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L'Unione informa |
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28 gennaio 2009 - 3 Shevat 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso
Arbib, rabbino capo di Milano |
Il
midràsh racconta che il faraone, prima di iniziare la persecuzione
antiebraica consultò tre saggi: Iyòv, Bilàm e Yitrò. Bilàm sostenne con
entusiasmo le idee del faraone. Yitrò fuggì esprimendo in questo modo
la sua opposizione e Iyòv rimase in silenzio. Che senso ha il silenzio
di Iyòv? Egli è descritto come un uomo retto e temente Dio, non poteva
certo approvare la persecuzione. Iyòv probabilmente rimane in silenzio
perché ritiene il suo intervento inutile (il faraone aveva già deciso e
non avrebbe cambiato idea) e pericoloso (rischiava a sua volta di
essere perseguitato). Il ragionamento di Iyòv è accettabile,
comprensibile? E' sicuramente comprensibile e contiene probabilmente
vari elementi di verità ma, secondo la tradizione ebraica, non è
accettabile. Iyòv pecca di mancanza di chèsed, cioè non riesce a
sentire la sofferenza altrui come propria e questo gli impedisce di
reagire a una persecuzione anche quando questa reazione può essere
pericolosa e apparentemente inutile. Secondo Rav Soloveitchik
l'atteggiamento di Iyòv è stato l'atteggiamento di molti durante la
Shoà. Egli non parla naturalmente di persecutori e lei loro collaboratori ma di persone o nazioni che, pur non condividendo, sono rimasti in silenzio. |
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In coincidenza con l'insediamento di Obama il "National Jewish Democratic
Council" ha organizzato a Washington un gala che ha avuto mille vip
partecipanti e due protagonisti. David Axelrod, guru politico di
Barack, ha allietato i presenti con le storie sulle peripezie degli avi
giunti dalla Bessarabia, vantando la soddisfazione per il 78 per
cento di ebrei che alle presidenziali hanno votato democratico. Elie
Wiesel invece ha guardato al futuro: "Con Obama presidente confido
nel fatto che forse mio figlio e mio nipote saranno in questa
città,negli anni a venire, per celebrare il primo presidente ebreo
degli Stati Uniti". |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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Shoah, una dura lezione per tutta l’umanità
“La Memoria non riguarda solo gli ebrei, ma l’intera società. La Shoah
ha colpito soprattutto gli ebrei, che ne sono stati le vittime, ma ha
riguardato e riguarda tutta l’umanità, dal momento che ancora
persistono i germi della violenza e del razzismo contro i quali la
lotta deve essere proseguita senza interruzioni, senza indugi e senza
indulgenze, abbinando sempre alla fase della repressione e della lotta,
quella del recupero e dell’educazione” Così il Presidente Ucei Renzo Gattegna
ha concluso il suo discorso in occasione della Giornata della Memoria
al convegno “Memoria: dalle testimonianze dirette al Museo della
Shoah”, che si è tenuto nella Sala della Lupa di palazzo Montecitorio a Roma. Molte le personalità intervenute oltre al Presidente della Camera, Gianfranco Fini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti,
il segretario del partito democratico ed ex-sindaco di Roma Walter
Veltroni, il presidente della Fondazione Museo della Shoah ed ex
presidente della Comunità Ebraica di Roma Leone Paserman, il professor Marcello Pezzetti, la signora Goti Bauer testimone reduce dei campi di sterminio ed infine i due architetti che hanno realizzato il progetto del Museo della Shoah Giorgio Maria Tamburrini e Luca Zevi. Gli
interventi di tutti i relatori si sono soffermati sul significato della
Memoria e su quello della realizzazione di un Museo della Shoah in
Italia, ma forse è un terzo aspetto quello che ha pesato più di tutti
proprio nel giorno della celebrazione della memoria della Shoah,
scaturito dalle affermazioni di Monsignor Richard Williamson, accusato
di negazionismo, al quale il papa Benedetto XVI ha appena revocato la
scomunica e che è stato il fantasma di tutti coloro che hanno vissuto
personalmente la tragica esperienza dei campi di concentramento nazisti
al loro ritorno a casa: la paura di non essere creduti, la paura che
qualcuno potesse mettere in dubbio ciò che era stato. Così il
Presidente della Camera Gianfranco Fini non ha perso l’occasione di
prendere duramente posizione “C’è il dovere di indignarsi e non
minimizzare quando riecheggiano teorie negazioniste sempre infami e
ancor di più se arrivano da chi ha un incarico religioso” tornando poi
sull’importanza del concetto di memoria ha ammonito “Il dovere della
memoria è non solo il dovere di ricordare, ma anche il dovere di
capire. Il dovere di scoprire i meccanismi perversi che hanno permesso
questa spaventosa corruzione della coscienza dell’uomo”. Sulla
stessa linea il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo “La
memoria -ha detto- affonda nel passato ma deve parlare al presente e
soprattutto al futuro” invitando però a fare attenzione perché “senza
un forte fondamento di conoscenza la memoria della Shoah rischia di
svuotarsi. Il nostro compito è proprio quello di ricordare e far capire
che quelle idee e quegli atti demoniaci hanno camminato su gambe
assolutamente umane”. “Il nostro compito - ha continuato Marrazzo
- è mettere in luce quali dinamiche abbiano permesso il realizzarsi di
un male così estremo ed inumano. Dietro a tutto ciò c’erano uomini. Di
questa coscienza, purtroppo, oggi abbiamo bisogno”. “Si vedono
affiorare - ha detto nel concludere Marrazzo- nuove forme di razzismo e
discriminazione. Si registrano episodi gravi, si avverte un rumore di
fondo, uno strisciante fastidio per la diversità. Questo meccanismo
mentale, purtroppo, è oggi presente nella nostra società. Può avere
come bersaglio i rom o i musulmani o, di nuovo, gli ebrei”. Il leader del Pd Walter Veltroni associandosi alle affermazioni di Fini ha commentato “La
Shoah è stata una grande tragedia. Nessuno può negare, quale che sia il
suo vestito, la sua tonaca, il suo mestiere, ciò che non può essere
negato: ovverosia la tragedia delle camere a gas”. Citando poi un
episodio della sua infanzia Veltroni ha ricordato con amarezza “che a
vendere degli italiani per poche decine di lire c’erano altri italiani”. Il
sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si è soffermato invece
sull’importanza della realizzazione del museo della Shoah “Quando il
museo della Shoah sarà inaugurato -ha detto Alemanno- affideremo a Roma
uno strumento della memoria ma anche una palestra per mantenere la
nostra umanità” ed ha poi continuato “nei prossimi anni il museo della
Shoah sarà uno strumento per le giovani generazioni con un triplice
obiettivo: il primo è storico perché sia sempre presente nella memoria
la realtà dei fatti; bisogna poter dire ai giovani che ciò che è
accaduto è reale così come reali sono le responsabilità storiche di
nazismo e fascismo e di chi, indifferente, non ha saputo schierarsi con
i giusti”. Il secondo, è un obiettivo “ideologico-culturale perché ogni
volta che ci si rivolge ad una comunità, ad una etnia o ad una razza
condannandola in blocco si fa il primo passo verso la discriminazione”.
Infine dal museo della Shoah verrà “un insegnamento umano, la capacità
di non perdere la percezione dell’essere umano che si ha di fronte
perché simili orrori non si ripetano più”. Il professor Marcello
Pezzetti soffermandosi sulla funzione del museo della Shoah ha rilevato
che “il museo è un servizio, non una esposizione” ma ha anche precisato
che “esso non è un museo per gli ebrei, nessun museo della Shoah al
mondo è per gli ebrei, è un museo per l’Italia e per la scuola
italiana”. A conclusione del convegno, Luca Zevi, uno dei dei due
architetti che hanno realizzato il progetto, ha spiegato l’idea di
fondo su cui si basa il Museo nazionale della Shoah di Roma che
dovrebbe essere inaugurato nel 2011, un enorme parallelepipedo nero
sulle cui pareti saranno incisi i nomi degli ebrei italiani deportati
nei campi di concentramento nazisti. Le celebrazioni per la Giornata della Memoria sono poi proseguite al Vittoriano dove il Ministro dei Beni Culturali Alessandro Bondi, in una manifestazione organizzata insieme all’Ucei, ha presentato ‘Il Libro della Shoah italiana’ di Marcello Pezzetti. Il
libro riporta 105 testimonianze, raccolte, (come ha spiegato l’autore)
in 13 anni “di ricerca quotidiana, di lavoro storico”. Un impegno che
“mi ha fatto capire -ha detto Pezzetti- che cosa è stata veramente la
Shoah. Molti dei sopravvissuti, infatti, non avevano mai parlato prima,
non avevano raccontato neanche ai parenti più stretti la tragedia dei
campi di concentramento”. “Tra il dovere della testimonianza e la
scelta di rifugiarsi nel silenzio, di fronte all’orrore della Shoah,
-ha osservato il Ministro Bondi nel presentare il libro- della
disumanità assoluta dei campi di sterminio, c’é una terza via, quella
di ricordare attraverso la meditazione e la preghiera”.
Lucilla Efrati
Memoria 9 – Marcello Pezzetti: “In Italia manca ancora una presa di coscienza”
"Il
libro della Shoah Italiana. Una ricerca della Fondazione Centro di
Documentazione ebraica contemporanea" (Einaudi), di Marcello Pezzetti,
nuovo direttore del Museo della Shoah di Roma, sarà presentato questa
sera alle 20.30 al teatro Dal Verme di Milano in una serata che vede la
partecipazione del direttore del Sole 24 Ore e presidente Fondazione
per il Memoriale della Shoah Ferruccio De Bortoli, e della storica
della Fondazione Cdec Liliana Picciotto. Nell'intervista che segue
l'autore spiega i motivi che hanno ispirato il suo lavoro.
Nel
1943 vennero deportati circa un quinto dei 45000 ebrei italiani, 9000
persone. Per quasi tutti la destinazione fu Auschwitz. Pochissimi
tornarono. Nel “Il libro della Shoà italiana” (appena pubblicato
da Einaudi editore), Marcello Pezzetti, storico, esperto del
Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (Cdec),
collaboratore dello Yad Vashem, il museo della Shoà di Gerusalemme, e
direttore del Museo della Shoah di Roma in via di realizzazione, vuole
ricostruire la storia di questa tragedia italiana. Questa sera,
mercoledì 28 gennaio alle 20.30, al Teatro Dal Verme di Milano, la
Giornata della Memoria sarà celebrata con la presentazione dell’opera
in una serata organizzata in collaborazione con la Comunità ebraica di
Milano, la Fondazione Cdec e la Fondazione Memoriale della Shoah di
Milano. La manifestazione sarà introdotta da Ferruccio De Bortoli,
direttore del Sole 24 Ore, e vedrà la partecipazione della Storica
Liliana Picciotto storica del del Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea e di alcuni sopravvissuti. Il volume raccoglie le
testimonianze di oltre cento sopravvissuti italiani. Trasmette,
attraverso la loro voce, attraverso i loro dialetti, la storia di
ciascuno, gli orrori a cui assistette e che subì, storie spesso
raccontate con riluttanza, a volte con sorprendente ironia. Professor Pezzetti, in cosa la Shoà italiana è diversa da quella del resto d’Europa? I metodi utilizzati furono gli stessi dappertutto, ma ci sono tre importanti differenze. La
prima consiste nel fatto che l’Italia era un paese alleato della
Germania, e quindi uno Stato che perseguitò autonomamente gli ebrei,
preparando in questo modo il terreno alla deportazione. È importante
sottolineare che essa non fu esclusiva responsabilità dei Nazisti, gli
italiani collaborarono attivamente: più della metà degli ebrei italiani
fu arrestata da italiani, non da tedeschi. Inoltre gli ebrei
italiani erano profondamente diversi dagli altri, soprattutto da quelli
dell’Europa dell’Est, perché totalmente integrati nello Stato e nella
società di cui erano parte. Essi si sentivano prima di tutto italiani,
e mantennero una fiducia totale nelle proprie istituzioni. Per questo
motivo erano più vulnerabili. Infine è necessario ricordare che la
deportazione in Italia fu tardiva. Quando il primo ebreo italiano
giunse ad Auschwitz, dopo la razzia del ghetto di Roma del 16 ottobre
1943, l’ottanta per cento degli ebrei polacchi era già stato ucciso. Lei
parla di deportazione tardiva. Questo è dovuto a casualità o a una
tacita volontà dello Stato italiano di salvaguardare in qualche modo
gli ebrei italiani, almeno fin dove era possibile? È
difficile dare una risposta. Gli storici non sono concordi su questo
punto. Io sono del parere che occorra limitarsi ai fatti. Fin quando ci
fu un governo stabile e Mussolini fu al potere, non è presente una
logica di deportazione, nonostante l’internamento degli ebrei
stranieri. La situazione cambia radicalmente con la Repubblica
di Salò, cioè quando viene stravolto il quadro politico e istituzionale
dell’intero paese. In una sua
intervista al Corriere della Sera di alcuni anni fa, lei spiegò che è
necessario analizzare le basi dell’antisemitismo diffuso in quel
periodo come presupposto alla Shoà. Cosa pensa degli episodi di
antisemitismo che hanno attraversato l’Europa nelle ultime settimane? Il
punto fondamentale dell’antisemitismo di quegli anni era il suo
carattere istituzionale. Si trattava di un antisemitismo di Stato.
Certamente esso si innestò su un humus antiebraico diffuso nella
popolazione e presente in Europa da secoli, ma fu voluto,
burocratizzato e realizzato dalle istituzioni. Io penso che quello
che emerge oggi sia frutto di una stessa base antisemita mai scomparsa,
ma oggi viviamo in un’Europa democratica, in Stati di diritto, basati
sull’uguaglianza di tutti gli uomini e sulla tutela dei valori e dei
diritti fondamentali. Questa è la differenza essenziale. Qual è la sua opinione in merito alla Giornata della Memoria? Non
deve diventare una celebrazione, perché ciò significherebbe perdere il
suo significato autentico. Noi dobbiamo impegnarci affinché si diffonda
la piena consapevolezza di quanto avvenne. Questo è particolarmente
importante nel nostro paese perché l’Italia, a differenza di altri
Stati, come la Germania, non ha ancora sviluppato una vera presa di
coscienza sulla Shoà. Per vent’anni non se ne è parlato perché era
necessario ricostruire materialmente e moralmente una società
distrutta. In seguito ci si è concentrati sulle responsabilità degli
altri, considerando la Shoà un affare tra tedeschi ed ebrei, come se
questi ultimi costituissero un’entità senza nulla in comune con
l’Italia, autoassolvendosi dalle proprie colpe. Da alcuni anni a questa
parte qualcosa è cambiato e ci si muove nella direzione giusta. Se
il Giorno della Memoria diventa una celebrazione, rischia di fermarsi a
livello simbolico e superficiale. Rimane comunque utile perché
rappresenta un momento di riflessione, ma deve costituire solo la punta
di uno studio molto più solido, che venga svolto prima di tutto nelle
scuole. Professore, lei per
questo libro e nel corso di tutti i suoi studi, è venuto a contatto con
storie di sofferenza indicibile e violenza inaudita. Non ha mai provato
l’impulso di scappare da tutto questo, il desiderio di smettere di
ascoltare simili atrocità, di chiudere gli occhi? Assolutamente
no. Non si può fuggire davanti a ciò che avvenne durante la Shoà, pur
provando un enorme disagio e un dolore immenso. La Shoà è una
gabbia, una volta entrati è difficile uscirne. Quello che io continuo a
domandarmi non è come uscirne, ma come si possa decidere di non
entrarci. Rossella Tercatin |
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I lontani (e i vicini) siamo noi
In
un momento storico in cui i numeri ci dicono che stiamo
progressivamente diminuendo, siamo costretti a cercare di capire chi
sono, ma soprattutto dove sono i “lontani” e così facendo ci poniamo
automaticamente nella condizione di “vicini”. In realtà penso che tutti noi siamo, con diverse gradazioni e con alcune eccezioni, un po’ tutti lontani e un po’ tutti vicini. Quel
sentimento e quella volontà che ci porta ad essere attivi, con diverse
intensità di partecipazione e responsabilità, in istituzioni
nazionali o comunitarie, nei Bet knesset, nelle associazioni culturali,
sociali, sportive, nel volontariato, nei movimenti giovanili, nelle
scuole, con gli anziani, nel sostegno ad Israele e ancora in iniziative
non istituzionali o anche singolarmente, per affermare, ricercare,
approfondire la nostra identità ebraica e il desiderio di condividerla
cos’altro è se non la sensazione o la paura di essere lontani e il
desiderio di essere più vicini, ciascuno a modo suo, chi più
religiosamente, chi più culturalmente, chi tutti e due? Si può
diventare lontani, pur essendo stati sempre vicini, semplicemente
perché si va a vivere in una città dove non c’è una Comunità oppure è
così piccola da non poter fornire i servizi essenziali. Si può
diventare lontani perché negli anni che vanno dall’università alla
famiglia ci sono meno occasioni di aggregazione. Allo stesso modo
però si può essere lontani perché non conosciamo cosa ci può dare una
comunità, oppure non ci da quello che noi riteniamo ci dovrebbe
offrire. Si può essere lontani per questioni economiche e non ci
sentiamo di chiedere aiuto. Si può essere lontani nelle statistiche, ma vicini e attivi religiosamente, culturalmente e socialmente. Sono
convinto che nell’arco della loro vita moltissimi
ebrei abbiano sperimentato, chi più chi meno, chi prima chi poi,
sia la condizione della lontananza che quella della vicinanza.
Riccardo Hofmann, consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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rassegna stampa |
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«Deve
restare chiara e netta la distinzione tra ogni possibile posizione
critica verso la linea di condotta di chi di volta in volta governa
Israele e la negazione, esplicita o subdola, delle ragioni storiche
dello Stato di Israele, del suo diritto all'esistenza e alla sicurezza,
del suo carattere democratico». Lo ha detto ieri il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo intervento al Quirinale per il
Giorno della Memoria.
Napolitano ha auspicato ci sia «una
vigilanza più forte contro il virus dell’antisemitismo», ed è stato
seguito da dalle dichiarazioni delle più alte cariche dello Stato, come
riportano i maggiori quotidiani (Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Repubblica).
La
rassegna di oggi è meno variegata del solito: quasi tutte le testate
hanno seguito le celebrazioni per il Giorno della Memoria al Quirinale
o quelle svolte nelle varie città. Qualcuno, poi, ha scovato qualche
frammento di storia della Shoah: sul Corriere Andrea Garibaldi racconta come Gino Bartali portava foto e documenti sotto il sellino per salvare famiglie di ebrei. Sul Riformista
Antonella Benanzato, da Padova, scrive del francescano Placido Cortese,
che usava il confessionale per incontrare gli ebrei da salvare. L’Osservatore Romano
pubblica invece il testo di una lezione tenuta dalla storica Marina
Beer a Roma sulle leggi razziali. Una voce più critica, sul senso del
27 gennaio, si legge sul Wall Street Journal Europe.
Scrive Daniel Schwammenthal: «Stop alle commemorazioni dell’Olocausto;
le cerimonie che deplorano l’inazione dell’Occidente di fronte ai
nazisti sono diventate il surrogato per un gesto contro i fascisti
moderni, prevalentemente gli islamici».
L’altra notizia
del giorno sono le scuse dei lefebvriani della Fraternità di San Pio X,
che arriva in una lettera indirizzata al Vaticano. «Le affermazioni di
monsignor Williamson non riflettono in nessun caso le posizioni della
nostra Fraternità», dice la missiva, come riporta il Sole 24 Ore. Le parole di Williamson («E’ tutto un complotto, sulle camere a gas non ci sono prove») trovano però spazio su Corriere e Repubblica.
Ieri la Cei ha espresso la sua condanna, ma oggi, scrivono in molti, è
atteso l’intervento del Papa. «Ratzinger non può tacere», dice il
vaticanista di Repubblica Marco Politi, e l’ambasciatore israeliano in Vaticano dice a Gian Guido Vecchi, sul Corriere,
che aspetta una «dichiarazione ufficiale». Sempre ieri è arrivato, dal
rabbino capo di Roma, l’invito a visitare la sinagoga della Capitale a
Benedetto XVI (Avvenire).
A
Gaza, intanto, la tregua è stata interrotta. Una bomba è stata fatta
esplodere da militanti palestinesi al passaggio di una jeep israeliana.
Morto un soldato, tre i feriti; immediato il blocco dei valichi e la
risposta: un morto e feriti anche tra i palestinesi. E’ il
‘’benvenuto’’ all’inviato degli Usa George Mitchell, sottolinea Ugo
Tramballi sul Sole. Lorenzo Cremonesi racconta invece sul Corriere,
sempre da Gaza, della censura e delle minacce di Hamas all’interno
della Striscia. «Siamo come sotto Saddam Hussein», dice un reporter.
Anche Repubblica entra a Gaza, con un lungo reportage di Bernardo Valli.
«Penso
che sia possibile vedere uno stato palestinese (...). Un bambino che
vive nei Territori potrà stare meglio? E un bambino israeliano potrà
confidare sulla sua sicurezza? Se riusciamo a rendere la loro vita
migliore e a guardare avanti, senza pensare soltanto alle guerre e alle
tragedie del passato, abbiamo l’opportunità di fare progressi». A
parlare è il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama, nella
sua prima intervista ad Al Arabyia, ripresa oggi dal Foglio.
Beniamino Pagliaro |
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notizieflash |
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Imboscata
contro militari israeliani,
riaperto oggi uno dei valichi Tel Aviv, 28 gen - Israele
- Riaperto questa mattina uno dei valichi di confine con la
Striscia di Gaza per consentire il passaggio di almeno 200 camion di
aiuti umanitari per la popolazione. Ma le autorità israeliane avvertono
“intraprenderemo altre azioni di risposta militare” dopo l'imboscata di
ieri contro una pattuglia militare costata la vita a un soldato e il
ferimento di altri tre. Tutto
questo mentre il nuovo inviato americano per il Medio Oriente, George
Mitchell, in arrivo oggi in Israele dal Cairo, insiste nel sollecitare
"un prolungamento" e "un consolidamento" del fragile cessate il fuoco
proclamato dalle parti il 18 e 19 gennaio scorsi dopo le tre settimane
di guerra dell'operazione 'Piombo Fuso' . Ehud
Olmert ha definito "preliminari" le rappresaglie compiute ieri dalle
forze armate israeliane in seguito all'imboscata (con un bilancio di
due palestinesi uccisi e alcuni altri feriti) - rappresaglie a cui
nella notte si è aggiunto un raid aereo contro i tunnel del
contrabbando al confine fra Egitto e Gaza. Ancora Olmert ha voluto
sottolineare come ogni attacco vada ascritto ad Hamas - il movimento
islamico radicale al potere a Gaza da oltre un anno e mezzo - perché "è
Hamas che controlla" la Striscia.
Ahmadinejad accusa gli Stati Uniti Teheran, 28 gen - In
un comizio tenuto nella città di Kermanshah il presidente iraniano ha
accusato gli americani di avere organizzato il colpo di Stato che nel
1953 rovesciò il governo di Mohammad Mossadeq, che aveva nazionalizzato
l'industria petrolifera, di avere sostenuto dopo la rivoluzione del
1979 "gruppi terroristi" oppositori del regime religioso, e di avere
"incoraggiato Saddam Hussein ad attaccare l'Iran". Per poi
avvertire : “Stiamo studiando ogni mossa della nuova amministrazione
americana e se vi saranno cambiamenti veri ed essenziali, li
accoglieremo favorevolmente". "Ma - ha detto - se qualcuno, anche
nel nuovo governo, vorrà usare lo stesso linguaggio di Bush, la nostra
risposta sarà la stessa che abbiamo dato all'ex presidente e ai suoi
mercenari". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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