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    2 febbraio 2009 - 8 Shevat 5769  

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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Leggeremo questa settimana la storia dell'uscita dall'Egitto, che inizia con queste parole: "quando il Faraone mandò via il popolo, il Signore non li condusse nella strada della terra dei Filistei, malgrado fosse vicina, perché il Signore disse: che il popolo non ci ripensi, vedendo la guerra, e torni in Egitto". Uscendo dall'Egitto, dal delta del Nilo, la strada più corta e comoda per arrivare in terra d'Israele era quella costiera, ma là abitavano popolazioni forti e agguerrite, che non avrebbero consentito un passaggio pacifico; il popolo dei figli d'Israele, schiavi fino al giorno prima, non abituato a combattere, si sarebbe spaventato e sarebbe tornato indietro. I Filistei si erano insediati sulla costa da poco, provenendo dalle isole; da loro, secondo i greci e i romani, quella terra prese il nome di Palestina; erano forti (lo stesso nome di Gaza ha la radice di 'oz, forza) armati, ostili agli Israeliti, e insediati sulla fascia costiera. La nostra è una storia antica con strani ricorsi anche a più di 32 secoli di distanza. Riflettere sulle analogie ma anche sulle differenze (siamo ancora un popolo di ex schiavi?) è stimolante.
La sinagoga più antica di Caracas devastata in un'incursione di gruppi armati durata per ore, senza alcun intervento da parte della polizia. Israele che accusa il Presidente Chavez di essere all'origine dell'antisemitismo dilagante. Gli ebrei venezuelani, e tra loro i figli e nipoti di quegli ebrei austriaci che avevano trovato rifugio in Venezuela nel 1938, che emigrano sempre più man mano che crescono i segnali di un antisemitismo di Stato, organizzato dal potere: individuazione degli ebrei, pubblicazione dei Protocolli, attacchi di Chavez ai sionisti e agli ebrei. E' questo che distingue l'antisemitismo da altri episodi e stati d'animo gravi e inaccettabili, ma non altrettanto pericolosi. Le orrende manifestazioni anti-israeliane e antisemite in Europa non hanno avuto l'appoggio dei governi. Se un poliziotto suona alla porta di qualcuno all'alba, non è perché è un ebreo, ma perché è sospettato di un crimine. Il razzismo non è di Stato, anche se può avere complicità e condiscendenze. Ma i ragazzi che hanno dato fuoco a Nettuno ad un indiano per puro divertimento (ma qual'è la differenza col razzismo, in questo caso?) sono stati arrestati. L'antisemitismo non è di Stato, in nessun paese della nostra Europa. La democrazia, per quanto ne critichiamo le insufficienze, è un ostacolo e un rimedio  all'antisemitismo, al razzismo, alla perdita dei diritti, all'incitamento all'odio. L'unico rimedio reale. Per questo non dobbiamo confondere e fare di tutt'erba un fascio, dalle affermazioni antisemite che vediamo intorno a noi alle violenze dell'antisemitismo di Stato del governo dittatoriale e populista di Chavez. Altrimenti, non saremo in grado di vedere i veri pericoli, e di aiutare quegli ebrei che si trovano esposti alla violenza senza nessuna protezione. Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  sogni bruciati"Sogni bruciati". Un filmato per le scuole

Negli ultimi anni, soprattutto dopo l’istituzione del Giorno della Memoria, le scuole hanno lavorato molto sul tema delle leggi razziste del 1938 e della Shoah, naturalmente con approcci,  metodi e linguaggi  diversi a seconda delle situazioni, del grado e del tipo di scuola. Talvolta è  un approfondimento sporadico, proprio in occasione del Giorno della Memoria; ma in molti casi è un percorso  didattico di lungo periodo legato al programma di storia o di altri insegnamenti. Gli insegnanti di tutta Italia spesso si rivolgono alle istituzioni locali e nazionali, ebraiche e non, che lavorano su questi temi: le comunità, il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, il Centro di Cultura della Comunità di Roma, l’Associazione Nazionale degli Ex Deportati, il coordinamento del Giorno della Memoria dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, attivo tutto l’anno, e altre ancora. Le richieste riguardano la presenza di testimoni che possano raccontare in prima persona le proprie dolorose vicende, la segnalazione di storici e esperti per lezioni di approfondimento, ma anche suggerimenti per letture, film e sussidi didattici.
In questo contesto nasce  “Sogni bruciati“, un filmato dedicato ai ragazzi delle scuole medie e non solo, a cura del Dipartimento Informazione e Relazioni Esterne dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
 “L’idea” spiega una delle autrici, Sira Fatucci, coordinatrice del Giorno della Memoria per l’Unione delle Comunità “nasce dalla constatazione dell’assenza di uno strumento didattico  per gli insegnanti che vogliano affrontare il tema delle leggi razziste e della Shoah”.
Il soggetto è stato scritto a quattro mani con la giornalista  Lia Tagliacozzo che aggiunge  “il lavoro che abbiamo fatto cammina su due binari, da una parte c’è l’immedesimazione sul piano emotivo, dall’altra abbiamo voluto dare spazio alla ricostruzione storica”. Un doppio binario   che va incontro alle necessità  pedagogiche e didattiche degli insegnanti.
Prodotto da Vanni Gandolfo,  “Sogni bruciati” è stato realizzato con il contributo del Fondo Italiano di Assistenza Vittime del nazismo (Legge 249/2000) amministrato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. La realizzazione del filmato è stata affidata alla regia di Rebecca Samonà: “ ‘Sogni bruciati’ – spiega la regista  -  è stato  girato tutto all’interno di una scuola; abbiamo cercato di utilizzare un’estetica sporca, mossa. Con due telecamere abbiamo cercato di  cogliere da una parte le reazioni dei ragazzi, dall’altra la realtà della scuola, con i suoni, i rumori, i colori dell’ambiente scolastico”.
Protagonisti del filmato sono gli alunni e le professoresse Paola Turi e Alice Vais delle classi I D e III E della scuola media statale “Fabrizio De Andrè“ di Roma, nell’anno scolastico 2007-2008, che si sono prestati a questa esperienza didattica e cinematografica con grande entusiasmo e partecipazione. “Lavorare con i ragazzi – raccontano le autrici – è stato molto interessante perché rispondono con una richezza di emozioni e di competenze che  ha  sorpreso noi prima di tutto”.
 “Quello che abbiamo proposto “ dice Lia Tagliacozzo “ è una suggestione forte: abbiamo chiesto ai ragazzi di prima media di scrivere i loro sogni su fogli che poi sono stati bruciati”.  “Sono andati in fumo “spiega nel filmato  la professoressa Turi  ai ragazzi che la guardano sconcertati  mentre dà fuoco ai loro fogli “ proprio come i sogni dei vostri coetanei di 70 anni fa”. Il rogo dei sogni è stata la scintilla da cui sono scaturite  riflessioni, curiosità  e domande  che  gli alunni di I media hanno annotato in tanti quadernini colorati. Tanti spunti per  studiare  e approfondire  la storia di quel periodo insieme alle insegnanti. Ma  alcune risposte sono arrivate  anche dai compagni della terza media, guidati naturalmente  da una professoressa,  Alice Vais.
“Le insegnanti” spiega Sira  Fatucci  “ sono state molto disponibili e aperte ad affrontare questi argomenti: per loro non era la prima volta, sono temi che trattano ogni anno con le loro classi”.
“Il filmato è stato realizzato in cinque  o sei giorni di riprese “ racconta Rebecca Samonà “ e man mano coglievamo le reazioni, i turbamenti dei ragazzi che nascevano dai fatti di cronaca”. Episodi di razzismo, il bullismo nelle scuole, la violenza, l’intolleranza, il pregiudizio nei confronti dei diversi,  sono temi  di riflessione introdotti nel filmato proprio dai ragazzi. L’ultima scena è stata girata a Villa Pamphili, nel parco vicino alla scuola. Tutti seduti in circolo sul prato ad ascoltare  Pupa Garribba, una “testimone”  che, mostrando la sua pagella di allora con la dicitura “di razza ebraica”, ha raccontato quando fu cacciata dalla scuola nel 1938.
Una testimonianza che i ragazzi hanno potuto cogliere nei suoi risvolti umani e personali e che  hanno saputo  inserire in un contesto storico  grazie  a  un percorso didattico articolato partito  da uno stimolo emotivo  e passato attraverso una  elaborazione storica e culturale, fino  all’aggancio con la realtà di oggi.
Un’ esperienza che non ha dato loro risposte chiuse, certe e definitive, ma ha lasciato aperte curiosità, domande e questioni  per ulteriori riflessioni ed approfondimenti.
Il fatto che  i protagonisti del filmato siano ragazzi di una scuola media, rende il video più vicino ai loro coetanei che lo vedranno in classe.  E proprio per questo “Sogni bruciati”, insieme a una necessaria introduzione storica da  parte degli insegnanti,  può essere un valido sussidio, un punto di partenza per affrontare nelle scuole il tema della alienazione dei diritti, della  persecuzione, delle leggi razziali del 1938 e della Shoah. E, come hanno fatto  gli stessi protagonisti, arrivare fino alle problematiche dell’attualità, alle discriminazioni, ai pregiudizi, all’esercizio dei diritti nella società di oggi.

Piera Di Segni

Il filmato “Sogni bruciati” è a disposizione delle scuole che ne faranno richiesta all’indirizzo e-mail: “giornodellamemoria@ucei.it

“Sogni bruciati” verrà presentato il 2 febbraio 2009 al  Complesso Monumentale del Vittoriano alle ore  18 nell’ambito dell’incontro “I ragazzi e la memoria”. Seguirà una tavola rotonda,
coordinata da Victor Magiar, sul tema “A cosa serve studiare la Shoah”, con la partecipazione di Silvia Costa, Gavriel Levi, David Meghnagi e Clotilde Pontecorvo.

 
 
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  Donatella Di CesareL'antisemitismo non è un qualsiasi razzismo,
ma la radice del rifiuto dell'altro

La parola “antisemitismo” – come si può notare sfogliando i giornali di questi giorni – viene spesso usata come un sinonimo di razzismo. Ma la questione – non ci si stancherà di ripeterlo – è ben più complessa. Emmanuel Lévinas ha scritto che l’antisemitismo non è riducibile né a una xenofobia, né a un qualsiasi razzismo. Perché è piuttosto “la ripugnanza suscitata dalla prossimità ignota dell’altro, dal mistero della sua interiorità”.
Il nazionalsocialismo ha finito per strappare all’antisemitismo questo suo “segreto apocalittico”. E Lévinas aggiunge che “ancora oggi l’antisemitismo di destra e di sinistra, anche se si nasconde sotto altri nomi, è improntato alle categorie dell’hitlerismo”.


Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
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Dalla rassegna di oggi traiamo tre temi caldi e un motivo di riflessione. Il primo tema è, come di consueto in questi mesi, la crisi di Gaza su cui si può leggere le cronache di Alberto Stabile su Repubblica e di Aldo Baquis sulla Stampa. Ieri sono piovuti ancora razzi e colpi di mortaio sul territorio israeliano (sembra lanciati non da Hamas ma dalla Jihad islamica, che si riferisce a Fatah – tanto per evitare troppe illusioni sull’isolamento di Hamas) e vi sono anche state sparatorie. Tre soldati di Tzahal sono stati feriti leggermente. Alla consueta riunione domenicale del Consiglio dei ministri, il presidente Olmert ha minacciato una risposta “sproporzionata” (bizzarra espressione che sembra ironica rispetto alle critiche sull’operazione di Gaza), ma di fatto la reazione israeliana è stata poco incisiva: un raid aereo con tre incursioni sul Sud della Striscia, che a quanto pare non ha fatto danni particolari. A quanto si capisce, il governo ai suoi ultimi momenti prima delle elezioni è paralizzato dal contrasto fra il ministro della Difesa e leader laburista Barak, che avrebbe deciso di collocarsi un po’ più a sinistra, sostenendo che in qualche modo bisogna tener conto di Hamas (forse sulla scia di Obama, così Marina Ottaway in un’intervista a Repubblica) e il ministro degli esteri e leader di Kadima Tzipi Livni, che invece sostiene la linea dura, nel tentativo di inseguire il probabile vincitore delle elezioni Nethanyahu (sulle elezioni, Eric Salerno sul Messaggero e Davide Frattini sul Corriere). Nel frattempo l’emittente Al Arabya sostiene che Hamas avrebbe accettato la tregua egiziana di un anno, a patto che si aprano subito tutti i passaggi (Micalessin sul Giornale). In realtà questa è la vecchia posizione di Hamas, e non si vede nessuna reale novità.

Il secondo tema è anch’esso vecchio: le reazioni al negazionismo del vescovo Williamson. Nella rassegna trova posto la reazione del nuovo rabbino capo di Francia Gilles Bernheim che ha appena preso possesso dell’incarico (Le Figaro, Le Monde), echeggiate da altre reazioni francesi (Secolo XIX) e da quelle di un vescovo tedesco (La Repubblica, Il Tempo). Ma per il momento non ci sono novità. Bisognerà vedere nel futuro se sarà la “fraternità” lefebvriana a “convertire” la Chiesa, come prometteva nei giorni scorsi il rettore del loro seminario di Econe, fermissimo nel rifiuto di parlare della questione antisemita (naturalmente neanche per condannare Williamson) o se sarà Benedetto XVI a saper bloccare questa deriva. Non del tutto indirettamente legata al tema è la mostra che si apre a Berlino su Papa Pacelli, segnalata dal Giornale.

Il terzo tema è dolorosamente attuale. A Caracas una sinagoga è stata devastata da ignoti, col sostanziale avvallo del governo Chavez (Roberto Romagnoli sul Messaggero). Si può leggere questa azione come una sorta di piccola notte dei Cristalli (così Maurizio Molinari sulla Stampa): un avvertimento alla comunità ebraica dopo la rottura delle relazioni diplomatiche  fra Venezuela e Israele in seguito agli eventi di Gaza. Gli ebrei sono minacciati e maltrattati dal governo e dalle organizzazioni che lo appoggiano e cercano di andarsene sentendosi insicuri. E’ vero che Chavez ha ufficialmente condannato la profanazione della sinagoga, “chiunque l’abbia fatto”; ma è anche vero che la polizia aveva rifiutato una richiesta di protezione pochi giorni fa. Sul tema è intervenuta l’Ucei con una dichiarazione del presidente Renzo Gattegna, che chiede il rispetto dei diritti umani degli ebrei venezuelani. Purtroppo è in incubazione una situazione analoga in Turchia, un paese che è stato amico di Israele fino all’arrivo del governo islamista di Erdogan. La situazione è molto difficile oggi (Nachmani Amikam su Haaretz; Rubin Barry sul Jerusalem Post)

Il tema di riflessione riguarda la stampa israeliana, ampiamente rappresentata nella rassegna di oggi (14 articoli su 52, più due altri pezzi degli scrittori israeliani Amos Oz e di Etgar Keret tradotti sul Corriere). Noi siamo fieri della democrazia israeliana. Per capire come funziona bisogna leggere questi articoli, per lo più ferocemente critici col governo e con l’esercito, in particolare nel caso di Haaretz. Vi troviamo per esempio un editoriale non firmato che condanna in maniera violentissima la costruzione in corso di un quartiere a est di Gerusalemme, che chiuderebbe il legame fra la capitale e Ramallah e la collegherebbe invece col blocco di Maaleh Adumim. Sempre su Haaretz, Akiva Eldar parla della guerra del Libano e di quella di Gaza come crimini senza coscienza, Zeev Segal parla della campagna elettorale come “vuota, priva di ogni dibattito reale”, Ytzhak Laor parla della “vergogna” della guerra e del fatto che il pubblico israeliano sbaglia a non distaccarsi dal governo e da Tzahal. Sul Corriere Amos Oz si esprime contro la rappresaglia al lancio dei missili e Keret dice di piangere guardando la tv.
Il Jerusalem Post pubblica l’articolo di un giornalista palestinese Daoud Kuttab che attribuisce dei “premi” a “vincitori e perdenti” per l’ultima guerra. Il primo vincitore va all’emiro del Qatar, editore di Al Jazeera, il solo sostenitore arabo di Hezbollah con la Siria e l’Iran; il secondo al capo dei servizi segreti egiziani Soleiman. Il principale perdente sarebbe Olmert “il disgraziato primo ministro israeliano”, cui vien dato un “premio chtuzpa” per aver imbarazzato Condy Rice alla votazione Onu per il cessate il fuoco. A Tzahal Kuttab assegna il “premio pollo” per la guerra “unilaterale” e “codarda”. Vincitori sono i medici, l’UNNRWA, l’agenzia locale dell’Onu infiltrata dai terroristi. Di Hamas non si fa parola. Il Jerusalem Post non spreca un commento per distanziarsi da questo commento, che pure è lontanissimo dalla sua linea informativa. Se un articolo del genere fosse comparso su un giornale italiano l’avrei considerato inaccettabile. E continuo a considerarlo tale anche sul più autorevole (e centrista) giornale israeliano.
Nessuno vuole la censura, naturalmente e non spetta a noi ebrei italiani insegnare agli israeliani come sviluppare la loro democrazia così vivace e ricca. Ma una riflessione si impone. Che in Israele si discuta va benissimo. Ma queste spesso non sono discussioni, sono insulti puri e semplici che si ripetono quotidianamente. Che succede dunque alla stampa israeliana? Perché misura il proprio valore sull’opposizione al governo e all’esercito? E’ una forma di quell’odio di sé che rappresenta una triste eredità della diaspora tedesca nei decenni che precedettero la Shoà? Perché la stampa non prova non dico ad allinearsi ai sentimenti unanimi del suo pubblico (i sondaggi mostrano che il 92% degli ebrei israeliani sono stati a favore della guerra di Gaza e il 60% circa volevano che fosse portata avanti fino a raggiungere gli obiettivi), ma almeno a equilibrare gli insulti con difese? Per chi legga per esempio gli editoriali di Haaretz la sproporzione del tono e dei numeri è evidente. E’ chiaro che Israele soffre di una scissione fra un ceto intellettuale molto ristretto, che pensa di dover insegnare la rettitudine e la verità, costi quel che costi, a una massa cieca e un popolo che ragiona in maniera molto diversa, pensando innanzitutto alla sopravvivenza di Israele. Non è un fenomeno nuovo, ma si sta estremizzando: più isolati gli editorialisti e gli intellettuali israeliani antisraeliani, più si mostrano aggressivi. Le elezioni del 10 febbraio diranno qualcosa sulle dimensioni di questa scissione. Ma è chiaro che la divaricazione continuerà. E’ merito della rassegna stampa farci vedere anche questo lato di Israele.

Ugo Volli

 
 
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Gaza: Hamas favorevole a tregua di un anno, non cessano episodi di violenza
Gaza 2 Feb -
Ancora incidenti nella striscia di Gaza. La scorsa notte la aviazione israeliana ha colpito alcuni tunnel di contrabbando nella zona compresa fra Gaza ed Egitto, in reazione a precedenti lanci di razzi e di colpi di mortaio palestinesi. Durante la mattina a Hebron, in Cisgiordania, un'unità militare israeliana è stata attaccata da palestinesi armati, uno dei quali - secondo la versione dell'esercito - è rimasto ucciso nel successivo scontro a fuoco. Poco dopo da Gaza tre colpi di mortaio sono stati sparati verso vicini campi agricoli israeliani nel Neghev. La reazione dell' aviazione israeliana è stata immediata. In prossimità di Rafah un razzo israeliano ha centrato un'automobile su cui viaggiavano miliziani dei Comitati di resistenza popolare. Fonti palestinesi affermano che in questo attacco si sono avuti un morto e quattro feriti. Hamas invia oggi al Cairo una delegazione incaricata di dare una risposta all'iniziativa egiziana per una tregua di lunga durata con Israele. Secondo Fawzi Barhum, un portavoce di Hamas a Gaza, Hamas è d'accordo in principio per una tregua di un anno, o anche di un anno e mezzo, a condizione che siano riaperti tutti i punti di passaggio che collegano Gaza al mondo esterno. Israele collega l'apertura dei valichi alla liberazione del caporale israeliano Ghilad Shalit (prigioniero dal 2006), mentre per Hamas lo scambio dei prigionieri è una questione che deve restare separata.
 
 
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