se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
|
|
L'Unione informa |
|
|
|
23 febbraio 2009 - 29 Shevat 5769 |
|
|
|
| |
|
alef/tav |
|
|
|
|
|
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Rav
Benedetto Carucci Viterbi ieri ha ricordato una delle "frasi chiave"
dell'esperienza religiosa ebraica, che compare alla fine della lettura
della Torà fatta questo Sabato: "faremo e ascolteremo". Frase
"gettonatissima" da ogni Maestro, che la usa per dimostrare come la
dimensione dell'agire sia essenziale nella nostra esperienza, che pure
dà enorme importanza all'aspetto intellettuale. Per aggiungere un
ulteriore dato alla comprensione di questa frase, propongo una
stimolante riflessione tradizionale sulle parole e le radici verbali
che la formano. "Faremo e ascolteremo" in ebraico è na'asè wenishma'.
La prima parole deriva dalla radice 'sh, la seconda dalla radice shm'.
Sono le stesse radici che compaiono nei nomi di 'Esav e Ishma'el,
fratelli dei patriarchi Yaacov e Izchaq, patriarchi anche loro dei
popoli abramitici non ebraici. Come a dire che proprio nell'espressione
che dovrebbe più caratterizzare la forma dell'identità ebraica sono
compresi i nomi dei fratelli/antagonisti di Israele. |
|
Mentre
le bombe ferivano ieri in Egitto la politica mediatrice di Mubarak, una
bella riflessione di Bernard-Henri Lévy ricordava sul Corriere un
anniversario obliato dai più, quello della fatwa che esattamente
vent'anni fa fu emanata contro i Versi Satanici di Ruschdie. Per il
filosofo francese, fu un momento cruciale per la nostra storia, quello
della nascita dell'islamofascismo e della fine dell'eredità
illuminista. Quello in cui la parola tolleranza cambiò significato, e
divenne legittimazione a mettere sullo stesso piano vittime e
carnefici, a uguagliare a quella di uguaglianza l'idea di sottomissione
della donna, a quella di libertà di cambiare fede quella di apostasia,
e via discorrendo, in una deriva di cui percepiamo i funesti
significati anche nella nostra società occidentale, nella crisi di
alcune idee chiare e distinte, come quella della mediazione politica,
della libertà di coscienza, della separazione dei poteri. Lo spirito
dell'illuminismo è davvero morto? E dove e quando è cominciato il suo
declino? Certo, si può e si deve tornare molto più indietro, ma è vero
che, a considerare solo gli anni del secondo Novecento, quella
fatwa del 1989 ha rappresentato una svolta nei nostri comportamenti,
nelle nostre opinioni accettate, nelle nostre paure inconfessate. E
vorrei ricordare, perché poco se ne parla ormai, che i sicari di
Khomeini non sono riusciti a colpire Ruschdie ma sono riusciti ad
assassinare, nel 1991, il suo traduttore giapponese, a pugnalare quello
italiano e a ferire gravemente il suo editore norvegese. Come a dire
che chiunque appoggi un apostata o un bestemmiatore e ne difenda la
libertà è a sua volta un condannato a morte. |
Anna Foa,
storica |
|
|
|
|
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
I misteri del "Prefisso di Dio", Buenos Aires e un'emozione speciale. Aspettando Gilad
Magia dei numeri e incanto della presenza ebraica nelle città del mondo. L'affascinante libro di Francesca Bellino
(nell'immagine a fianco) di cui parliamo oggi (dedicato a Once,
l'undicesimo distretto di Buenos Aires che pulsa di vita ebraica) e il
ricorrere di una cifra che la stessa autrice si prende la libertà
letteraria di definire "il prefisso di Dio", ha fatto riemergere dagli
appunti un prezioso messaggio ricevuto da Sergio Della Pergola alcune settimane fa. Avrebbe
dovuto essere pubblicato allora e condiviso con tutti i lettori, oltre
che essere considerato un dono di amicizia da parte dell'autore. Mi
scuso con i lettori se così, per un errore, non è stato. Ma riferendosi
alla prigionia di Gilad Shalit
(il militare israeliano rapito da terroristi islamici), una sofferenza
indicibile lunga allora 911 giorni e oggi quasi mille, ha conservato un
significato profondo, doloroso e sempre vivo nel cuore di tutti.
Qualunque sia il numero del giorno assegnato alla liberazione di Gilad,
voglia Hashem che questo momento felice venga al più presto. Ma se la
nostra attesa dovesse malauguratamente prolungarsi, nessun numero, per
quanto grande, potrà mai mettere da un canto le sofferenze di questo
ragazzo, della sua famiglia e di tutti coloro che lo attendono. Nessun
numero potrà spegnere la nostra attesa di vederlo libero. Ecco il testo del messaggio di Sergio Della Pergola: "Negli
Stati Uniti, il numero di telefono del pronto soccorso è 911. Il
mega-attacco terroristico dell’11 settembre 2001, con la forma
americana della data, è noto come 9-11. Oggi, 22 dicembre 2008, sono
911 giorni da quando il soldato Gilad Shalit è stato sequestrato in
territorio israeliano da terroristi palestinesi". g.v.
Un libro
nato per caso, il cui messaggio è l'invito a conoscere
l'Altro, attraverso i quartieri della città di Buenos Aires,
modello di società basato sull'integrazione e sulla diversità,
dove tutte le culture, convivendo, mantengono le proprie prerogative. "Viaggio
sempre per raccontare i posti che vedo" dice Francesca Bellino,
giornalista, reporter di viaggio e autrice televisiva,
che collabora con numerose testate quotidiane e periodiche, tra cui Il Mattino, Il Foglio, Il Venerdì, Viaggi e D de La Repubblica autrice de Il prefisso di Dio,
un libro difficile da definire, a metà fra un reportage di viaggio, un
saggio e un romanzo, nessuna di queste cose completamente eppure tutte
e tre assieme. "Un imprevisto è l'unica speranza per il successo
di un viaggio" dice l'autrice nell'apertura del libro e l'imprevisto
della Bellino in questo viaggio a Buenos Aires "si chiama Undici" o
Once. Ma che cos'è Once? Once è il vecchio quartiere ebraico di
Buenos Aires, una zona situata attorno all'incrocio tra le vie
Corrientes e Pueyrredón, dal nome della stazione Once de Septiembre
che si trova nei pressi di Plaza Miserere. L'11 settembre a cui è
intitolata la stazione, è il giorno del 1852 in cui avvenne la rivolta
della provincia di Buenos Aires contro il governo federale. E' un
quartiere affascinante, pieno di energia vitale, creatività e ricerche
che l'autrice percorre nel tentativo di trovare l'undicesimo
Comandamento e dove la città le offre un regalo: "l'invito a giocare
contemporaneamente a nascondino e a caccia al tesoro in un contesto in
cui la cosa da cui nascondersi e quella da cercare" coincidono.
Nel
tuo libro tutto ruota attorno al “quartiere fantasma” Once. Come
definiresti Once e che rapporto c’è tra il quartiere, la gente che in
esso vive e la città di Buenos Aires?
Once per me simboleggia l’Aleph
di Borges «uno di quei punti dello spazio che contiene tutti i punti.
Il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della
terra, visti da tutti gli angoli». Anche se per molti porteños
– così sono chiamati gli abitanti di Buenos Aires – Once è solo un
luogo di passaggio per raggiungere altri posti perché lì si trova una
grande stazione, per me questo quartiere invece ha rappresentato il
centro del labirinto che può portare alla conoscenza di se stesso e
degli altri perché vi confluisce tutto e la sua atmosfera stimola al
confronto con i propri limiti e con le differenze delle culture di
altre comunità. A Once coabitano pacificamente ebrei, boliviani,
peruviani, coreani, oltre a immigrati di origine italiana e spagnola.
Once è considerato un quartiere fantasma perché non compare sulle mappe
della città. Una delle sfide che la protagonista compie in questo
viaggio di ricerca, infatti, consiste proprio nel trovare i confini di
un quartiere che non esiste - conosciuto ufficialmente con il nome di
Balvanera - eppure scenario di importanti pagine di storia della città
di Buenos Aires, dalla nascita del tango, ai grandi flussi immigratori
da fino ‘800 fino, dalla concentrazione di prostituzione ai primi
attentati terroristici in America Latina negli Anni ’90, all’ambasciata
d’Israele e all’Amia, fino alla tragica morte di 194 ragazzi nella
discoteca Cromañon nel 2004, fotografia dell’Argentina di oggi:
corruzione, insicurezza e normalizzazione del
pericolo.
Once
ha dato i natali ad alcuni tra i più grandi rappresentanti della
cultura e delle arti non solo dell’intera Argentina ma di tutto il
mondo. C’è una spiegazione, secondo te, o è solo un caso?
È
vero, molte figure rappresentative dell’Argentina nel mondo sono nate o
vissute a Once, come gli autori di tango Julio De Caro, José Razzano,
Alberto Castillo, il maestro d’orchestra Daniel Barenboim, fondatore
della West-Eastern Divan Orchestra
che riunisce giovani musicisti d’Israele e dei Paesi arabi, lo
scienziato, medico e fisiologo Bernardo Alberto Houssay che vince il
Nobel per la medicina nel 1947. Vi è nato e ancora ci vive e ci lavora
anche uno degli scrittori ebrei più apprezzati della nuova generazione
Marcelo Birmajer e si racconta che lo stesso Carlos Gardel, il grande
mito del tango, abbia trascorso la sua infanzia tra le strade di Once,
come è successo anche al maestro Luis Bacalov, autore della prefazione
de “Il prefisso di Dio”, nato in un quartiere vicino, Villa Crespo. Una
spiegazione? Ho sempre pensato che niente succeda a caso, come «ogni
incontro casuale è appuntamento», come ci ricorda Borges. Probabilmente
la convivenza di culture diverse e la possibilità di dialogare con il
“diverso” aiutano a guardare il mondo in maniera più ampia e a
sviluppare potenzialità, aspettative e creatività con maggior coraggio,
libertà e determinazione.
La tua ricerca dell’undicesimo Comandamento – uno degli assi portanti del tuo libro – alla fine ha dato frutti?
Tanti.
Come dice uno dei personaggi del libro «ogni passo è la meta». E’ più
importante il cammino che si compie per raggiungere il traguardo o per
trovare l’oggetto desiderato che l’arrivo o il ritrovamento in sé. Il
libro, che fonde il linguaggio del saggio, del reportage e del romanzo,
racconta i passi che compie la protagonista per imparare a
confrontarsi, a dialogare e a rispettare l’Altro. Il mio augurio è che
anche i lettori facciano lo stesso viaggio percorrendo le pagine del
libro ponendosi delle domande sulla propria vita. L’invito che mi
piacerebbe arrivasse a chi leggerà “Il prefisso di Dio”, infatti, è
quello di cercare, ognuno sulla sua strada, un undicesimo Comandamento
valido per tutte le religioni, una legge inedita da usare nelle nuove
società plurali che, come in Italia, in tante nazioni stentano a
funzionare.
Perché un turista dovrebbe visitare Once? Da quali suggestioni dovrebbe (o potrebbe) farsi guidare?
Once
non è affatto un luogo turistico, non ci sono attrattive, è un luogo
assolutamente anonimo, ma sicuramente può essere interessante
passeggiare su una delle sue strade tematiche colme di prodotti
variopinti ed economici, o attraversare plaza Miserere dove tante
persone si dimenano in attività di ogni tipo e osservare come a Buenos
Aires è assolutamente normale costruire una sinagoga a fianco a una
chiesa cattolica gremita di fedeli in cerca di un miracolo e vedere
persone di religioni diverse correre a compiere il proprio rito o
preghiera senza inibizioni, vergogne o paure. Non c’è bisogno di andare
a Once, però, per imparare ad ascoltare l’Altro e apprezzarne le
differenze. Lo si può fare anche a Piazza Vittorio a Roma.
Lucilla Efrati |
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
La grande lezione degli schiavi che hanno messo la libertà al mondo
Per
i filosofi tedeschi Hegel e Nietzsche l’ebraismo rappresenta una
religione e una morale da schiavi, fatta cioè da schiavi per gli
schiavi. Nietzsche arrivò a pensare che nel mondo europeo, in cui la
schiavitù era ormai venuta meno, sarebbe stato necessario ripristinarla
per consentire l’edificazione del “superuomo” germanico che avrebbe
dovuto infine dominare sui popoli slavi (fra l’altro: slavum nel latino
medievale vuol dire schiavo). E i nazisti lo presero alla lettera. Ma
forse Hegel e Nietzsche non avevano poi torto. Perché nei documenti
dell’antichità si parla della schiavitù, ma sempre dal punto di vista
dei dominatori. Con vanto e orgoglio vengono enumerati i prigionieri
catturati dal re di turno; con spietata precisione vengono descritte le
terribili pene inflitte allo schiavo ribelle. Lo schiavo non è una
persona, ma una cosa; è proprietà del padrone. Per Aristotele - che qui
fa testo - gli schiavi possiedono forse ragione, ma non la esercitano
in modo attivo e non sono in grado di riflettere. Ci vuol poco poi a
identificare gli schiavi per natura: sono i non-greci, i popoli altri,
gli stranieri. La
Torah è dunque la grande eccezione. Il “codice”
ebraico ha inizio con l’emancipazione degli schiavi. Come lo schiavo
riposa al settimo giorno, così dopo aver lavorato sei anni, al settimo
dovrà essere liberato (Es 21, 1-2). Il “codice” è scritto per gli
schiavi da coloro che furono schiavi e che, nel ricordo della loro
schiavitù, non renderanno schiavi altri - né ebrei né stranieri. È
questa la regola aurea a cui Israele sarà misurato. Ma c’è di più: il
ricordo non riguarda solo la schiavitù opprimente dell’Egitto, ma anche
l’esodo, la liberazione. Su questo insisteranno i profeti (Ger 34, 17).
Quell’evento che sembrava e sembra impossibile, la liberazione, è
invece possibile. Il popolo ebraico lo ha sperimentato e perciò è
chiamato a testimoniarlo. La Torah è scritta da schiavi liberati che,
con la loro stessa esistenza, porteranno la liberazione nella storia. A
meno di non voler tradire questa vocazione, il popolo ebraico sarà
sempre la negazione ostinata dell’ordine privo di riguardi per il
debole, senza pietà per il vinto. La sua storia si intreccia con la
storia dell’emancipazione degli oppressi – la indirizza, la anima, la
sostanzia. Ci possono essere dubbi sulla sua “parte” politica?
Dissidenza originaria, Israele sarà sempre accanto ai lavoratori, ai
perseguitati, agli stranieri.
Donatella Di Cesare, filosofa |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Due notizie dominano la rassegna, e una terza si profila minacciosa sotto traccia. La prima notizia (Alberto Stabile su Repubblica, Francesco Battistini sul Corriere)
è l’apertura delle consultazioni del nuovo governo israeliano con
l’incontro fra il premier designato Netanyahu e Tzipi Livni. Il leader
del Likud sarebbe molto interessato a un governo di unità nazionale,
per non dipendere dai partiti e partitini alla sua destra; avrebbe
dunque offerto a Kadima di entrare nel governo con pari dignità del
Likud, parecchi ministeri e una voce influente sulle politiche
generali. Livni avrebbe rifiutato, ma starebbe subendo la pressione di
molti suoi parlamentari, oltre che quella del presidente Peres, per
ritornare sulla sua posizione. Sul tema, è interessante l’analisi di
Fiamma Nirenstein sul Giornale. Siamo solo all’inizio di una trattativa complessa e forse non priva di colpi di scena. La seconda notizia (Elena Dusi su Repubblica)
è l’attentato del Cairo, che è costato la vita a due turisti e ne ha
feriti parecchi altri. Voci insistenti attribuiscono ai palestinesi
irritati per la mediazione del Cairo la responsabilità della bomba. Non
è certamente impossibile, per l’intimo legame fra la Fratellanza
Islamica, principale forza islamista in Egitto e Hamas; del resto anche
gli attentati degli scorsi anni ai luoghi di vacanza sul Mar Rosso sono
stati eseguiti da beduini del Sinai, gli stessi che organizzano il
contrabbando di armi a Gaza. Ma se si vuole inoltrarsi in un vero e
proprio pezzo di fantastoria, può essere divertente leggere l’analisi
di Guido Rampoldi su Repubblica:
si sostiene fra l’altro che Israele e Hamas sarebbero stati d’accordo
per fare la guerra a Gaza, al fine di costringere l’Egitto a farsi
carico della Striscia, ma Mubarak resiste. Il definitiva “La guerra di
Gaza non è finita”. La notizia semitaciuta sullo sfondo è il conto
alla rovescia verso l’atomica iraniana, con il salto qualitativo
dell’apertura della centrale atomica di Bushehr (notizia su Repubblica).
I progressi del progetto iraniano dimostrano che “Europa, Russia e Cina
hanno rinunciato alla loro responsabilità” e “l’amministrazione Obama
dopo 35 giorni di governo, sembra meno interessata di chiunque altro a
fermare l’Iran” (editoriale non firmato sul Jerusalem Post).
Anche se è vero che in Iran gli ebrei si sentono tranquilli, e magari
sostengono anche il diritto dell’Iran al nucleare come racconta Roger
Cohen sullo Herald Tribune,
resta il fatto che questo riarmo accade in una situazione in cui
l’antisemitismo si caratterizza col passaggio dal progetto di un mondo
“judenrein” (senza ebrei) a un mondo “judenstaatrein” (senza stato
ebraico), come scrive Irvin Cottler sul Jerusalem Post. Fra le varie, abbastanza numerose, molto interessante l’analisi di Yoram Ettinger sul Jerusalem Post,
secondo cui il distacco demografico e di età fra popolazione araba ed
ebraica di Israele si starebbe assottigliando, col risultato di
disinnescare o allontanare i rischi della “bomba demografica” che
minaccia la maggioranza ebraica della popolazione. Veramente acrobatica
la minimizzazione di Sergio Romano sul Corriere
dello Statuto di Hamas che non solo non riconosce l’esistenza di
Israele (come accadde anche all’Italia nel 1861 e alla Russia dopo la
rivoluzione d’Ottobre, come sostiene il flemmatico ex ambasciatore), ma
stabilisce il compito politico della distruzione dello Stato di
Israele, il che forse è un po’ più grave. Significativa la protesta
degli ebrei tedeschi contro la visita in Iran dell’ex cancelliere
Schroeder (Judy Dempsey sullo Herald Tribune). Controversa ma acuta l’analisi della cultura dei vertici di Tzahal e dei suoi rischi, proposta da Amos Harel su Haaretz.
Sullo stesso giornale, da leggere l'editoriale non firmato sulla
difesa della satira contro le pressioni vaticane per la trasmissione
comica che ha coinvolto la figura di Maria e di Gesù: secondo il
giornale Olmert non doveva scusarsi né tantomeno far chiudere la
trasmissione.
Ugo Volli |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Embargo armi: Israele e il rapporto di Amnesty International Gerusalemme, 23 feb - Israele respinge seccamente il rapporto di Amnesty International. L'organizzazione
umanitaria Amnesty International ha chiesto alle Nazioni Unite di
decretare un embargo "totale" sulla fornitura di armi a Israele e al
movimento integralista palestinese Hamas, entrambi accusati di "crimini
di guerra" nel recente conflitto nella Striscia di Gaza. Un
portavoce del ministro degli Esteri sulla questione ha dichiarato:
”Questo rapporto ignora che Hamas è un'organizzazione terroristica,
come riconosciuto dell'Unione europea, dagli Stati Uniti e da altri
Paesi, che si rifiuta di riconoscere Israele, respinge ogni occasione
di pace e anela piuttosto alla sua distruzione". Per Israele il rapporto ignora l'uso deliberato da parte di Hamas di civili come scudi umani. Il
portavoce tiene a sottolineare anche la mancata considerazione del
fatto che Hamas abbia sparato, nel corso degli anni, migliaia di razzi
contro il territorio israeliano, mentre Israele non ha mai colpito
intenzionalmente obiettivi civili. Ma sopratutto, ha aggiunto, che le
armi utilizzate dalle forze armate israeliane rientrano nel diritto
internazionale e sono utilizzate da altri eserciti occidentali.
L'accostamento delle forniture di armi per Israele e per Hamas appare
al portavoce del tutto "inappropriato". "Israele è uno Stato sovrano,
costretto a ricorrere alla forza per proteggere i propri civili". Il portavoce ha così concluso: "E' forse possibile fare paragoni tra le armi utilizzate da al-Qaida e quelle delle Nato ?"
Ehud Barak: "laburisti all'opposizione" Gerusalemme, 23 feb - “La
volontà degli elettori è che i laburisti passino all'opposizione. Là
andremo” - questa la dichiarazione rilasciata da Ehud Barak al termine
di un incontro con il premier designato, Benjamin Netanyahu. Quest'ultimo
invece ha dichiarato che cercherà ancora di convincere la leader di
Kadima Tzipi Livni e Barak a dar vita con lui a un governo allargato. |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|