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L'Unione informa |
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17 febbraio 2009 - 23 Shevat 5769 |
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alef/tav |
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Roberto
Della Rocca, rabbino |
Lo
scorso shabbat abbiamo letto il brano biblico relativo al dono
della Torà. Al verso 2 del capitolo 19 dell'Esodo e' detto: “Partirono
da Refidim e giunsero nel deserto del Sinai, si accamparono nel deserto
e là Israele si accampò di fronte al monte”. Rashi, il piu'
auterovele commentatore della Torà, spiega: "Israele si accampò là come
fossero un solo uomo e un solo cuore, mentre tutte le altre volte che
si accamparono lo fecero con spirito di contestazione e di
dissenso". Ci troviamo di fronte a una delle più belle e
famose interpretazioni di Rashì. Il popolo ebraico libero è giunto di
fronte al monte Sinai e sta per ricevere la Torà, i dieci comandamenti,
lo scopo ultimo dell’uscita dall’Egitto, della liberazione. "Partirono"
e' plurale come anche "giunsero" è plurale. "si accampò", viceversa, è
singolare. Ne deduciamo che solo di fronte alla Torà il popolo ebraico
trova la sua unità. In verità, anche nel commentare il verso 10
del capitolo 14 dell'Esodo, in cui si racconta degli egiziani che
inseguono il popolo ebraico con obiettivi persecutori, Rashi' dice:
"Come fossero un solo cuore, un solo uomo". Come e' possibile? Dove
finisce allora il mito della peculiare unita' e solidarietà
del popolo ebraico? Se lo vogliono anche i persecutori
antisemiti possono avere la stessa unità di intenti come gli ebrei
di fronte alla Torà? Al di là dell'apparente tautologia, e
osservando invece con attenzione, Rashì sta dicendo due cose
diversissime tra loro: per gli ebrei l’ordine è "uomo-cuore", per i
persecutori egiziani e' viceversa "cuore-uomo". L’ultima parola è
quella che conta; i nostri nemici hanno solo lo scopo di
perseguitare gli ebrei. Al di là di questa unità e solidarietà nelle
emozioni non hanno null'altro in comune. La nostra unità si basa invece
su un altro movimento "uomo-cuore". Le emozioni non possono mai
costituire il punto di partenza ma si presentano piuttosto
come conseguenza di un vissuto intorno a un progetto comune. Ci
ritroviamo di fronte alla domanda cruciale: per quale scopo
si agisce insieme? Rashì ci ha già risposto. |
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Sta per uscire in italiano un nuovo romanzo di Amos
Oz. S'intitola "Una pace perfetta" (lo pubblica come sempre Feltrinelli) ed è
stato scritto molti anni fa. E poi è ambientato alla vigilia della guerra dei
Sei Giorni, più di quarant'anni fa ormai. Un libro datato in tutti i sensi,
insomma. Eppure è straordinaria proprio la sua attualità. Non politica ma umana.
E' la storia di tanti disadattamenti, uno accanto e insieme all'altro. Di vite
radicate con fatica, di ansie di libertà. Di calore e smarrimento. E' come
sempre quando si apre un libro di Oz, bellissimo. Anche tradurlo, è
un'esperienza unica. Ho incontrato esperienze di scrittura molto diverse fra
loro, traducendo gli scrittori israeliani. Alcuni li amo follemente, altri meno.
Quando traduco Oz sento la sua ispirazione che mi accompagna e non mi lascia
mai. E' come un vento a favore, quando si naviga. |
Elena Loewenthal,
scrittrice |
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davar |
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Il giorno dello Statuto Albertino e di Giordano Bruno: un lungo cammino per l'acquisizione dei diritti civili
Oggi ricorrono due anniversari tra di loro molto diversi, ma legati da
un filo sottile, nel nome dell'eterno, cruciale tema della libertà
religiosa: il 17 febbraio del 1600, in Campo de' Fiori, a Roma, viene
arso sul rogo Giordano Bruno, reo di eresia; 248 anni dopo, nel Regno
sabaudo, il re Carlo Alberto rilascia le “lettere patenti” con le quali
dispone: “I valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e
politici dei nostri sudditi, a frequentare le scuole dentro e fuori
delle Università, ed a conseguire i gradi accademici. Nulla è però
innovato quanto all'esercizio del loro culto ed alle scuole da essi
dirette”. Finisce così il lungo periodo del ghetto alpino: i valdesi
diventano cittadini uguali agli altri. L'annuncio viene portato
velocemente nelle Valli valdesi, provocando generale entusiasmo. Il 27
febbraio, 600 valligiani scendono a Torino per festeggiare lo Statuto,
accolti con grande gioia dalla popolazione. Oggi i valdesi festeggiano
– e con loro altre confessioni protestanti – la ricorrenza. Lo
stesso Statuto, firmato da Carlo Alberto il 4 marzo, getta le basi per
l'abolizione delle discriminazioni giuridiche a danno degli ebrei, i
cui diritti civili vengono riconosciuti con il regio decreto 29
marzo 1848, n. 688; il decreto luogotenenziale 15 aprile 1848, n.735
ammette gli israeliti al servizio militare. Finalmente, la legge 29
giugno 1848, n. 735, dispone il pieno riconoscimento anche dei diritti
politici: “La differenza di culto non forma eccezione al godimento dei
diritti civili e politici ed alla ammissibilità alle cariche civili e
militari”. Molto si batté per l'emancipazione valdese ed ebraica
il ministro marchese Roberto D'Azeglio (fratello di Massimo), tanto che
i valdesi, non ancora maturi, subito dopo l'emancipazione, per eleggere
un loro rappresentante al Parlamento subalpino, indicarono proprio lui
come la persona che avrebbe potuto meglio rappresentarli, nel nome di
un approccio comune al tema della libertà religiosa, al di là delle
differenze di culto. E’ senz’altro un esempio da rilanciare, in
tempi di aspri conflitti.
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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"Shoah, nostra colpevole disattenzione"
Ho incontrato un vecchio compagno di scuola, ebreo, del quale, in un
periodo particolare della nostra giovinezza, non avevo capito perché lo
si fosse isolato. Mi ha detto, con molto affetto, che se a suo tempo
avessimo compreso la loro tragedia, sarebbero state evitate tante
bnittissime pagine di storia.
Aldo Cinti
Rilievo che fa riflettere. Fu nostra disattenzione o tradimento dei "maestri" ?
dalla rubrica Vi risponde Giulio Andreotti, Il Tempo, 17 febbraio 2009
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rassegna stampa |
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Gli articoli che compongono la rassegna di oggi sono piuttosto poveri di novità e privi di un tema unificante.
Israele Si
attende per oggi l’inizio della consultazioni di Peres per la
formazione del governo. Tutto da leggere (soffocando la rabbia) un
articolo dell’Avvenire
in cui si dice che Israele “rallenta la tregua”, “insistendo” sulla
liberazione di Shalit, mentre Hamas (sembra giustamente) “chiede” che
sia trattata a parte. Per non parlare della condizione israeliana (un
capriccio?) che i terroristi liberati nello scambio non tornino nei
territori ma vadano in Libano i in Siria. Per quanto riguarda il
conflitto di un mese fa, incominciano a emergere verità diverse da
quella propaganda palestinese che è stata l’alimento preferito dei
mezzi di comunicazione. Come riferisce Pierre Chiartano su Liberal,
una Ong non certo sospetta di simpatia per Israele come Amnesty
International ha denunciato gli omicidi e le torture di Hamas contro i
“collaborazionisti” (cioè chi non obbediva o dissentiva). Da leggere
l’articolo del Jerusalem Post
in cui si dà ragione dell’inchiesta che l’esercito Israeliano ha fatto
sui morti di Gaza, identificandoli uno per uno: il risultato è che due
terzi erano terroristi e un terzo civili (l'inverso di quel che la
stampa aveva sostenuto, secondo la propaganda di Hamas) e che nessun
civile è stato ucciso apposta. Cresce nel frattempo di nuovo la
preoccupazione per l’armamento nucleare e la capacità missilistica
dell’Iran. Ne parla un servizio del Messaggero. Sul tema dei missili, importante sul Jerusalem Post
il richiamo di Carolyn Glick al nuovo governo perché copra il buco
strategico dell’armamento israeliano sui missili a medio raggio, di cui
si sta fornendo Hezbullah e che sono al centro degli sforzi iraniani.
Il mondo arabo Molto istruttiva la recensione di Paolo della Sala (sull’Opinione)
del libro “La mezzaluna e la svastica” che racconta “la genesi
dell’antisemitismo musulmano” nelle vicende di Amin Al Husayni, Gran
Muftì di Gerusalemme, che da violento antisionista locale si trasformò
in stretto alleato dei nazisti e organizzatore di un reggimento di SS
musulmane. Agghiacciante anche il pezzo di una predica di un imam,
Galal al Katib, pubblicato sul Jerusalem Post, su come e perché picchiare la moglie.
La Chiesa Molte
notizie e commenti riguardano la vita interna della Chiesa: c’è stata
una riunione dei vescovi austriaci per protestare dopo la nomina a
vescovo di un parroco particolarmente “reazionario” e “omofobico”
(Marco Politi su Repubblica). Sul Foglio
un articolo di Piero Vietti spiega con approvazione il “vero” punto di
vista dei lefebvriani (godibili soprattutto le contorsioni verbali sul
finale per giustificare l’Inquisizione e il rifiuto della libertà:
“Fellay non ha incertezze su questo: quando si dice che la persona
umana ha il diritto della libertà religiosa, “non si considerano
situazioni concrete, anche se molto frequenti, che consiglierebbero uno
spirito permissivo e la tolleranza, al contrario, si prescinde
dai fatti concreti e si stabilisce come principio che ogni uomo ha il
diritto di permanere nell'errore secondo la propria coscienza, sia in
privato sia nella vita pubblica.” In altre parole, “altro è tollerare
l'errore e altro è assegnargli per principio la stessa dignità che ha
la verità”. A questo è collegato il discorso sulla libertà, che “non è
un assoluto , né è la possibilità di scegliersi il fine per cui si è
fatti, ma, dato che il fine ultimo di tutti gli uomini è lo stesso,
cioè la felicità, la libertà sta nella scelta dei mezzi per
raggiungerlo”. Per noi che “siamo nell’errore” non resta che augurarci
che anche i lefebvriani “buoni” restino nel loro angolo e non prendano
più spazion nella Chiesa). Interessante infine la recensiuone su Europa
di Angelo Pauluzi a un libro dello storico Hubert Wolff (“Il papa
e il diavolo”, Donzelli), che si occupa di Pacelli prima
dell’assunzione al pontificato e lo “assolve con qualche riserva”, per
citare l’organo dell’ex Margherita.
Varie Sono
stati scoperti e denunciati due degli autori dei danni ai negozi
ebraici di Roma di qualche settimana fa, firmati dalla sigla
neofascista “Militia”: com’era prevedibile si tratta di estremisti di
qual gruppo, già denunciati per altri episodi. (nelle cronache romane
del Messaggero e del Corriere) Il
governo francese è stato ritenuto responsabile anche sul piano
economico per gli atti compiuti contro gli ebrei durante il regime di
Vichy, il che apre spazio per i risarcimenti delle vittime. (Financial Times, Herald Tribune)
Ugo Volli |
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Constellation: l'arte israeliana in mostra a Roma Roma, 17 feb -
Delle
pecore dagli occhi umani dipinte da Menashe Kadishman, autentica star
dell’arte israeliana contemporanea, alle scene di vita ortodossa
raffigurate a olio e collage dalla giovane emergente Hila Karabelnikov
(nata nel 1981). Tutta la varietà e la ricchezza di sperimentazione e
di ricerca delle arti visive israeliane si riflettono in una mostra
ambiziosa curata da Miri Ben Moshe, che inaugura stasera all’Ermanno
Tedeschi Gallery di Roma (fino al 24 marzo). Si chiama Constellation e
propone per la prima volta in Italia il lavoro di 18 artisti di almeno
tre generazioni diverse, tutti residenti in Israele a tempo pieno o
parziale. Un punto di arrivo per Ermanno Tedeschi, che da anni dedica
buona parte delle sue migliori energie alla presentazione e diffusione
dell’arte contemporanea israeliana presso il pubblico italiano,
attraverso le sue tre sedi di Torino, Milano e Roma, quest’ultima
aperta da poco più di un anno. Fra le opere esposte, dipinti, tecniche
miste, sculture, fotografie e installazioni, si segnala la bellissima
installazione di Shay Frisch ottenuta da un complicato incastro di
prese di corrente; i Fiori del deserto dipinti da Tzibi Geva e le
fotografie di Shai Kremer, scattate al confine con il Libano durante la
Guerra del 2006. Constellation,
Ermanno Tedeschi Gallery, via del Portico di Ottavia 7, Roma, fino al
24 marzo. Orario: 10-13; 15-19 tranne sabato e domenica; telefono
06-45551063, www.etgallery.it (Martina Corgnati, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia Albertina di Torino)
Egitto: per Mubarak la tregua con Hamas non è sottoposta alla liberazione di Shalit
Il Cairo, 17 feb -
Secondo
quanto scrivono oggi i quotidiani egiziani, il presidente Hosni
Mubarak, durante una visita ieri in Bahrein, ha affermato che la
liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit, in mano a Hamas dal
giugno 2006, non deve essere collegata all'accordo per la tregua che
l'Egitto sta mediando tra Israele e Hamas. "L'Egitto - ha detto il rais
- non cambierà la sua posizione a proposito della tregua, la questione
del soldato israeliano Gilad Shalit è una questione separata che non
può in alcun modo essere legata ai negoziati per la tregua". La firma
di un accordo era stata annunciata da fonti egiziane per domenica o per
lunedì sera, ma ieri da Israele è arrivata la richiesta di posporre di
alcuni giorni la possibilità della firma, mentre filtrava la notizia
che per il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, la liberazione di
Shalit è prioritaria rispetto alla tregua e alla riapertura dei
valichi. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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