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L'Unione informa
 
    9 febbraio 2009 - 15 Shevat 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
L'evoluzione del senso della piccola festa di oggi, tu bishvàt, capodanno degli alberi, è emblematica delle tante identità dell'ebraismo che convivono insieme neppure tanto tranquillamente. Da semplice data stabilita dai Rabbini per il calcolo dell'inizio dell'anno "fiscale" per l'osservanza di alcune norme della Torà legate alla produzione arboricola (decime e 'orlà), tu bishvàt è diventata, nel pensiero della qabbalà, un momento importante di riflessione sul rapporto con la natura visibile e con il mondo invisibile. Il Sionismo l'ha "rilanciata" per sottolineare il rapporto con la terra d'Israele, importando dall'America un nuovo rito come quello della piantagione di un albero. Il pensiero di alcuni Maestri come Zadoq haKohen ha spiegato la concatenazione simbolica dei tre pleniluni successivi di Shevat, Adar e Nissan in cui cadono feste progressivamente importanti (tu bishvat, purim, pesach). La ricchezza dei simboli della nostra tradizione suggerisce in ogni momento significati e collegamenti che guidano la nostra comprensione del tempo e della storia. 
Qualche giorno fa  sono stata invitata, come storica e come ebrea,  a spiegare cosa sia il negazionismo in una parrocchia romana, davanti ai fedeli. Mi era strano parlare in una chiesa, ma questa era anche una chiesa speciale: la chiesa di San Salvatore ai Monti, la chiesetta annessa alla Casa dei Catecumeni, il luogo deputato alla conversione degli infedeli tra il Cinque e l'Ottocento. Mentre parlavo vedevo le grate da cui gli ebrei rinchiusi alla Casa dei Catecumeni dovevano seguire la messa. In quel luogo, l'enorme cambiamento avvenuto nella Chiesa dal Concilio in poi diveniva tangibile, e non solo gli indegni pastori come Williamson ma in genere i tradizionalisti, con il loro ribadire l'"insegnamento del disprezzo",  apparivano anacronistici. E ascoltando il parroco, don Federico, spiegare perché, in nome di quale riparazione, aveva voluto che la mia lezione si tenesse proprio lì,  pensavo a tutto il lavoro che è stato fatto nel mondo cattolico dopo il Concilio per cambiare la mentalità, il pensiero dei cattolici nei confronti non solo degli ebrei, ma di tutti quelli che cattolici non sono e non vogliono diventare. Un lavoro lunghissimo, difficile, capillare, che di fronte alle domande e alla luce di interesse che brillava negli occhi del mio pubblico mi appariva visibile, e prezioso.  Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Elezioni Israele al voto 1 – Sergio Della Pergola
“Risultato incerto, ma sistema solido”


Israele va al voto. Fra poche ore l'unica democrazia del Medio Oriente ridefinirà gli equilibri alla Knesset e si darà un nuovo Governo. Gli equilibri determinati dal risultato elettorale saranno probabilmente il risultato di alchimie molto complesse. E il nome del nuovo premier potrà dipendere da piccoli spostamenti dell'ultimo minuto negli umori dell'opinione pubblica.
Gli indecisi, alla vigilia della consultazione, sono ancora in numero consistente. E le incognite di un sistema elettorale fra i più frammentati e fra i più complessi sono così numerose che nemmeno i grandi esperti si sentono in grado di formulare un pronostico del tutto affidabile.
Il demografo Sergio Della Pergola, uno dei nomi più prestigiosi dell'Università ebraica di Gerusalemme, più volte consulente degli Esecutivi israeliani sulle questioni strategiche, ha appena finito di sfogliare i quotidiani ritrovandovi una sua studentessa, piuttosto chiacchierata.
vignetta HaaretzUna vignetta dell'influente ma minoritario Haaretz (vedi l'immagine a fianco) la ritrae di fronte a suo padre, Avigdor Lieberman, leader di Israel Beitenu, la formazione nazionalista astro nascente del nuovo panorama politico israeliano. La battuta  è al vetriolo, come spesso avviene sulle pagine dei quotidiani di un sistema libero talvolta fino ai limiti dell'eccesso. “Papà, un giorno tutto questo sarà tuo”, dice lei mostrando un gruzzolo che secondo la stampa scandalistica Lieberman starebbe accumulando e amministrando con troppa disinvoltura con l'aiuto dei propri familiari.
“Per come l'ho conosciuta – liquida la questione il professor Della Pergola – posso dire che si è dimostrata una studentessa capace e intelligente”. Sulle accuse di corruzione piovute nel corso della campagna elettorale lo studioso usa molta cautela. Il sistema giudiziario israeliano non perdona e non guarda in faccia a nessuno, se ci sono illeciti sicuramente chi li ha commessi dovrà risponderne. Ma per ora la parola spetta agli elettori. “Tzipi Livni – commenta Della Pergola – si presenta come la signora 'mani pulite', ma questo da solo non basta per vincere la competizione”.
Sta di fatto che fra i pochi punti fermi che Della Pergola dice di vedere alla vigilia del voto c'è proprio l'emergere della formazione di Lieberman (nell'immagine in alto una manifestazione dei supporter di Israel Beitenu a Haifa alla vigilia del voto).
E poi? “Mi sembra del tutto prevedibile – aggiunge lo studioso – che assisteremo a un'ulteriore marginalizzazione della sinistra nel quadro politico generale. La massa dell'elettorato è distante dalle sue ragioni e nemmeno gli esiti della crisi di Gaza sono bastati per invertire la tendenza. Il grande dilemma, a questo punto, è se la maggioranza relativa sarà conquistata da Kadima di Tzipi Livni o dal Likud di Netanyahu. Nei sondaggi sono testa a testa. Ma con 34 diverse formazioni sulla scheda, il margine degli indecisi è ancora grande, il numero di voti dispersi corre il rischio di essere molto alto e anche una piccola differenza può essere importante”. “Nel sistema israeliano – continua Della Pergola - conquistare la maggioranza relativa non significa infatti solo aver raccolto più voti dei concorrenti, ma anche assicurarsi automaticamente il mandato di comporre la nuova coalizione di governo. Molto probabilmente Netanyahu, se riuscirà ad arrivare primo, potrà decidere se formare una coalizione tutta di destra o invece una grande coalizione che comprenda più formazioni compresa i centristi di Kadima, o addirittura ancora più allargata”.
Ma in quale quadro generale l'elettore israeliano farà le proprie scelte? “La crisi di Gaza – riprende Della Pergola – ha suscitato una forte solidarietà interna e un'importante intesa sostanziale anche sul fronte internazionale. Ci sono molti dati che lasciano intendere come la società israeliana abbia reagito prontamente e in maniera unitaria (salvo la posizione di frange estremamente minoritarie) a una situazione molto delicata. Vorrei solo ricordare che al momento del richiamo dei riservisti nelle scorse settimane il tasso di presentazione immediata per prendere servizio ha toccato il 120%”.
Esiste però anche un rovescio della medaglia. “Certo – aggiunge Della Pergola – il risvolto negativo è che l'emergenza sicurezza fa ombra al discorso politico. I palestinesi non si sono dimostrati in grado di costruire una società civile e in questo modo fanno il loro stesso male. Ma ciò che è più grave è che la loro incapacità di generare una società civile danneggia di riflesso la società civile israeliana”. E questo basta per giustificare il pessimismo? “No, direi che ancora una volta la storia recentissima ha dimostrato che chi aveva voluto intendere Israele come un fenomeno artificioso e temporaneo ha visto la propria visione chiaramente smentita dai fatti. Israele è una realtà molto solida, sta qui per rimanere. Bisogna che i nemici dello Stato ebraico se ne facciano una ragione”.

g.v.
 
 
 
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  Donatella Di CesareHans Jonas fra medicina ed etica

“Insegnaci a contare i nostri giorni, affinché portiamo il nostro cuore alla saggezza” (Salmo 90). A queste parole si ispira uno degli ultimi saggi di Hans Jonas: Peso e benedizione della mortalità (contenuto nel volume Tecnica, medicina ed etica, Einaudi 1997). Scomparso a New York il 5 febbraio 1993, Jonas ha avuto il merito di far interagire in modo originale tradizione ebraica e ricerca filosofica. Dall’ebraismo si proponeva di trarre la forza teologica ed etica per salvaguardare, in tempi di estrema minaccia, la dignità dell’esistenza umana. Autore del bestseller filosofico Il principio responsabilità, Jonas è stato uno degli iniziatori del dibattito bioetico.
Non trasformare una lotta legittima contro la morte prematura in un rifiuto indiscriminato della mortalità: questo è il suo appello lanciato all’interno di “un’etica del futuro” che deve rispondere alle nuove sfide di una umanità fragile, esposta a un potere tecnologico che, abbattendo un limite dopo l’altro, è insieme una chance e una minaccia. Assumersi la responsabilità verso il futuro degli altri vuol dire vivere in modo che “D-o non abbia a pentirsi di aver lasciato il mondo in divenire”. 

Donatella Di Cesare, filosofa


“Se i palestinesi avessero accettato la pace
non farebbero la coda ai posti di confine”


Leggo il ritratto di Amira Hass su l'Unione informa e vorrei contribuire con un qualche modesta considerazione su questa giornalista.
Il lungo elenco delle sofferenze delle popolazioni palestinesi è, mi sembra, arcinoto: da anni non si sente né si vede altro, specialmente in periodi come quest'ultimo, alludo all'operazione "piombo fuso"; per cui mi sfugge la novità della notizia. Sarebbe stato interessante capire perché la Hass goda dei privilegi descritti (acqua, e, aggiungo io: la sua incolumità, laddove ai comuni mortali israeliani o ebrei non solo è interdetto l'accesso e non solo a Ramallah e a Gaza, ma anche a Betlemme e a Gerico; non si tratta di dettglio, dato il continuo pericolo di assassini e di sequestri, vedi il recente episodio di tentato linciaggio di una famiglia di israeliani, la cui auto era rimasta in panne a Umm El-Fahm, che fa parte di Israele). Forse una giornalista intellettuale o d'inchiesta, quale la Hass si presenta, dovrebbe anche chiedersi se ci sia qualche motivo per cui la società democratica israeliana non si riconosce in lei: per esempio, potrei suggerire, forse le sue opinioni e i suoi comportamenti vengono semplicemente giudicati sbagliati. Non voglio certo credere che la Hass sia tanto presuntuosa da ritenere di essere l'unica detentrice della verità. Infine, nel merito: forse, se i palestinesi e i loro vari rappresentanti avessero voluto una volta in tutti questi decenni accettare una pace con Israele, invece di praticare la violenza, gli attentati e il terrorismo, i valichi, anzi, i confini sarebbero liberi, la loro economia, finalmente di pace, fiorirebbe e, chissà, se lo avessero voluto, forse avrebbero potuto darsi anche una democrazia atta a difendere i loro diritti.
Davide Nizza

Il ritratto della corrispondente del quotidiano Haaretz da Ramallah era solo il terzo di una serie dedicata ad alcune donne israeliane molto diverse fra di loro e non aveva alcuna intenzione di giustificare le opinioni di questa giornalista, che sono notoriamente considerate inaccettabili dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica israeliana e da moltissimi lettori del suo stesso giornale. Così come la stessa Hass riconosce del resto apertamente.
 
 
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Le elezioni in Israele
Chi voglia capire (e spiegare agli altri, come certamente tutti dobbiamo fare) lo stato d’animo di Israele alla vigilia di elezioni decisive deve leggere l’intervento di Jossi Klein Halevi sullo Herald Tribune (ma in realtà proveniente dal New York Times): “non abbiamo nessuna scelta se non combattere”. E’ un articolo che andrebbe tradotto e diffuso, perché spiega la ragione per cui queste sono “le elezioni più a destra della storia di Israele” (così Alberto Stabile su Repubblica).
Un’analisi a tratti discutibile ma interessante delle principali parti in gioco si trova nell’articolo del generale Carlo Jean per il Messaggero.  Benjamin Barthe, su Le Monde
mette a fuoco i temi economici-sociali della scelta elettorale che sono stati eclissati dalla questione della guerra e della pace. Il Corriere riporta una polemichetta dell’ultima ora: Nethaniahu sarebbe stato sorpreso con i suoi collaboratori a festeggiare la fine della campagna elettorale in un ristorante non kasher di Gerusalemme. Davide Frattini sul Corriere riferisce che un sondaggio elettorale fra i giovani, condotto in dieci licei israeliani, si è concluso con la vittoria di Liebermann, e la suo partito “Israel Beitenu”: qualcosa che dovrebbe far riflettere quelli che lo qualificano come “fascista” (i partiti arabi e l’ultrasinistra israeliana, sempre tallonati da Haaretz, si veda l’opinione di Akiva Eldar) o “peccatore” (il partito religioso Shaas). Per un ritratto, naturalmente antipatizzante, di questo personaggio nuovo che probabilmente emergerà da queste elezioni come il vero vincitore, si veda la corrispondenza di De Giovannangeli sull’Unità
Per coloro che fossero interessati ad approfondire i temi elettorali, sono interessati i tre editoriali di endorsement (appoggio, secondo la tradizione elettorale americana) pubblicati dal Jerusalem Post: Shai Nachman per Kadima, Jeff Barak per i laburisti, Evelyn Gordon
per il Likud, più una dichiarazione di rifiuto per Israel Beitenu, firmato da Ellie Friedman.
Contemporaneamente si infittiscono le voci su uno scambio di prigionieri per la liberazione di Shalit, che, come riferisce Battistini sul Corriere comprenderebbe altre all’apertura dei valichi, anche la liberazione di 1000 palestinesi detenuti e condannati dai tribunali per i più orribili crimini dell’ondata terrorista iniziata otto anni fa (la “seconda Intifada”). Un giudizio severissimo viene dal Jerusalem Post, che in un editoriale non firmato (e dunque attribuibile alla direzione) si oppone a quella che chiama “compassione mal diretta”, che sospetta piuttosto essere un’estrema operazione elettorale. Anche il giornale di sinistra Haaretz solleva dubbi, ma conclude che il rilascio è “necessario” e Israele è abbastanza forte per reggerne le conseguenze.

Le vicende vaticane
Sul caso della remissione della scomunica ai lefebvriani, c’è stata una telefonata “cordiale” fra il papa e il cancelliere tedesco Angela Merkel che l’aveva criticato (fra i molti articoli sul tema scegliamo Andrea Tarquini su Repubblica). Giovedì il papa riceverà una delegazione delle più importanti organizzazioni ebraiche americane, a Roma per un convegno (Maurizio Piccirilli sul Tempo). Da leggere l’intervento di Christopher Hitchens sul Corriere, che spiega come il ritorno dei lefebvriani non sia un caso né una novità della dottrina cattolica, ma ski ricolleghi a una tradizione antica di odio e colpevolizzazione per gli ebrei, che la Chiesa ha iniziato a ritrattare solo col Concilio “vent’anni dopo Auschwitz”. Per chi vuol sapere di che si tratta, si consiglia una lettura di Jenner Meletti che per Repubblica è andato a sentire la prima messa domenicale del prete negazionista Abramovitz vicino a Treviso.
Andrea Tornielli sul Giornale riporta il programma del viaggio del papa in medio oriente che toccherà Israele.

Opinioni e analisi
Bello il reportage dello scrittore Giampiero Comolli sull’Unità sugli ebrei di Gerba, in Tunisia. Lo Herald Tribune pubblica un breve intervento dello scrittore israeliano Amos Oz, che riconosce il diritto di Israele di difendersi da Hamas, ma ammonisce a far sì che la risposta non sia sproporzionata. Interessante, ancora sul Herald un’opinione dello scrittore egiziano Alaa Al Aswany, il quale sostiene che gli arabi non si faranno affascinare dalle dichiarazioni del presidente americano Obama, a meno che egli cambi politica sul medio oriente e si distanzi da Israele, riconoscendo per esempio “il diritto alla resistenza”, (cioè al terrorismo) dei palestinesi. Come dire: c’è una guerra, le belle parole non servono. Nello stesso senso va letta la minacciosa intervista di Alix Van Buren su Repubblica al ministro degli Esteri giordano el Bashar.
Thomas Friedman, su Repubblica esalta la funzione dei soldati e poliziotti dell’AP addestrati in America, che hanno tenuto calma “perfino Hebron e Jenin” durante l’operazione militare a Gaza. Vanna Vannuccini su Repubblica e Gabriel Bertinetto sull’Unità presentano l’annunciata candidatura di Kathami alla presidenza dell’Iran in contrapposizione a quella attuale di Ahamadinejad come una possibile apertura all’America di Osama. Ma se volete sapere come davvero la pensa il “democratico” Kathami, scorrete le sue dichiarazioni riportate dal Jerusalem Post: “gli americani devono morire di rabbia”, gli israeliani sono “gli usurpatori”, “l’entità sionista”, “una minaccia alla pace e alla tranquillità globale”. Se lo eleggono, cambierà stile, dal populista al curiale, ma la sostanza resterà la stessa.

Ugo Volli  

 
 
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Elezioni in Israele, Olmert a sostegno di Tzipi Livni                      
Tel Aviv, 9 feb -
"Non vi stupirò certo se dirò che io sostengo Kadima e che spero che Tzipi Livni sia eletta primo ministro. Lei è una candidata che può dirigere Israele, è dotata di sensibilità e saggezza". Con queste parole, all'immediata vigilia delle elezioni politiche in Israele, il premier Olmert ha rotto il silenzio mantenuto finora e si è augurato in pubblico la vittoria della candidata di Kadima, Tzipi Livni. Nei mesi scorsi il rapporto tra i due si era guastato quando la Livni lo aveva sollecitato a farsi da parte per il moltiplicarsi delle inchieste di polizia nei confronti del premier. Ieri Olmert, pur augurando il successo alla Livni, non ha partecipato a Telk Aviv al grande evento conclusivo della sua campagna elettorale. La dichiarazione del premier è stata comunque accolta con una certa freddezza negli ambienti di Kadima. Olmert, si è detto, avrebbe aiutato assai di più Tzipi Livni ritirandosi a vita privata già mesi fa, al momento delle dimissioni. Olmert ha replicato a quelle critiche ricordando che mesi fa la Livni cercò di costituire un nuovo governo di coalizione, ma fallì.

Rosen, a marzo l'incontro interreligioso a Roma
Città del Vaticano, 8 feb -
L'incontro interreligioso ebraico cattolico previsto per i primi di marzo a Roma si terrà, malgrado le dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Richard Williamson. Lo afferma il rabbino David Rosen, presidente del Comitato ebraico per il dialogo interreligioso, che partecipa alla delegazione ebraica che partecipa all'incontro.
Secondo Rosen, il colloquio telefonico tra Benedetto XVI e il cancelliere tedesco Angela Merkel in cui il Papa ha nuovamente condannato la Shoah "è molto positivo" anche per i rapporti con gli ebrei. "Mi rallegro della conversazione tra Ratzinger e Merkel - ha affermato Rosen - anche se però voglio precisare che da noi non era richiesta". "Ci riteniamo già soddisfatti - ha spiegato infatti il rabbino - da quanto affermato dalla Santa Sede con una nota ufficiale mercoledì scorso in cui è stata richiesta la ritrattazione di Williamson ed è stato specificato che il Papa non era a conoscenza delle sue posizioni". "Dopo quella nota - ha concluso - per noi la questione è da ritenersi risolta".
Quanto alla visita del Papa in Israele, prevista per maggio, Rosen ha affermato che si sta “lavorando affinché avvenga, soprattutto adesso".


Forse imminente la sostituzione di Williamson
Buenos Aires, 8 feb -
Richard Williamson potrebbe essere presto sostituito alla guida del seminario che dirige dal 2003 a La Reja, nella provincia di Buenos Aires. La notizia, secondo il quotidiano La Nacion,  giunge da ambienti lefebvriani argentini che non escludono comunque la possibilità di una futura
ritrattazione delle affermazioni negazioniste da parte del vescovo lefebvriano. Williamson potrebbe essere sostituito dallo spagnolo Alfonso de Galarreta, uno dei quattro vescovi ordinati nel 1988 da Marcel Lefebvre. In queste ultime ore, al seminario sono giunti numerosi sacerdoti, fatto che, precisa il giornale, potrebbe preludere a qualche annuncio importante. Un altro quotidiano di Buenos Aires, Clarin, afferma che il presidente della Conferenza episcopale argentina, cardinale
Jorge Bergoglio, terrà lunedì una cerimonia nella cattedrale della città per ricordare la figura del rabbino Leon Klenicki, morto qualche settimana fa negli Stati uniti, che ha svolto un ruolo di grande importanza nel dialogo tra ebrei e cattolici nel paese sudamericano.
 
 
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