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L'Unione informa |
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27 gennaio 2009 - 2 Shevat 5769 |
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alef/tav |
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 |
Roberto Della Rocca, rabbino |
Si
celebrano oggi in tutta Italia varie manifestazioni in occasione del
Giorno della Memoria. Benvengano gli articoli, i libri di storia,
i films, le conferenze, le mostre e i convegni sulla Shoà
proposti durante questi giorni. Ma non possiamo fermarci qui. Il
ricordo da solo può divenire la tomba del passato. Credere di
cambiare il corso della storia semplicemente narrando fatti spaventosi
non è che un illusione. Resta poi tutto il compito di
trasmettere, commentare e far rivivere queste testimonianze per
non dimenticare chi si è e da dove si viene. Nel libro di
interviste ai figli dei deportati di Claudine Vegh, " Non gli ho detto
arrivederci", un figlio racconta ancora perplesso dopo quasi
quarant'anni, come suo padre, mentre veniva trascinato dalle SS,
anziché dirgli per l'ultima volta "Ti voglio bene, non temere
nulla, bada a te stesso" , gli abbia invece urlato soltanto: " Robert,
non dimenticare mai che sei ebreo e devi restare ebreo". Il
figlio, ormai adulto, continua a interrogarsi sul senso di quel monito
"non dimenticare mai..", che era, evidentemente, per il padre, l'unico
modo di dirgli, nei pochi attimi che gli restavano, che per
sopravvivere, egli doveva preservare viva la memoria di
sé. |
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Nella
regolare alternanza che ci vede ospiti su questa finestra di confronto
con lettore e internauti, tocca a me dire loro qualcosa proprio nel
giorno della memoria. E io non riesco a far altro che tacere. Vorrei
affidare a Primo Levi, a una qualunque delle sue pagine, il compito di
accompagnarvi in questa giornata. |
Elena Loewenthal,
scrittrice |
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Storia, Memoria, Israele. La Giornata al Quirinale
Storia,
Memoria, Israele. I cardini della vicenda ebraica e degli ideali di
libertà, di pace e di giustizia di cui gli ebrei si sono fatti
portatori nei millenni, sono stati riconnessi dal Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano,
che ha ospitato, in occasione del Giorno della Memoria al Quirinale,
gli studenti italiani vincitori del concorso "I giovani ricordano la
Shoah". "Due mesi fa, tornando a Gerusalemme dopo molti anni, ha
affermato il Presidente Napolitano nella parte iniziale del suo
discorso, ho ritrovato in tutti i miei interlocutori quel senso
profondo delle radici storiche e ideali di Israele che mi ha sempre
colpito: perché forse in nessun altro popolo e Stato un simile
sentimento si manifesta in un rapporto così naturale con il
passato più lontano". Passando poi a parlare della situazione
mediorientale, Napolitano ha definito "drammatiche" le settimane della
crisi a Gaza. "A tattiche terroristiche senza scrupoli, - ha detto -
che hanno a lungo colpito il territorio di Israele e messo a rischio la
popolazione di Gaza, è seguita, da parte di Israele, un'azione
di guerra sulla cui portata e sulle cui conseguenze non è
mancata la discussione, anche in Israele e fra gli amici di Israele.
"Ma è necessario distinguere fra la politica di Israele ed il
suo diritto ad esistere e "Proprio in questi momenti, - ha
concluso Napolitano - deve farsi più forte la vigilanza, ed
esprimersi più nettamente la reazione, contro il riprodursi del
virus dell'antisemitismo, contro l'insorgere di nuove speculazioni e
aggressive campagne contro gli ebrei e contro lo Stato ebraico". Il Ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini
ha posto l'accento sui molti italiani che durante il periodo della
furia nazista salvarono vite e protessero i perseguitati. "Il loro
ricordo - ha affermato la Gelmini - mi solleva il cuore e mi
dà certezza che il proposito della memoria può trovare
terreno fertile. Una memoria del male, del male assoluto, diventa
sopportabile se insieme scorgiamo tracce di un'altra possibilità
per gli uomini". Alla cerimonia al Quirinale hanno partecipato le
massime autorità, ed è intervenuto, fra gli altri, il
Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna. La prolusione è stata affidata al professor Claudio Magris, uno dei massimi nomi della cultura italiana contemporanea. Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi,
in un messaggio diffuso in occasione della Giornata ha affermato
che "64 anni or sono furono abbattuti i cancelli di Auschwitz.
Questa data e quel luogo sono il paradigma dello sterminio di un popolo
che ha segnato per sempre la storia dell'umanità. Non lo
dimenticheremo mai. Per questo nutriremo il ricordo della Shoah con
celebrazioni e iniziative rivolte in modo particolare ai giovani,
affinché sappiano a quale punto di aberrazione può
arrivare l'odio dell'uomo contro l'uomo". Il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici,
intervenendo a margine della cerimonia al Quirinale sulla
necessità di integrazione tra culture diverse ha dichiarato che
è necessario "tendere la mano per facilitare l'integrazione ma
nello stesso tempo pretendere il rispetto delle più elementari
norme della nostra Costituzione, a partire dalle libertà civili
per le donne, e l'utilizzo dei luoghi di preghiera non come luoghi di
incitamento all'odio come in molte moschee avviene".
Memoria – Claudio Magris: “Gli ebrei possono parlare a nome di tutti”
Nel
1943, dal treno che lo sta portando ad Auschwitz, Aron Lieukant trova
il modo di inviare una lettera ai figli, Berthe e Simon, in cui
raccomanda loro di non bere bevande ghiacciate quando sono sudati.
Memoria significa ricordare, come un bene inestimabile che aiuta tutti
noi a vivere e ad affrontare il male, parole come queste. Esse — come
molte altre di tante altre vittime della Shoah, integre nonostante
l’orrore - ci dicono che la Shoah non è solo una storia di vittime, ma
anche di eroi, morti in modo orribile ma umanamente da signori e da
vincitori. Sei milioni di storie simili e ognuna irripetibile,
scolpite per l’eternità. Il modo più giusto di onorare quei morti e i
pochi sopravvissuti sarebbe ricordarli uno per uno, ognuno eterno,
protagonista di una Storia Sacra. Aron Lieukant — simbolo di tanti
altri come lui - ridà senso alla vita, all’umanità negata dalle
inaudite atrocità del Lager e della soluzione finale, le quali
potrebbero facilmente indurci a credere che l’intera creazione o almeno
l’intera storia dell’uomo siano un non-senso e farci rimpiangere che la
vita, per volontà di Dio o capriccio di molecole, abbia avuto inizio.
Rispetto a Lieukant e a quelli come lui, il Terzo Reich appare non solo
atroce, ma anche un’enfasi miserabile, una pagliacciata sanguinosa che
si voleva e si annunciava millenaria ed è durata dodici anni, meno del
mio scaldabagno. Una figura che lo rappresenta adeguatamente potrebbe
essere quel guardiano nazista in un Lager in Polonia particolarmente
sadico che, quando sta per venire ucciso dai deportati in rivolta, li
supplica: “Signori, vi prego, lasciatemi vivere”, chiamando così
“signori” coloro che sino a poco prima, inermi, egli torturava. “Sputa
almeno in faccia agli assassini”, esorta Leon Weliczker nel ghetto di
Varsavia. Talvolta un po’ di saliva sul viso di un boia basta a lavare
lo sterco dalla faccia del mondo. Lo schiaffo, materiale o
morale, del debole allo strapotente carnefice è una grande lezione. Fra
gli stereotipi razzisti c’era pure quello dell’ebreo strisciante e
imbelle e difficilmente i nazisti avrebbero pensato che potesse
succedere qualcosa come ad esempio — ma non soltanto — l’insurrezione
del ghetto di Varsavia, che un ghetto potesse divenire un campo di
battaglia da conquistare palmo a palmo, a fatica. L’ebreo, per il loro
razzismo omicida, era non solo un essere pericoloso e velenoso da
sopprimere, ma anche un debole, alla cui eliminazione — come nel caso
dei minorati — collaborare con la pretesa natura, secondo un’ ideologia
eugenetica della selezione naturale che ancor oggi riserpeggia in varie
forme. La Shoah è stata non solo ebraica, ma universale;
l’abiezione dell’odio e del disprezzo per gli ebrei mostra l’infamia e
l’imbecillità di odiare e disprezzare qualsiasi comunità umana.[...]
Sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il testo integrale dell'intervento
Memoria – Renzo Gattegna “Aiuta tutti a non dimenticare”
Anche
quest'anno il Quirinale apre le porte a tanti studenti impegnati in
lavori di studio e ricerca sul tema della memoria. Tra loro sono
presenti, anche i ragazzi che hanno partecipato al Concorso “I
giovani ricordano la Shoah”. Questa impostazione del Giorno
della Memoria, finalizzata al reale ed effettivo approfondimento
storico e culturale, sta producendo un doppio effetto positivo che Lei,
Presidente, assicurando ancora una volta la Sua presenza e il Suo
personale contributo, dimostra di voler valorizzare. Il primo effetto
positivo consiste nel consentire che, accanto alle cerimonie ufficiali,
si mantengano alti e ben presenti il vero significato e la vera
finalità di questa giornata, evitando che la ritualità
prevalga sulla vitalità. Il secondo effetto positivo
è quello di mantenere questo giorno al di sopra di qualsiasi
divisione ideologica o di parte politica, valorizzando la
“memoria condivisa” e la “coscienza condivisa”
di tutti gli italiani, così come fece il Parlamento quando, nel
2000, approvò all’unanimità la legge istitutiva. La Shoah, per molti anni dopo il 1945, rimase quasi nell’ombra, poco studiata e poco conosciuta. Solo
alla fine degli anni ’50, con la diffusione di fondamentali
ricerche, saggi, opere letterarie e teatrali, è sorto un
interesse vero e diffuso. Sono trascorsi circa 50 anni e la conoscenza
della Shoah, anche grazie al Giorno della Memoria, è un fatto
acquisito. Oggi la nostra attenzione e la nostra cura devono
essere rivolte alla corretta conservazione e alla efficace trasmissione
di questo ricordo. Nella cultura ebraica il ruolo affidato alla
memoria è fondamentale, sia sotto il profilo religioso che sotto
quello storico. E’ un elemento costitutivo della coscienza e
dell’identità ebraica. Tuttavia, di fronte
all’immane tragedia della Shoah, è fondamentale che questa
memoria non rimanga patrimonio esclusivo degli ebrei, ma, al contrario,
che venga condivisa da tutti. Solo in questo modo potremo affermare che
il Giorno della Memoria avrà raggiunto il proprio scopo. Solo in
questo modo la memoria costituirà veramente un antidoto contro
il ripetersi delle atrocità avvenute nel secolo scorso.[...]
Sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il testo integrale dell'intervento
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Riparte il laboratorio delle Intese
Tra i tanti accadimenti della vita parlamentare, pochi affiorano sui
"mass media". Nella settimana appena trascorsa, la discussione,
nell’Assemblea della Camera, del disegno di legge "Ratifica
ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra
la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare
socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008”* ha calamitato una
certa attenzione giornalistica per i contrasti emersi in Parlamento. Nessun
riverbero mi sembra invece abbia prodotto un piccolo ma significativo
passo compiuto mercoledì 21 gennaio dalla Commissione Affari
costituzionali del Senato, che ha incardinato – cioè
iniziato, nel gergo parlamentare – l'esame di due disegni di
legge approvativi di modifiche alle intese con la Tavola valdese e
l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno.
L'incarico di relatore sui due provvedimenti è stato assegnato a
due politici di eccezione, entrambi impegnati sul fronte della
laicità dello Stato: rispettivamente a Stefano Ceccanti,
costituzionalista, cattolico democratico, già presidente della
Federazione degli universitari cattolici italiani, ed a Lucio Malan,
valdese, segretario di presidenza del Senato. L'attribuzione
dell'incarico di relatore in chiave bipartisan (Stefano Ceccanti
è del partito democratico e Lucio Malan del popolo della
libertà) denota un corretto approccio alla questione delle
intese in sede parlamentare, che fa ben sperare per il futuro. Il
quadro degli ultimi anni non è infatti confortante: diverse
confessioni hanno raggiunto con lo Stato, dopo anni di trattative,
intese che – a distanza di molti anni – ancora devono
essere approvate con legge, secondo quanto prescritto dall'articolo 8,
terzo comma, della Costituzione. Anche le due intese integrative
finalmente sottoposte all'approvazione del Parlamento vengono da
lontano. Le trattative per l'integrazione dell'intesa con
l'Unione delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno sono
iniziate nel 2000 e si sono concluse nel 2004. Il testo sottoscritto
ben cinque anni fa, che non si è riusciti ad approvare con legge
nel periodo immediatamente successivo, è rapidamente invecchiato
a fronte delle novità normative intervenute in materia,
così che è stata redatta una nuova bozza di intesa,
siglata il 4 aprile 2007. Con la integrazione all'intesa del 1988
sottoposta ora all'esame del Parlamento, lo Stato riconosce la laurea
in teologia ed i diplomi in teologia ed in cultura biblica rilasciati
dall'Istituto avventista di cultura biblica. I valdesi, al termine di
un lento e sofferto cammino, sono finalmente giunti, con l'intesa
firmata una prima volta nel 2005 e poi nuovamente sottoscritta il 4
aprile 2007, allo stesso traguardo cui altre confessioni, compresa
quella ebraica, sono arrivate già da qualche anno: l'intesa
consentirà infatti alla Tavola valdese di partecipare –
con riguardo al riparto della quota dell'8 per mille del gettito Irpef
– all'ulteriore riparto delle somme risultanti dalle scelte
inespresse assegnate in proporzione alle scelte effettuate dai
contribuenti. Nel 1993 i valdesi si erano attestati – anche
qui dopo un intenso dibattito interno – sulla decisione di
partecipare al riparto della quota dell'8 per mille limitatamente alle
somme derivanti dalle scelte operate in loro favore dai contribuenti. La
decisione valdese aprì la strada a quella più radicale
compiuta dall'UCEI, che nel 1996, al termine di una consultazione con
tutte le comunità ebraiche, decise di partecipare al riparto sia
delle scelte espresse sia delle scelte inespresse. Allora, i tempi di
approvazione furono fulminei: l'intesa venne siglata il 6 novembre 1996
e la legge di approvazione fece in tempo ad entrare in vigore nello
stesso esercizio finanziario 1996. Dopo di allora (una
legge analoga e coeva riguardò l'intesa integrativa con
l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventizie del 7°
giorno) i tempi si sono dilatati e si è entrati in una fase di
generalizzata stasi: altre intese sono state siglate, rimanendo al
palo; altre trattative sono rimaste incagliate in oggettive
difficoltà (penso a quella con i musulmani); il tentativo di
superare la ormai vetusta legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti
ammessi, esperito quasi ritualmente nelle passate legislature, non ha
mai sortito alcun effetto. In particolare, il 4 aprile 2007 sono state siglate intese tra lo Stato e le seguenti confessioni: • Chiesa Apostolica in Italia; • Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni; • Congregazione cristiana dei testimoni di Geova; • Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale; • Unione buddista italiana; • Unione induista italiana. Proprio
tenendo conto di questa stagnazione, il passo compiuto dalla
Commissione Affari costituzionali del Senato acquista maggiore
significato e può costituire il punto di avvio di una nuova fase
di attenzione per le minoranze religiose. Nel corso del breve
dibattito, gli esponenti di tutti i gruppi politici hanno segnalato la
necessità che lo Stato eroghi il prima possibile la quota dell'8
per mille spettante alle confessioni religiose partecipanti al riparto
e hanno manifestato il proprio consenso a trattare i due disegni di
legge direttamente in sede deliberante (come già accadde per le
due leggi del 1996), addivenendo cioè all'approvazione
direttamente in Commissione, senza necessità di un voto
dell'Assemblea. Il Governo si è tempestivamente pronunciato
nello stesso senso.
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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rassegna stampa |
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Due
i temi ebraici che si intrecciano oggi un po’ su tutti i giornali
in una rassegna veramente sterminata, che sfioira i 230 articoli: la
questione del vescovo negazionista Williamson perdonato dal papa
assieme ai suoi tre compagni lefebvriani e la giornata della memoria. Sul
primo tema non vi sono sostanziali novità, se non la
reiterazione delle posizioni ebraiche in una dichiarazione
dell’Ucei (si veda per esempio l’articolo di Francesca
Numberg sul Messaggero)
la consueta copertura alle scelte del papa dei vescovi italiani, con
una dichiarazione molto dura del presidente della conferenza episcopale
italiana Bagnasco (“gli ebrei hanno usato parole ingiuste”,
si veda per esempio il resoconto di Acquaviva sul Giorno e di Angela Ambrogetti sul Secolo XIX; il testo integrale è sull’Avvenire)
che però condanna anche il negazionismo, e con articoli
pubblicati sul suo giornale l’Avvenire (Gianni Cardinale). Il
dibattito però infuria. La scelta del papa presenta un segnale
molto difficile da accettare anche all’interno della Chiesa, come
si vede dal documentato articolo di Adriano Prosperi su Repubblica. Bisogna notare che altrove, per esempio in Germania (riferisce Andrea Tarquini su Repubblica
accanto a una sua intervista a Hans Kueng), vi sono state prese di
distanza anche fra l’episcopato e in Italia è assai
critica una minoranza intellettuale (si veda per esempio
l’intervista a Vittorio Melloni sul Corriere).
Per quanto riguarda il mondo ebraico, da leggere l’intervista al
rabbino David Rosen pubblicata da De Giovannangeli sull’Unità. Molto chiara come sempre la posizione di Riccardo Pacifici intervistato dal Messaggero: non si possono dimenticare i progressi dei recenti pontificati, ma ci vuole un gesto forte da parte del Vaticano. Le risposte che difendono il papa hanno toni molto diversi. Baget Bozzo sul Giornale
giustifica la posizione del Vaticano in termini abbastanza riflessivi e
proiettandola sul piano storico; ancora più pacata è
l’analisi siglata cdc sull’Osservatore Romano, che pubblica anche un contributo di Anna Foa sulla falsità del negazionismo e fra l’altro un commovente articolo rievocativo della Shoà di Gaetano Vallini.
Più deciso e critico per le contestazioni è
l’ex presidente Cossiga in un’intervista a Paolo Rodari sul
Riformista:
chi discute Benedetto XVI in realtà non capirebbe la sua
politica. Fra coloro che capiscono le proteste si schiera invece
Rutelli (La Stampa). Violentissima è invece la posizione del deputato Udc Luca Volonté sul Tempo
(le domande su Williamson sarebbero “un insulto che la dice lunga
sulla buona fede del mondo ebraico anticattolico”). Sulla
stessa linea ipervaticana troviamo un articolo del Foglio,
in cui per difendere la posizione della Chiesa si cita senza commenti
un’opinione del presidente dell’ultrareazionaria
associazione Lepanto, Roberto De Mattei: “Quanto
all'antigiudaismo [della Chiesa], se lo distinguiamo correttamente dai
comportamenti individuali, mi pare che non sia stato superato' dal
Concilio, ma che non sia mai esistito. A meno di considerare
antigiudaico' il desiderio che ha per la conversione di tutti gli
uomini.” Con tanti saluti all’Inquisizione,
all’Istituzione dei ghetti… e anche alla tradizionale
amicizia di Giuliano Ferrara per il popolo ebraico. Un commento assai equilibrato è quello di Pierluigi Battista sul Corriere
(“un negazionismo intollerabile”) che mette in relazione la
“sensibilità” (”non ipersensibilità,
giusta sensibilità”) ebraica sul tema del negazionismo
alle minacce mortali che arrivano dal mondo islamico, accolte con
indifferenza da una Chiesa che a Gaza è stata vicina a una
solidarietà con Hamas. Il problema è dunque il giudizio
sul contemporaneo, non solo quello sul passato. Se per esempio si
generalizzano certe posizioni pacifiste è facile ad arrivare a
considerare la seconda guerra mondiale come un affare di mercanti
d’armi e di “imbroglioni come Churchill”. Lo fa
Nicholas Baker in un libro appena tradotto da Bompiani (“Cenere
d’uomo”) e recensito da Maria Rosa Mancuso sul Foglio,
in cui si sostiene che bisognava trattare l’altro ieri con
Hitler, come ieri con Saddam e oggi con l’Iran. E allora estrema
destra e estrema sinistra si toccano, come si è visto di
recente. Il negazionismo non è solo una questione di vecchi
arnesi clericali o nazisti. Seguire la discussione dei lettori alle
notizie su Williamson sui siti dei giornali on line rivela un intreccio
perverso di antipatia antiebraica, fideismo cattolico, odio per
Israele, pacifismo a senso unico che è veramente molto
preoccupante.
Per combattere questo intreccio di
antisemtismo, antisionismo, antisraelismo, dovrebbe essere utile la
giornata della memoria. Ma funziona? Se ne può dubitare, Nella
gra massa delle notizie e degli interventi segnaliamo quelli più
significativi. Il Manifesto
pubblica un articolo dello storico Nicola Tranfaglia, il quale ne
sostiene l’attualità in termini di difesa della
democrazia. Interessante, ma discutibile, il tentativo che sullo
stesso giornale compie la semiologa Valentina Pisanty,
di giustificare la giornata della memoria rispetto alle posizioni
anti-israeliane della sinistra distinguendo gli ebrei di
settant’anni fa dagli israeliani di oggi: alla studiosa che pure
ha dato importanti contributi nell’analisi del negazionismo e che
è molto cauta nelle sue affermazioni non identificandosi mai
direttamente con l’antisionismo, sfugge però evidentemente
la continuità del popolo ebraico e della sua esperienza storica.
Una risposta su questo punto si può trovare nell’articolo
di Eli Kavon sul Jerusalem Post,
che parla di una “nuova accusa del sangue” nei confronti di
Israele, analoga a quella che per secoli ha colpito gli ebrei della
diaspora. Fra i politici, interessanti la riflessione del ministro dei beni culturali Bondi sulla Stampa e quella del “governatore” del Lazio, Marrazzo, sul Tempo. Walter Veltroni chiede ospitalità al Riformista per
un articolo in cui polemizza con i bruciatori di bandiere israeliane ma
sostiene anche che bisogna ricordare anche l’origine delle
posizioni politiche contemporanee (cioè distinguere chi deriva
dal campo antifascista da chi ha i propri antenati in quello
responsabile della Shoà. Irwin Cotler, ex ministro della
giustizia canadese, propone sul Jerusalem Post
un elenco di cinque lezioni da trarre nella giornata:
l’importanza della memoria, il pericolo dei discorsi di odio
incoraggiati dai governi, il rischio del silenzio, la lotta contro la
cultura dell’impunità, il frequente tradimento degli
intellettuali. Lascia molto perplessi, Moni Ovadia in
un’intervista alla Gazzetta del mezzogiorno,
in cui sostiene che il giorno della memoria rischia di essere inutile
in quanto ripetitivo, che i politici che ne parlano sono ipocriti
perché non si mobilitano oggi per immigrati e diversi, che
“per i palestinesi nessuno fa nulla”. Sulla rassegna registriamo un importante sforzo di riflessione da parte degli intellettuali ebrei italiani. Su Europa
leggiamo una utile presa di posizione di Riccardo Calimani, che
considera l’antisemitismo “il substrato più forte
dell’antisionismo”. Sul Messaggero
parla David Megnagi, con una riflessione interessante sulla
difficoltà ebraica ed anche europea che emerge dal rituale della
memoria. Utile anche l’intervista a Luca Mastrantonio di David
Bidussa sul Riformista,
in cui si oppone all’omologazione alla Shoà di qualunque
cosa sia giudicata un “olocausto”, come fa la Chiesa con
l’aborto. Un’altra intervista a Bidussa si trova sul Manifesto. Lo stesso autore parla della giornata della memoria come di “una scommessa persa” in un articolo sul Secolo XIX. Ancor più polemica è la posizione di Giorgio Israel
in un articolo intitolato “la nottata della memoria”, in
cui si sostiene che la cerimonia ha smarrito ogni senso,
moltiplicandosi patologicamente. Per Israel l’atteggiamento verso
l’ebraismo si misura oggi sulla questione di Israele. Arrigo Levi
sulla Stampa
sostiene però giustamente che la giornata non è per gli
ebrei, che comunque ricordano, ma per i non ebrei, che dovrebbero
prenderla come un invito e un obbligo. Importante
l’articolo di Fiamma Nirenstein sul Giornale
a proposito di negazionismo e antisemitismo che ritornano oggi in
Europa portati dai militanti islamisti. Gli stessi che stanno vincendo
un’importante battaglia politica in Olanda, portando sotto
processo il parlamentare Geert Wilders, che in un filmato
(“Fitna”) ha paragonato il Corano a “Main
Kampf”; mentre non hanno subito conseguenze i parlamentari
socialisti e gli islamisti che in un corteo anti-israleiano hanno
gridato slogan come “Hamas/ebrei al gas”: lo riferisce
Manfred Gerstenfeld sul Jerusalem Post. Medio Oriente. Interessante la lettera di spiegazioni dell’inviato del Corriere
Lorenzo Cremonesi sul numero dei morti a Gaza. Nonostante il tono
violentemente antisraeliano di certe affermazioni, Cremonesi conferma
la falsità dei dati forniti alla stampa dalle fonti palestinesi
(che pure continua a usare senza verifica).
Ugo Volli |
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Lefebvriani: Riccardo Pacifici e il dialogo necessario Roma, 27 gen - "Credo
che da una parte vada compresa l'incredulità di fronte a queste
esternazioni che non sono nuove a questo vescovo, però nello
stesso tempo dobbiamo poter guardare avanti. Credo che il dialogo con
la Chiesa sia, oggi più che mai, necessario"- queste le
dichiarazioni rilasciate dal presidente della Comunità ebraica
di Roma, Riccardo Pacifici, sulle polemiche tra Chiesa e
Comunità ebraica in merito alla decisione di revocare la
scomunica al vescovo lefebrvriano Willimason.
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