliare contro chi soffre. E per la Shoah soffriamo tutti.
Non c’è il pericolo che la ritualizzazione della Memoria finisca per annullare il ricordo di quanto è stato?
Sono contento che ci sia un giorno dedicato alla Memoria, non si sa mai cosa può accadere in futuro … Le commemorazioni, se isolate e private dei contenuti personali, possono però diventare vuote di senso. Dobbiamo dunque riuscire a operare per una Memoria vivente ricostruendo le emozioni di quanti hanno vissuto quel tempo, le ragioni della guerra, la Shoah. La sofferenza va spiegata nel presente come una cosa reale.
E per ciò che riguarda l’identità ebraica? Molto spesso la s’identifica tout court con la Shoah cancellando così secoli di storia e di vita.
Questo è un lavoro che dev’essere ordinario e quotidiano. Dovremmo riuscire a fare vedere l’ebraismo nella sua complessità parlando di cultura, teatro, musica, umorismo. Dobbiamo riconquistare la gioia, la capacità di danzare. E questo può accadere solo iniziando a coltivare profondamente l’idea della pace.

Daniela Gross
 
 
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pilpul    
 
  tiziodellaseraLui non si scompone

D’Alema ha letto senza nessuno stupore l’articolo 7 dello statuto di Hamas. L’odio è una cosa normalissima.

Il Tizio della Sera
 
 
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rassegna stampa    
 
 
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Il commento alla rassegna di oggi si apre con la segnalazione di un’ intervista al Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, pubblicata su La Repubblica in merito alla censura Rai di cui è stata oggetto la puntata di Anno Zero, condotta da Michele Santoro lo scorso 15 gennaio.  “La libertà di manifestazione del pensiero è garantita dalla Costituzione” ha affermato Il presidente Gattegna “ma non può trasformarsi in arbitrio”.
La “bufera Santoro” si è rinvigorita dopo la bocciatura ufficiale da parte del Consiglio di Amministrazione Rai, che senza mezzi termini ha definito la trasmissione “faziosa e intollerante”(Il Manifesto, Avvenire, Il Giornale, Libero, La Repubblica). Una tirata d'orecchie,  che fornisce a Santoro il trampolino di lancio per una nuova invettiva. Si scaglia infuriato contro chiunque lo contraddica e, questa, non è certo una novità. Riproponendo la minestra riscaldata di “linciaggio mediatico” e “interferenza nella libertà di espressione” Santoro non riesce proprio ad assumere le fattezze del martire questa volta.

Il Presidente della camera Gianfranco Fini, in visita ieri alla Sapienza per inaugurare l'anno accademico del Master in Istituzione Europee e Storia Costituzionale, dove ha tenuto una lectio magistralis sull'Unione Europea, è stato accolto da insulti ,fischi e striscioni di condanna per “il massacro di Gaza” (Libero). Vittorio Feltri apre la prima pagina di Libero, apostrofando con ironia bruciante l’impresa del Movimento Onda, responsabile dell’organizzazione del quanto mai inusuale “comitato di accoglienza” riservato all’onorevole Gianfranco Fini. Un’ironia quella del direttore di Libero, che lascia spazio ad un’amara constatazione:  lo smarrimento di una generazione che appare svuotata di valori, permanentemente in cerca del pretesto giornaliero in grado di sollevare giusto un po’ di chiasso.

I riflettori mediatici sono naturalmente puntati sulla Casa Bianca. Il primo giorno di lavoro, il neopresidente degli Stati Uniti Barack Obama, sembra averlo passato al telefono! Attraverso le linee telefoniche Obama ha compiuto il primo passo verso un impegno che si preannuncia sempre più intenso sul fronte mediorientale. 
A squillare i telefoni di Abu Mazen, Olmert, Mubarak e di Re Abdallah (Il Corriere della Sera, Il Mattino, Il Messaggero, La Repubblica). Di certo non sarà un percorso in discesa per il più acclamato presidente statunitense. Gli interrogativi e i dubbi si moltiplicano piuttosto che sciogliersi, primo fra tutti: trattare con Hamas o isolarlo? (The Herald Tribune). Solo martedì, durante il discorso di insediamento, Barak Obama ha parlato di mano tesa all’Islam. Una nobile aspirazione che non convince Carlo Panella, che su Il Tempo, esprime le sue perplessità sulla possibilità per quella mano tesa di essere accettata. La ragione è semplice ma ha più sfaccettature, argomenta Panella. In primis la difesa dello Stato di Israele e la guerra in Afghanistan.

Melissa Sonnino

 
 
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notizieflash    
 
 
MILANOMilano: Due popoli, due Stati, una pace                
“Approfittiamo del silenzio delle bombe per dare voce ai moderati che anche nella nostra città credono che un altro Medio Oriente – democratico - sia possibile”.
 Questo è stato il filo conduttore della serata organizzata dall’Associazione Amici di Israele in Piazza San Carlo a Milano. Non molto numerosa, ma molto partecipativa, l’affluenza.
Ha esordito sul palco Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio Comunale di Milano, che aveva al suo fianco i Consiglieri dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Yoram Ortona e Riccardo Hofmann, con un intervento molto forte a favore del diritto di Israele a difendersi dagli attacchi di Hamas. Chiedendosi come reagirebbero i milanesi se subissero una situazione analoga a quella di Sderot, viene inoltre ricordata da Palmeri la celebre affermazione di Golda Meir “Possiamo perdonare gli arabi perché uccidono i nostri bambini. Non possiamo perdonarli per il fatto che ci costringono a uccidere i loro bambini”.
Il segretario dell’Associazione Amici di Israele Davide Romano ha poi dato la parola al Presidente della Provincia di Milano che, con toni pacati, ma fermi, ha sostenuto le ragioni di Israele, sottolineando come la pace si potrà raggiungere solo nel momento in cui anche i Palestinesi vedranno riconosciuto il loro diritto ad avere un proprio Stato.
Il Presidente della Comunità Ebraica di Milano Leone Soued ha ricordato le aggressioni che Hamas ha recato a Israele, non solo costringendo un gran numero di cittadini a vivere nei rifugi, ma anche non facendo nulla per difendere la popolazione di Gaza. L’intervento di Micaela Goren Monti, presidente della Zona 1 di Milano, ha poi enfatizzato l’impiego da parte di Hamas degli scudi umani, adulti e bambini, testimoniati da filmati che sono circolati in rete, mentre Israele utilizzava tutti i mezzi a disposizione per la tutela dei propri cittadini.
Commovente è stato il breve discorso di Dunia Ettaib, di origine marocchina, rappresentante dell’Unione donne arabe in Italia, che si è presentata sul palco avvolta in una bandiera israeliana e proclamando: “Non è difficile essere amici di Israele e della Democrazia”, e che, per queste posizioni, è costretta a girare con la scorta.
E’ poi stata la volta di Sami Blanga, Presidente nazionale del Keren Hayesod, che ha auspicato il raggiungimento della pace nel quadro di una vittoria sul terrorismo. Un rappresentante dei Radicali ha ribadito le posizioni del suo Partito, favorevole all’ingresso di Israele nell’Unione Europea.
Un egiziano, Adam, che da poco ha scelto di aderire all’ADI, ha voluto portare il suo contributo, constatando che i media piangono, giustamente le vittime palestinesi, ma omettono di ricordare quelle israeliane. Infine una ragazza israeliana di quattordici anni ha portato la testimonianza di chi vive in prima persona la realtà di Israele.
r.t.  - moked.it - 22 gennaio 2009
 

Roma: Militia sigilla negozi di ebrei 
Roma, 22 gen -
La scorsa notte le saracinesche dei negozi appartenenti a persone di religione ebraica in viale Libia, al quartiere Africano,sono state incollate, la medesima cosa è successa ai negozi di piazza Bologna e nel quartiere Appio-Latino. Il gesto antisemita è stato firmato su uno striscione dove c'era scritto:'Boicotta Israele. Militia', corredato da un fascio littorio. "Ci siamo dovuti rivolgere al fabbro - ha spiegato Davide Sonnino proprietario di uno dei negozi. Nella notte tra l'11 e il 12 gennaio scorso scritte antisemite e pro Hamas erano comparse nella zona di piazza Bologna sempre su alcuni negozi ebraici e sempre a firma dell'associazione di estrema destra Militia, mentre altre scritte antisemite e contro i media, vergate con vernice rossa, erano state fatte da ignoti contro le sedi di alcuni organi di informazione. Su questi episodi la procura della Repubblica di Roma ha aperto un'inchiesta per istigazione all'odio razziale, come previsto dalla legge Mancini, e danneggiamento.
 
 
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L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
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