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    5 febbraio 2009 - 11 Shevat 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Dopo due settimane di difese d'ufficio e progressive ammissioni imbarazzate, finalmente ieri un comunicato della Segreteria di Stato ha preso una chiara posizione sulla terribile vicenda del vescovo negazionista. Nello stesso comunicato, al punto 2, si afferma la necessità, per una completa riammissione nella Chiesa della fraternità lefebvriana, dell'accettazione completa delle decisioni del Concilio e del magistero degli ultimi Papi. E' essenziale fermare l'attenzione e la vigilanza su questo punto, perché il clamore suscitato dal negazionismo oscura il nodo essenziale del problema, che è quello dell'esistenza di un vasto ambiente cattolico tradizionalista, spesso tollerato se non coccolato, nel quale l'antigiudaismo alligna e prospera. Su questo punto si gioca sugli equivoci, tutti si dichiarano "non antisemiti", come lo era già il papato di Pio XI, in quanto contestava il razzismo; ma l'ostilità teologica antiebraica -quella che viene definita "antigiudaismo" - non ha bisogno del razzismo per esistere e diffondersi. La svolta decisiva contro questa tradizione è stata impressa dalla dichiarazione "nostra aetate" del Concilio, quella che in qualche modo scagionava gli ebrei di oggi dalla colpa del deicidio e "deplorava" (sic) l'ostilità antiebraica. A questa dichiarazione sono seguiti i tanti documenti e gesti positivi che conosciamo, sempre rifiutati dai tradizionalisti. Al punto attuale della discussione, i punti aperti sono: 1. come è stato fatto per il negazionismo deve essere chiaro che - se si vuole mantenere un dialogo rispettoso- non c'è posto non solo per l'antisemitismo ma anche per l'antigiudaismo e che i documenti specifici su questo tema debbano essere accettati esplicitamente, senza generalizzazioni; 2. ci deve essere una coerenza tra documenti e comportamento, evitando incidenti ed equivoci continui che creano sfiducia; 3 infine, last but not least, anche se tutti i documenti sono un enorme passo avanti, le difficoltà sostanziali rimangono; vorrei ricordare come proprio all'indomani del nuovo "sabato nero" dell'annuncio della revoca della scomunica, nell'angelus domenicale, il Papa, parlando della conversione di Paolo, ha detto che in realtà di vera conversione non si trattava perché Paolo era un ebreo credente e "non dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a C. "Togliamo il negazionismo, il deicidio, se ci riusciamo anche l'antigiudaismo, ma il problema di fondo è sempre lo stesso.
Nell’articolo (datato 19/1/2009, 2427 parole) “Qualche cosa da dire su Gaza” per “Italianieuropei”, febbraio 2009, Stefano Levi Della Torre usa la parola “massacro” dieci volte, la parola “terrorismo” tre volte, la parola “pace” tre volte. La parola “Egitto” non appare mai, e la parola “manipolazione” nemmeno. Queste statistiche lasciano intuire il tono e il contenuto del testo: un’analisi ferocemente e unilateralmente critica del comportamento di Israele nell’ultimo mese di fronte a Hamas e alla popolazione di Gaza. Occorrerebbe più spazio per dare una risposta ponderata a Stefano, che pure non manca di notare aspetti positivi come la decisione della Corte Suprema di Israele di respingere la proposta di escludere dalle elezioni del 10 febbraio due partiti arabi accusati di attività sovversive. Riguardo all’insistente accusa di “massacro”, a Gaza non vi è stata né un’esercitazione a fuoco né una spedizione punitiva. Vi è stata invece un’operazione militare in risposta a un’azione di guerra dichiarata con la cessazione unilaterale della tregua da parte di Hamas. Questa interpretazione non è solo di Israele ma anche dell’Egitto che, esattamente come Israele, ha un confine con Gaza che potrebbe essere aperto a piacimento. Poco importa se i 20 mila uomini di Hamas armati di tutto punto siano chiamati esercito, milizia, o banda. È gente che spara, depone mine, lancia colpi di mortaio, razzi e missili per uccidere senza distinzione militari e civili israeliani, seguendo i dettami dell’Articolo 7 dello Statuto. Secondo le fonti non verificate dell’Organizzazione Palestinese per i Diritti Umani, la durissima operazione israeliana avrebbe causato 1.285 morti. Di questi, 1062 sarebbero “civili” e dunque 223 dovevano essere “armati”. Dei 1062 “civili”, 281 sarebbero “bambini”, categoria che fino a prova contraria include tutte le persone al di sotto dei 18 anni in parte atte a svolgere attività bellica, e dunque 781 dovevano essere “adulti”. Dei 781 “adulti”, 111 erano donne, e dunque 670 erano uomini. Una sproporzione fra le vittime adulte dei due sessi nel rapporto di 6 a 1 indica chiaramente che Israele non ha voluto colpire indiscriminatamente la popolazione civile, che è equamente divisa fra i due sessi, ma ha cercato di individuare uomini attivamente coinvolti nel conflitto. L’ammontare reale di civili palestinesi uccisi è grave e ha suscitato emozione, dolore e proteste nella società israeliana, ma va letto in un contesto di guerra combattuta. Nell’operazione israeliana a Jenin, dopo il massacro di 30 Israeliani riuniti in preghiera la notte della Pasqua ebraica del 2002 in un albergo di Netanya, si parlò prima di 5.000 morti palestinesi, poi di 500, e infine ne furono accertati 50 – insieme a 23 soldati israeliani morti. Manipolare i dati e costruirvi sopra un’oscura mitologia può essere una legittima operazione di guerra da parte di chi combatte e dei loro alleati. È farsi manipolare che è poco dignitoso. Sergio
Della Pergola,

demografo Università Ebraica di Gerusalemme
Sergio Della Pergola  
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  LarasIl Papa e le dichiarazioni antisemite:
"Molte perplessità restano"


Le dichiarazioni fatte, alcuni giorni orsono, dal Papa a proposito di Shoah e negazionismo, sono giunte benvenute e accolte con sollievo.   Dopo l’intervento, però, del Cancelliere tedesco  Angela Merkel – emergono oggi due circostanze finora ignorate:
1) Che il Papa, allorché revocava la scomunica a Mons. Williamson, non era al corrente delle idee, professate, in tema di Shoah, dallo stesso.
2) Che il Vescovo, pertanto, per essere riammesso a pieno titolo nelle funzioni episcopali, deve ritrattare, inequivocabilmente e pubblicamente, le idee da lui nutrite e professate.
A parte il fatto che non si capisce con quale fondamento logico ed etico si possa chiedere (e ritenersi soddisfatti) a una persona di negare ciò che da sempre ha coltivato e nutrito dentro di sé, la situazione, così come si sta oggi rivelando, suscita qualche perplessità e qualche interrogativo.
Mi chiedo, in particolare, come un argomento tanto delicato, con implicazioni di ampio e grave respiro, possa essere affrontato non in maniera inequivoca e chiara fin dall’inizio. C’è da augurarsi che una volta rimosso questo ulteriore inciampo lungo il sentiero del dialogo, le relazioni ebraico-cattoliche possano presto nuovamente decollare all’insegna di una ritrovata e reciproca fiducia.

Rav Giuseppe Laras, Presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana


Sara KaminskyLa scrittura ebraica, dalla voce delle donne
al nuovo mondo della letteratura visiva


Si conclude stamane al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità ebraiche Italiane il convegno La scrittura ebraica. Israele, letteratura e società. I lavori, che hanno visto la presenza di molti esperti e appassionati di letteratura ebraica contemporanea e di molte voci della cultura ebraica italiana e internazionale, da Amos Luzzatto a Victor Magiar, da Lizzie Doron ad Alessandro Piperno, da Emanuela Trevisan Semi a Marco Di Giulio, hanno costituito un'occasione significativa di fare il punto su una letteratura che riserva al lettore continue scoperte.
In una appassionante relazione, Sarah Kaminski (nell'immagine) docente all'Università di Torino e profonda conoscitrice della letteratura israeliana contemporanea, ha offerto un saggio della creatività letteraria al femminile. Il suo intervento (riportiamo qui di seguito alcuni stralci per cortese concessione dell'autrice) si conclude significativamente con una finestra sull'opera di Rutu Modan e sul recentissimo filone della letteratura visiva e del fumetto israeliano. Sempre oggi la redazione del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it accoglie un nuovo collaboratore, Andrea Grilli, e raccoglie con lui la sfida di accompagnare il lettore in un  mondo del fumetto che è profondamente intrecciato con la cultura ebraica contemporanea.

(…) Nel fiorire della letteratura israeliana in Italia le scrittrici occupano un posto importante, ma un’osservazione statistica veloce rivela che solo un terzo dei titoli è “al femminile”.
(...) In Israele, soprattutto a Tel Aviv, alla fine degli anni Ottanta, l’argomento della narrativa femminile divenne un topos importante per i dibattiti giornalistici e l’accademia. Lo dimostrano due letture assai diverse: un articolo pubblicato nel giugno 1989 sul quotidiano Yediot Aharonot, e un’intervista apparsa su Ha’aretz nel marzo del 2003. Nel primo un gruppo di scrittrici racconta con orgoglio l’esperienza della conquista dell’io donna e scrittrice, mentre nell’altro, ventidue autrici, fra cui una araba, alcune famose e altre alle prime armi, presentano un’antologia di racconti erotici intitolata Lì ci sono le rose. Il titolo fa riferimento a un noto verso scritto da Yona Wallach (1944-1985), stravagante sacerdotessa della lirica, ribelle e molto femminile. I racconti trattano i tabù delle generazioni precedenti, riportano l’urlo sommesso di Dvora Baron, della giovane Lea Goldberg e si plasmano sul modello della letteratura forte ed espressionista di Zeruya Shalev, Una Relazione intima, 1997.
(…)La più originale della nuova generazione, emersa negli anni ‘80 è senza dubbio Orly Castel Bloom, che con i racconti Non lontano dal Centro del 1987 e Dolly City del 1992  ha sconvolto i sereni ambienti letterari confortati da Amos Oz, A B. Yehosua, Natan Shacham e S. Yizhar. La sua principale caratteristica è il postmodernismo destrutturante e un ebraico originale. Il dibattito sulla letteratura della Bloom è sempre in auge; i protagonisti, spesso donne, portano il racconto fino all’assurdo, creando una simbiosi con un mondo esterno altrettanto imperfetto e addirittura comico.
(...) Quattro nomi sono indispensabili per la presentazione “delle narratrici invisibili”: Nechama Pukhatchevsky (1869-1934), Dvorah Baron (1887-1956), Elisheva Bichovsky (1888 – 1949) e Lea Goldberg (1911-1970).
(...) Dvora Baron, come Lea Goldberg mi ricordano Miriam che aggiunge al canto solenne e lungo di Mosè, un’espressione più essenziale corredata di musica e ballo. La Prof. Tova Cohen dell’Università di Bar Ilan propone una lettura più ampia di quelle tradiionali. Mosé glorifica Dio, Miriam è più diretta, risponde alle donne, ma nella sua invocazione usa il plurale maschile; si potrebbe comprendere che (diversamente dalla visione dei saggi) il suo canto, più semplice e immediato, è rivolto a tutto il popolo.

(…) In questo senso è importante continuare a scoprire nuovi nomi e nuove tecniche del raccontare, come quella espressa da Rutu Modan, una disegnatrice israeliana che ha suscitato in Italia un vivo interesse fin dal suo esordio con il romanzo a fumetti Unknown/Sconosciuto.

Sarah Kaminiski
 
 
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  Tizio della SeraIl viaggiatore

Non è un alieno, un mutante, un artista dark. Un feticista. Non è un nostalgico. Non un barbone che urla sui marciapiedi. Dopo un lungo viaggio dagli abissi è arrivato in superficie, e ora parla. Chi è Richard Williamson?                                    Il Tizio della Sera



fumetto AUn rabbino, un gatto filosofo indiscreto
e le antitesi di un maestro del fumetto


Può un gatto celebrare il Bar Mitzvah? È questo il filo conduttore, il dilemma, il gioco narrativo che accompagna il primo episodio della serie Il gatto del Rabbino del francese Joann Sfar. Il rabbino di una città del Nord Africa ha due animali, un gatto sempre taciturno e un pappagallo che parla sempre. Il gatto vorrebbe passare il tempo con la figlia del Rabbino, così un giorno finisce per mangiarsi il pappagallo. Niente di strano che un gatto si mangi un uccello, ma ecco fatto il gatto inizia a parlare. Ne segue un confronto dialettico tra due rabbini e lo stesso animale che cerca in tutti i modi di convincerli che può celebrare il Bar Mitzvah. Ma l’uso della parola non è facile, il gatto mente subito, oppure è troppo veemente e aggressivo quando vuole dire la sua senza prestare la minima attenzione alla sensibilità degli interlocutori.
Il Rabbino di fronte alle bugie del gatto così risponde: la parola serve a descrivere il mondo, non a contraffarlo. E il timore che conduca sua figlia su una brutta strada (nel fumetto vediamo il gatto che suggerisce alla ragazza di leggere Il rosso e il nero di Stendhal) lo spingono a tenere sempre con sé il gatto e infine a impartirgli una educazione ebraica per migliorare il suo carattere poter frequentare la padroncina.

Rabbino: L’occidentale vuole risolvere il mondo. Fare l’uno con il multiplo. È un’illusione.
Il gatto: Sì, ma in fin dei conti, maestro, non è forse vero che anche l'ebraismo cerca di fare l’uno con il multiplo?
Rabbino: Sì. Ma non nello stesso modo.  Il Logos consiste di tesi, antitesi e sintesi. Mentre il giudaismo è fatto di tesi, antitesi, antitesi, antitesi...

Questo è uno dei tanti passaggi, confronti tra il gatto e il Rabbino, momenti che ci permettono di pensare altre antitesi, antitesi...

fumettoBIl gatto però è anche il nostro narratore, si confronta con tutti anche con il lettore. Con i suoi occhi cinici e liberi dalle infrastrutture e dalle idee precostituite osserva, giudica, analizza il comportamento dei vari personaggi della storia. Anche gli allievi del Rabbino subiscono le sue attenzioni, uno in particolare che sembra volere la mano della padroncina. È un giovane dalla parola tagliente, sempre preso a difendere i costumi e richiamare le donne come a sottolineare che Se temi Dio, se rispetti lo Shabbat e fai bene le tue preghiere, non ti può succedere niente. È logico. Ma il giovane così rigoroso ha la sua seconda vita condotta del bordello arabo, frequentato in incognita. E al gatto piace quell’anima ambigua. D’altra parte il gatto si diverte a dialogare con i suoi interlocutori così come a tacere e osservare il mondo che scorre intorno a lui, prediligendo i più imperfetti oppure coloro che lo coccolano.
Il gatto del Rabbino - il Bar-Mitzvah è una delle tantissime serie a fumetti che Joann Sfar disegna. Autore francese tra i più prolifici e innovativi, pesca a piene mani dalle tradizioni familiari ricevute dai propri genitori, madre askenazita e padre sefardita. In una intervista al sito francesewww.parutions.com ha sottolineato la profonda educazione religiosa che ha ricevuto fin da bambino. Anzi, il Gatto del Rabbino è chiaramente ispirato all’educazione del padre.
Il tratto di Sfar è vicino al fumetto favolistico, con i personaggi quasi infantili nella loro rappresentazione, il disegno ci riflette immediatamente il loro animo, i loro sentimenti. Nello stesso tempo l’autore francese è interprete di una nuova strada della scuola del fumettofranco-belga, ormai sempre meno aderente alla linea chiara di Hergé (Tin Tin). La linea di Sfar è spezzata, anzi più che una linea, sono decine di linee piccole, nervose, sferruzzate sulla tavola senza una apparente logica. Sembrano tante antitesi in un processo logico tra parola e disegno.
In Italia le opere di Sfar sono pubblicate dalla Kappa Edizioni, specializzata nel fumetto giapponese, ma che da alcuni anni ha dato spazio a diversi fumetti europei e non, come lo Spirit di Will Eisner.

Andrea Grilli
 
 
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Mancano cinque giorni al voto in Israele. Mentre al Cairo continuano le trattative, stamane le agenzie di stampa danno per scontata la tregua di 18 mesi (ne scrive sul Corriere Francesco Battistini), anche l’attenzione della stampa italiana e internazionale si concentra sulle elezioni.

«Il leader dell’estrema destra verso il centro della scena», scrive Tobias Buck sul Financial Times, spiegando la crescita di Yisrael Beiteinu, il partito di Avigdor Lieberman, che secondo gli ultimi sondaggi potrebbe arrivare a 16-17 seggi. Ecco la situazione: il Likud di Benjamin Netanyahu viene dato attorno ai 27-8 seggi, 23 per Kadima e Tzipi Livni. Di Lieberman e della situazione si occupano ampiamente il Foglio, il Giornale.

«Netanyahu sarà il prossimo primo ministro di Israele» scrive Gideon Levy su Haaretz, pur senza esserne entusiasta, ma concludendo che «non c’è alternativa». Sullo stesso giornale Orit Shochat spiega invece «perché» votare per la Livni. «Le ultime rilevazioni - scrive Stefania Podda su Liberazione - registrano un recupero di Kadima sul Likud. Il punto è che, se anche Kadima riuscisse a superare il Likud non è detto che riuscirebbe a formare un governo: troppo forte l’impronta di destra nella nuova Knesset e troppo deboli i laburisti. La crescita del partito russofono di Lieberman preoccupa a questo punto anche il Likud».

A dominare la campagna, scrive Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore, è il «bitakhon», la sicurezza, e non la pace, come spiega anche un reportage di Famiglia Cristiana. «Un Governo di coalizione - dice Tramballi - sarà obbligatorio; forse vi parteciperanno tutti e quattro i primi partiti».

L’altro tema del giorno è l’atteso (e provocato) «chiarimento» del Vaticano sul negazionismo. «Se Williamson vuole diventare un vescovo cattolico a tutti gli effetti - scrive Domitilla Conte dell’ANSA - dovrà prendere le distanze pubblicamente dalle sue posizioni negazioniste, che il Papa, quando gli ha revocato la scomunica, non conosceva». Ne parlano ovviamente con ampio risalto gran parte dei quotidiani, da Avvenire al Corriere al Giornale, a Repubblica, dal Sole alla Stampa.

Nel suo Italians sul Corsera, Beppe Severgnini si occupa della vicenda, dicendo di credere all’ignoranza papale sulle dichiarazioni di Williamson. Ma «possiamo dire - si chiede - da osservatori distanti, da cattolici incompetenti, che ciò appare stupefacente?. Il Vaticano - continua - da tempo istruisce, ammonisce, invita alla perfezione. Ma spesso sembra di vederlo dal lato sbagliato di un cannocchiale: una presenza distante, irraggiungibile».
Corriere e International Herald Tribune raccontano poi della scomparsa, forse nel 1992 al Cairo del nazista «dottor Morte», Aribert Heim, ovvero il medico di Mauthausen.

Beniamino Pagliaro 

 
 
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notizieflash    
 
 
Tregua Israele - Hamas: Amos Gilad al Cairo                                   
Cairo, 5 feb -
Atteso oggi al Cairo Amos Gilad, capo dell'ufficio diplomatico-sicurezza del ministero della Difesa israeliano, per un ripresa dei colloqui con i dirigenti egiziani sulla tregua fra Israele e Hamas.
La notizia è stata fornita dall'agenzia egiziana Mena.
Gilad incontrerà il capo dei servizi segreti egiziani, Omar Suleiman, e porterà una risposta - scrive l'agenzia - alle richieste delle fazioni palestinesi riguardanti la tregua e l'apertura dei passaggi tra Israele e la Striscia di Gaza


Israele, fermata nave libanese, a bordo Mons.Capucci
Gerusalemme, 5 feb -
Israele - La marina militare ha fermato oggi una nave libanese, con a bordo aiuti, diretta verso la Striscia di Gaza. A confermarlo è stato il ministro della Difesa Ehud Barak il quale ha aggiunto che, in questo momento, l'esercito israeliano ne ha preso il comando e la sta conducendo nel porto di Ashlod (sud di Israele).
L'imbarcazione infatti non solo ha violato il blocco navale imposto dallo Stato ebraico alla Striscia, ma invitata, al momento del fermo, a far rotta verso l'Egitto, ha continuato a dirigersi verso il porto di Gaza, per questo ha spiegato Barak è stata abbordata e presa sotto controllo.
Sulla nave secondo notizie rimbalzate dal Libano ci sarebbero un gruppo di attivisti, fra cui il vescovo filopalestinese Hillarion Capucci. 
 
 
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