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L'Unione informa |
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12 febbraio 2009 - 18 Shevat 5769 |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Questo
Shabbat leggeremo la parashà di Itrò che contiene la prima versione dei
dieci comandamenti. La lettura dei comandamenti avviene in forma
solenne, di solito con il pubblico in piedi. Ma la questione -se si
debba o meno stare in piedi- è stata ed è ancora oggetto di un
dibattito tra le varie autorità di halakhà. Il tema della contesa è
semplice: se tutta la Torà ha origine sacra, perchè dovremmo
privilegiare con un atto speciale di rispetto i dieci comandamenti,
ascoltandoli in piedi, mentre per il resto della Torà stiamo seduti? La
soluzione pratica al problema è che nel dubbio si chiama alla lettura
il rabbino, per cui tutti sono tenuti a stare in piedi e lo fanno per
rispetto a lui e non per quello che legge. Ma aldilà della soluzione,
il problema resta, e non è di poco conto. Perchè l'idea di
privilegiare una parte della Torà come i dieci comandamenti rispetto a
tutto il resto, come se il resto fosse cosa di minor conto e
trascurabile, è alla base delle grandi divisioni nella storia
dell'ebraismo ed è l'idea che accompagna, ad esempio, la nascita del
cristianesimo. |
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Con
la saggezza del giorno dopo, ma anche con una buona dose di necessaria
autocritica, le elezioni in Israele dimostrano, in primo luogo,
l'incongruenza di un metodo elettorale che garantisce massima
rappresentanza e minima governabilità. L'Italia lo ha capito, ha
cambiato metodo, e si è dotata (nel bene e nel male) di governi di
legislatura. La società israeliana è complessa, ma gli elettori invece
di nominare un parlamento in grado di decidere hanno prodotto un
manuale di sociologia delle popolazioni, con dodici partiti nessuno dei
quali raggiunge un quarto dei seggi in palio. Con millimetrica
precisione ha avuto ragione chi aveva previsto che la conclusione non
inequivocabile della campagna contro Hamas avrebbe premiato la destra.
Ma il naufragio della sinistra supera ogni previsione. Sul
risultato elettorale hanno inciso in misura non marginale anche quelle
voci esterne che contestano e isolano Israele e gli ebrei, spingendoli
ad arroccarsi
su posizioni di autodifesa. Esempi sono quell’inquietante
caricatura Ahmedinejad, l’incendio delle bandiere nelle piazze in
Europa e in America Latina, il prete che dice che Auschwitz era un
luogo di disinfestazione, l’analista che suggerisce che il Giorno della
Memoria venga celebrato con maggiore discrezione perché potrebbe
causare qualche rimorso agli Europei, il giudice spagnolo che chiama in
tribunale l’ufficiale israeliano che ha combattuto i terroristi a Gaza.
Ma anche l’erosione dell’identificazione degli Arabi israeliani con lo
Stato di cui sono cittadini. Che fare? Lunghe settimane di tortuose
trattative ci separano dal voto di fiducia al nuovo governo. Le
alternative politiche sono essenzialmente tre: una coalizione tutta a
destra, basata su sei partiti che si sono attaccati ferocemente durante
la campagna elettorale, che renderebbe Israele oggetto di pressioni
internazionali e ulteriore isolamento. Un governo a rotazione fra Bibi
Netanyahu e Tzipi Livni, replica dello scambio Peres-Shamir, che
riporterebbe la politica israeliana indietro di 25 anni. O un’ampia
coalizione di programma per la legislatura (e allora conta meno chi sia
il premier) con Kadima, Likud, Laburisti e una formazione religiosa,
che lancerebbe un segnale di responsabilità verso il Paese e verso il
mondo. E poi, è quasi inevitabile, si va a nuove elezioni anticipate.
Sperabilmente con una diversa formula elettorale. |
Sergio Della Pergola, demografo Università Ebraica di Gerusalemme |
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davar |
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Il Ministro Maroni al Vittoriano: "Mai più leggi razziste"
Nuovo incontro al Vittoriano a Roma dove, dal 16 dicembre, è ospitata
la mostra "Leggi Razziali. Una tragedia italiana" curata da Marcello
Pezzetti e Bruno Vespa, con il coordinamento generale di Alessandro
Nicosia, per presentare il numero speciale della 'Rassegna mensile di
Israel' in occasione del settantesimo anniversario della leggi
razziste. Il secondo di una serie di incontri organizzati per
approfondire alcuni aspetti storici dei provvedimenti del 1938 (il
prossimo, dedicato alla memoria della deportazione dei militari
italiani, avrà luogo il 19 febbraio) ha visto la partecipazione di
molti esponenti delle realtà ebraiche italiane. “Le
leggi razziste costituiscono un monito contro l'antisemitismo e il
razzismo. Nei confronti di tutti", ha affermato il Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, che poco prima aveva accompagnato il ministro dell'Interno Roberto Maroni,
a visitare la mostra. "Il nostro ricordo vuole essere - ha continuato
Gattegna - un monito anche contro l'indifferenza di molti. Le leggi del
1938 fanno parte di una delle pagine più buie della nostra storia. Sono
state un tradimento da parte dello Stato per i suoi cittadini ebrei che
tanto hanno contribuito alla storia della patria". Il ministro
Maroni ha dichiarato di essere rimasto impressionato dalla mostra,
cruda per i documenti esposti, ma denuncia in particolar modo
l'uso della propaganda. Il rappresentate del Governo ha
infatti affermato di essere "rimasto sconvolto da come l'uso della
propaganda potesse influenzare le coscienze dei cittadini e portare il
consenso su cose che ora ripugnano chiunque". Secondo Maroni oggi
non sarebbe più possibile "il ripetersi dell'orrore delle leggi
razziali, perché ci sono anticorpi nelle istituzioni, nei controlli
dell'Europa che si è data regole e nei valori ispirati a principi
diametralmente opposti a quelli della “difesa della razza" tuttavia
riconoscendo la necessità di mantenere e diffondere fra i giovani la
memoria di quanto è avvenuto. Maroni ha dichiarato di voler dare la
disponibilità a tutte le prefetture italiane di ospitare la mostra
"affinché i giovani vedano l'orrore delle leggi del 1938, in modo da
impedire che ciò succeda di nuovo". Maroni ha anche colto
l'occasione per rispondere alle accuse di xenofobia che gli erano state
rivolte nei giorni scorsi, sostenendo che la situazione italiana è la
migliore d'Europa per quanto riguarda l'integrazione, ma l'obiettivo da
perseguire è la sicurezza. La Rassegna mensile di Israel, nata nel
1925, fu chiusa dalle autorità fasciste nel 1938 (anno in cui furono
promulgate le leggi razziste) e poté riaprire soltanto nel 1948, come
ha avuto modo di far rilevare l'attuale direttore della prestigiosa
rivista edita dal''Unione delle Comunità ebraiche Italiane
professor Giacomo Saban. L'ultimo numero pubblicato è stato curato dallo storico Michele Sarfatti,
del Centro di documentazione ebraica di Milano - e ripercorre la storia
delle Leggi dai loro prodromi alla realizzazione e agli effetti.
"Continuiamo a studiarle - ha spiegato Sarfatti - perché hanno
costituito un elemento originale nel contesto europeo". Sarfatti ha
ricordato che "la legislazione italiana dell'epoca fece scuola in
Europa. Il suo accanimento nei confronti in particolare degli ebrei
stranieri fu adottato da altri paesi". Venendo all'oggi ha poi detto
che "il razzismo in Italia è in crescita ed ha manifestazioni anche più
gravi di allora. "Per questo conoscere la genesi e gli effetti di
quelle Leggi - ha concluso - è fondamentale per quanto può accadere
oggi". Alla presentazione del numero speciale della rivista sono intervenuti anche due degli autori: Annalisa Capristo, esperta della politica antisemita del fascismo, che ha scritto la parte riguardante "Il decreto legge 5 settembre 1938 e le altre norme antiebraiche nelle scuole, nelle università e nelle accademie" e Valerio Di Porto, Consigliere Ucei, che si è occupato de "Il 1938 in Italia e Germania. Spunti per una comparazione".
Lucilla Efrati
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Domande
Gli americani sanno. Le urne in Israele sono ancora tiepide, i governi
possibili molteplici, l'instabilità elevata, e loro sanno. «Ad
aprile il nuovo premier di Gerusalemme verrà in città, prenderà posto
alla Blair House, andrà nello Studio Ovale e parlerà di pace con i
palestinesi». Sì, ma a che ora?
Il Tizio della Sera
Quando il Golem scende sul campo da baseball anche il mito americano mostra il suo lato oscuro
Americana di James Sturm è una trilogia di racconti dedicati alla storia degli Usa. La prima storia, Il colpo mitico del Golem del 2001,
è il racconto delle vicissitudine di una squadra di baseball, Le Stelle
di David, che gira per i piccoli centri a caccia di ingaggi. Sulla
maglietta campeggia la stella a sei punte e i giocatori viaggiano su un
vecchio autobus. Quando arrivano nei paesi dove giocheranno, i bambini
si chiedono “sono arrivati gli ebrei?” mentre Hetty Douglas, una
signora modello zitella con la croce al collo e una figlia con un
vestito lungo da suora a quadrettoni da tovaglia, inspiegabilmente si
presenta alla partita: non sono qui per il baseball, ma per vedere gli
ebrei... James Sturm descrive con poche battute la diffidenza
dell’americano medio, che vive fuori dai grandi centri urbani, e che
crede che l’America sia il baseball. D’altra parte anche Noah Strauss
il manager del team prende le distanze dal padre, sarto per conto terzi
nella Grande Mela, “mio padre sarebbe profondamente deluso se sapesse
che giochiamo di sabato. Lui resterà sempre un immigrato. La sua mente
vive nel paese da cui se ne è andato. La mia vive in America e il
baseball è l’America”. Poi arriva l’idea di schierare uno dei
giocatori, Hershl Bloom, con un costume che lo rappresenti come un
Golem, un’idea commerciale di un pubblicitario che immagina il baseball
più come un circo che come uno sport. Ed ecco che la nostra squadra
arriva a Putnam, il giornale locale esorta alla vittoria contro gli
sporchi giudei, uno di loro viene picchiato prima della partita, la
città è in subbuglio per l’arrivo del mitico Golem che scaglia palle
veloci come saette fiammeggianti. Ma quando lo scontro diventa duro e
la folla picchia un giocatore e le urla sovrastano ogni senso sportivo,
andatevene ebrei, ecco che Hershl è veramente il mitico Golem e la
folla che vorrebbe suonargliele si ferma. Al riparo nel dugout gli
altri giocatori si nascondo, una voce recita lo Sh’ma, Amerai il
Signore tuo... "Per migliaia di anni gli Ebrei sono spirati con lo
Sh’ma sulle labbra", commenta Noah. Una pioggia torrenziale fa fuggire
la folla e i giocatori possono ripartire per un’altra partita. James
Sturm disegna in bianco e nero, con un linea pesante e netta, con poche
linee che colgono l’essenza dei personaggi e dei luoghi. Un tratto
continuo di color sabbia riempie quei bianchi e neri e definisce il
senso della concretezza. Quando il disegno è così essenziale e
semplice, il testo emerge nella sua forza e in questo caso nella sua
amarezza di raccontare quella diffidenza a volte sottile a volte
pesante e violenta di una società che comunque non è riuscita a
scrollarsi di dosso i pregiudizi e gli odi del vecchio continente. E il
giornale locale non manca di pubblicare un articolo pieno del solito
odio condito con le solite accuse: succhieranno il denaro di
questa città. Sturm è abile nel navigare dentro la mediocrità e farla
emergere nella sua chiarezza, in tutta la sua meschinità.
Americana, di James Sturm, Coconino Press, 190 pagine, 2002, 14 euro
Andrea Grilli
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rassegna stampa |
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Rebus.
Caos. Incognita. E alla fine Coalizione. Sono le parole più usate oggi
dai quotidiani italiani per commentare i risultati delle elezioni
Politiche in Israele. Il leader di Kadima, Tzipi Livni, con i suoi 28
seggi del Parlamento conquistati – su 120 –, vince di fatto la partita
alle urne. Ma di un nulla, considerando il risultato del Likud di Bibi
Netanyahu (27 seggi). Ecco perché il Corriere della Sera titola “La sfida Livni-Netanyahu. Israele, governo difficile” (sulla stessa linea i maggiori quotidiani come Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Libero, Avvenire).
Il “Cubo di (Shimon) Peres” – il presidente israeliano che affiderà
l’incarico di formare un governo entro il 20 febbraio – diventa però
sempre più un rompicapo. Sì perché in mezzo c’è un numero tre. E’
Avigdor Lieberman, leader del partito nazionalista Israel Beitenu, che
ha ottenuto 15 seggi rivelandosi la grande novità delle elezioni. Sarà
lui l’ago della bilancia: “Ha ottenuto – scrive Bernardo Valli su Repubblica
– un numero di seggi indispensabile ai due pretendenti alla carica di
primo ministro, per avere una maggioranza, e quindi formare un
governo”. Dunque, Tzipi e Bibi danno il via al corteggiamento. E già si
ipotizzano grandi scenari. Francesco Battistini sul Corriere
ne propone cinque: un governo a turno tra Livni e Netanyahu; uno di
unità nazionale con Kadima e Likud; un governo con Netanyahu e
Lieberman; uno che unisca laburisti, destra estrema, la destra
religiosa e Livni; oppure si fa finta che ci siano le consultazioni e
tra due mesi si torna a votare.
Ciò che sembra evidente, osservando i numeri, è la sconfitta del Labour. Se ne occupa, tra gli altri, Davide Frattini sul Corriere,
sottolineando “la fine di un grande mito”, quello del movimento
sionista della sinistra israeliana. In uno scenario in cui, come spiega
Arrigo Levi su La Stampa,
la grande coalizione può risolvere il rebus, Il Sole 24 Ore è tra i
pochissimi a ricordare che in realtà non tutti i voti sono stati
scrutinati. “Ci sono ancora – scrive Ugo Tramballi – 150 mila schede da
scrutinare: quelle dei militari e degli israeliani all’estero”. Di
solito non “spostano”, ma quando a ballare è solo un seggio anche una
manciata di preferenze può fare la differenza. Rimanendo in tema
elezioni Il Messaggero
pubblica le richieste subito avanzate dalla presidenza di turno
dell’Unione europea – quella ceca – nei confronti di Israele: “Il nuovo
governo aiuti la nascita dello Stato palestinese”, titola il quotidiano
romano. Mentre per gli appassionati Libero
pubblica un interessante profilo di Tzipi Livni, riassumendo la
carriera da 007 del numero uno di Kadima. Inoltre, sempre sul giornale
diretto da Roberto Napoletano, il presidente della Comunità ebraica di
Roma, Riccardo Pacifici,
commenta le elezioni ricordando che se fosse stato possibile
raccogliere le opinioni degli ebrei romani si sarebbe ottenuto un
risultato simile a quello uscito dalle urne: “Ognuno ha una sua
opinione politica”. Anche Pacifici ha la sua: “ Da sottolineare il
risultato di Tzipi Livni, che vedo destinata a diventare la nuova Golda
Meir”. E sulla crisi di Gaza: “Siamo consapevoli che qualsiasi governo
nascerà punterà alla pace”. Per concludere va letta l’intervista a
Shraga Brosh, presidente degli industriali israeliani, che sul Sole 24 Ore spiega come questa instabilità parlamentare sia un danno per le imprese. E a proposito di crisi, Avvenire parla di Talmud come “legge giusta per la crisi”.
Restando a Roma, ieri il ministro dell’Interno Roberto Maroni è stato accompagnato dal presidente Ucei Renzo Gattegna (La Repubblica, Il Messaggero) al Vittoriano per denunciare ancora l’orrore delle leggi razziali: “Mai più, abbiamo gli anticorpi”, ha detto il ministro.
E
in attesa di sapere quali “amori” potranno nascere tra i partiti
israeliani, c’è già spazio per le polemiche alla presentazione di
“Religoius”, un docu-film girato tra i siti religiosi di tutto il mondo
per dimostrare come la religione sia devastante per il progresso
dell’umanità (Manifesto, Avvenire, Liberazione, Libero, Il Mattino, Il Secolo XIX). A riguardo il Corriere sottolinea che nessuno del Vaticano si è seduto in sala per vedere il film.
Per chi avrà l’opportunità di dedicare un po’ più di tempo alla lettura, aprite Repubblica
a pagina 44 per leggere l’articolo di Poaolo Rumiz: “Torah. Quei testi
ebraici conservati in vaticano”. Oltre trecento manoscritti in un
catalogo stampato a Gerusalemme ma curato dalla Chiesa di Roma
testimoniano un legame molto antico. Famiglia Cristiana, invece,
propone un reportage dalla Striscia: “A Gaza, in Gabbia”. Paure e
speranze dei palestinesi tra islamismo e sogni di fuga.
Fabio Perugia |
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notizieflash |
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Israele: Abu Mazen chiede l'isolamento diplomatico di un eventuale governo Netaniahu Gerusalemme, 12 feb - Secondo
il quotidiano "Haaretz" in edicola oggi, il presidente dell'Autorità
palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas), vuole che un eventuale governo
israeliano di destra, presieduto di Benyamin Netanyahu, sia sottoposto
a isolamento diplomatico internazionale e anche a sanzioni come nel
caso di Hamas, il movimento islamico al potere nella Striscia di Gaza. Sempre
secondo Haaretz, Abu Mazen ha fatto questa richiesta nei recenti
colloqui che ha avuto col presidente francese, Nicolas Sarkozy, col
premier britannico, Gordon Brown, e col presidente del Consiglio,
Silvio Berlusconi. A questi leader il presidente palestinese ha
espresso profondo allarme per le prospettive del processo di pace con
un governo israeliano di destra. Gli interlocutori europei, dal canto
loro, hanno assicurato Abu Mazen che non accetteranno il congelamento
del processo di pace e della soluzione del conflitto basata sulla
costituzione di uno stato palestinese al fianco di Israele. Abu Mazen,
secondo 'Haaretz' che cita una fonte politica autorevole a Gerusalemme,
ha preparato un "piano di resistenza diplomatica" a Israele come
alternativa a quello di "resistenza militare" di Hamas, anche al fine
di preservare Al Fatah come rilevante forza politica palestinese. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
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