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L'Unione informa
 
    25 febbraio 2009 - 1 Adar 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Arbib Alfonso Arbib,
rabbino capo
di Milano
La parashà di Mishpatìm contiene un elevato numero di norme riguardanti i rapporti tra persone e, in particolare, i danni fisici, economici, morali) procurati al prossimo. In un passo del Talmud è scritto che chi vuole essere particolarmente religioso deve occuparsi dei danni, cioè studiare queste regole e stare attento a non procurare danni al prossimo. Questo passo talmudico contiene due insegnamenti importanti. 1) Nella religione ebraica è fondamentale non solo il rapporto con Dio ma anche quello con il prossimo. 2) Nei rapporti con il prossimo ci sono alcuni insegnamenti positivi della Torà, come per esempio l'amore verso il prossimo, che sono apparentemente molto più importanti del divieto di procurare danni. Rav Shlomo Aviner sostiene però che non sempre è così. A volte i sentimenti di amore verso il prossimo si riducono a enunciazione astratta e, anche quando si risolvono in comportamenti concreti, non di rado si tratta di comportamenti interessati. Lo sforzo di non danneggiare gli altri, oltre a essere alla base della convivenza tra esseri umani, richiede un grande senso di responsabilità, una capacità di mettere continuamente in discussione il proprio comportamento (a volte si possono procurare danni anche pensando di fare del bene) e, in ogni caso, si tratta di un comportamento disinteressato. Nessuno ci loderà per non aver danneggiato il prossimo. 
La soap opera del momento in Nordamerica e' "Being Erica" la cui protagonista e' un'avvenente 32enne, simpatica, ragazza ebrea di Toronto. Non e' religiosa ma ha una forte identita' ebraica, attraversa le sue crisi e si ritrova disoccupata, senza piu' partner a corteggiarla e senza piani per il futuro. Un analista la aiuta a identificare la radice dei suoi problemi nel senso di colpa accumulato dal proprio bat mitzwa', quando fuggi' senza motivo dalla festa tanto premurosamente preparata dai genitori. Per espiare sceglie di inziare a osservare il digiuno di Kippur. Cosi' l'erede televisivo di "Sex and the City" diventa kosher.  Maurizio Molinari,
giornalista
maurizio molinari  
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  vercelli Beni da salvare 8 - La sinagoga di Vercelli
esempio tangibile dell'emancipazione ebraica


Ha affrontato in macchina la tormenta di neve per arrivare da casa sua, in provincia di Novara, a Vercelli l’instancabile presidente della comunità, Rossella Bottini Treves. Non voleva mancare all’appuntamento con Sorgente di Vita per  raccontare la storia del restauro del tempio. Una storia che va avanti da molti anni, e che lei ha preso molto a cuore.
“Fino a qualche anno fa la sinagoga era in condizioni disastrose: i pochissimi ebrei di Vercelli non riuscivano più a  mantenerla. Quasi abbandonata, le vetrate si erano rotte e l’acqua, il vento e i piccioni avevano causato danni gravissimi alle volte e alle decorazioni”. Presidente dal  2003 Rossella Bottini Treves non si è scoraggiata: ha cercato, e ottenuto, con  il sostegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, vari finanziamenti e piano piano ha dato inizio ai restauri. L’obiettivo è quello di restituire la sinagoga alla città come sede di attività culturali per tutti.
Primo risultato è stato, nel 2004, il restauro delle vetrate,  tornate allo splendore di un tempo grazie al contributo del Comune e di alcune fondazioni bancarie. Diventata più accogliente, da allora la sinagoga è  meta di visita da parte dei ragazzi delle scuole, che vengono accolti da una giovane guida pronta a dare spiegazioni sulle tradizioni, sulle feste ebraiche e sulla storia della comunità e della sinagoga.

vercelli internoInaugurato nel 1878 il tempio di Vercelli è un tipico esempio architettonico del periodo dell’emancipazione. L’idea iniziale fu  di Marco Treves, architetto vercellese che lavorò a  Parigi, progettò le sinagoghe di Pisa e di Firenze e fece parte della commissione che scelse il progetto per il tempio di Torino. I lavori furono realizzati però da Giuseppe Locarni che assecondò lo slancio di ottimismo degli ebrei di Vercelli che vollero  un edificio grande, bello e molto visibile, già allora sovradimensionato per la comunità locale che a quell’epoca contava circa 600 anime: la sinagoga doveva essere  un monumento tangibile di libertà e di progresso, per dimenticare l’epoca del ghetto. Solo trenta anni prima infatti, nel 1848,  gli ebrei piemontesi avevano ottenuto l’uguaglianza dei diritti con le Regie Patenti del re Carlo Alberto. Prima, fin dal 1727 , erano stati costretti a vivere nei  ghetti.
Il risultato fu un grandioso edificio in stile eclettico con richiami moreschi, illuminato da  vetrate colorate e da un  lucernario sulla  cupola. Il matroneo corre sopra alle navate laterali: le volte sono decorate da un cielo di stelle sui toni dell’azzurro, ma la pittura è purtroppo molto deteriorata.
“In questa sinagoga “ spiega Rossella Bottini Treves “sono già stati fatti restauri importanti sulle strutture lignee, in particolare sui banchi e sull’aron ha-kodesh, l’armadio che contiene i rotoli della Legge”. Quest’ultimo è stato oggetto di un accurato lavoro di ripristino, grazie al sostegno di una fondazione bancaria. Pulite le parti lignee, lucidate le formelle che riproducono simboli ebraici e oggetti rituali, oggi se ne può apprezzare tutta la bellezza.
Un altro intervento di restauro nell’antica abitazione del rabbino, adiacente alla sinagoga, ha dato una sede appropriata all’archivio storico della comunità di Vercelli che conserva documenti risalenti al 1500. Grazie a un sostegno della regione Piemonte e a fondi provenienti dall’ 8 per mille dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è stato avviato anche il riordino dell’archivio.
Oggetti di culto, lampade, rotoli della Legge sono oggi esposti in uno spazio  didattico-museale  realizzato recentemente grazie a una prima trance di  60.000 euro, finanziati con la legge 175. E’ un percorso  a disposizione delle scolaresche che  arrivano numerose durante la settimana e di tutti i cittadini che  possono visitare  la sinagoga la domenica pomeriggio. “C’è ancora bisogno di molto lavoro, perché la sinagoga è molto grande, è una delle cinque più grandi d’Italia” aggiunge la presidente, in attesa del rimborso di 190.000 euro, già spesi,  che però tardano ad arrivare.
“I finanziamenti della 175” conclude Rossella Bottini Treves “dovrebbero consentirci di andare avanti con i lavori più importanti, la ristrutturazione del matroneo e l’impianto di illuminazione per poter utilizzare appieno la sinagoga come luogo di culto ma anche per permetterne la fruibilità per le scolaresche e per il pubblico che chiede di visitare i luoghi ebraici”.

Piera Di Segni
 
 
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  scholemL'anticonformismo di Gershom Scholem
e il difficile rapporto con la mistica ebraica

Gershom Scholem (nella foto a fianco)è stato l’intellettuale ebraico che ha avuto più autorità, in tutto il Novecento, colui che è stato essenziale rendere un legittimo oggetto di studio accademico tutta la tradizione ebraica, anche quella meno ortodossa e meno omologata a una idea “benpensante” di religione nel senso occidentale e soprattutto protestante del termine. Oggi è difficile rendersi conto, quando leggiamo scritti sulla Kabbalah o sugli strati più profondi e segreti del pensiero ebraico, che questi temi erano non solo sottaciuti, ma attivamente censurati dalla grande tradizione ottocentesca della “scienza dell’ebraismo” e lasciati alle pratiche, anch’esse sopportate con qualche vergogna, dell’ebraismo chassidico “orientale” o di quello sefardita ancora meno noto. La competenza filologica, l’immensa cultura, la capacità di Scholem di trattare in maniera ostentatamente distaccata e “oggettiva” temi scottanti come le ondate (pseudo)messianiche di Shabbatai Zvi o le pratiche teurgiche di certe correnti della Kabbalah (per esempio Abulafia), le ha trasformate in oggetti storici interessanti e legittimi anche  al di là del mondo ebraico. Nessuno potrebbe pensare, dopo la sua opera, alla cultura ebraica nei termini consueti fino a un secolo fa, come un confuso e “arcaico” ammasso di riti e regole privo di rilevanza teologica e in definitiva di senso. Dopo la morte di Scholem il suo lavoro è stato naturalmente oggetto di revisione, le sue interpretazioni sono discusse e magari contraddette su singoli punti; sono sorti altri grandi studiosi come Moshé Idel; ma nessuno nega la legittimità della sua mossa fondamentale di prendere la mistica ebraica come uno dei grandi temi del pensiero di Israele, alla pari del pensiero filosofico influenzato dalla tradizione greco-araba o di quello alakhico/talmudico.

Scholem libroAll’ombra del monumento di questa straordinaria impresa intellettuale, noi oggi rischiamo però di darla per scontata, dimenticando il suo carattere costruttivo, ma anche polemico e perfino scandaloso. Per aiutarci a non perdere questa dimensione antagonistica e innovatrice, che è stata fondamentale nell’opera di Scholem come lui stesso ha talvolta riconosciuto, ci aiuta l’ultimo bellissimo volume di scritti raccolti da Adelphi sotto il titolo L’idea messianica nell’ebraismo e altri saggi sulla spiritualità ebraica (a cura di Roberto Donatoni e Elisabetta Zevi, pp. 388, 34 euro).

Che la costruzione di una storia del pensiero ebraico - nel senso ampio che oggi diamo per scontato - fosse un gesto polemico mirante all’autodefinizione dell’ebraismo in una stretta storica centrale per la sua esistenza e non solo un interesse filologico antiquario, lo vediamo per esempio dai saggi sugli autori della scienza dell’ebraismo e sull’opera di Martin Buber, in cui Scholem, pur riconoscendo i meriti di questi autori, chiarisce perfettamente la differenza del suo approccio. Zunz, Steinschneider e gli altri autori della Wissenschaft des Judentums appaiono a Scholem meritori per il loro lavoro di precisazione della storia ebraica, per la difesa che ne fanno nel momento dell’insediamento ebraico nella società occidentale, ma del tutto inconsapevoli e sostanzialmente chiusi alla reale complessità del pensiero ebraico tradizionale e disinteressati o perfino ostili alla sorte di Israele come popolo: in definitiva intenti programmaticamente a “dare una degna sepoltura” alla grande ricchezza culturale della tradizione ebraica, come Scholem riferisce con trattenuta indignazione.
Buber ha per Scholem il merito di aver presentato all’Occidente il chassidismo, ma il torto di averne visto solo il lato aneddotico o “esistenziale”, ignorando la continuità di pensiero con la Kabbalah e i rapporti (antagonistici ma stretti) con lo pseudo-messianesimo di Zvi e Frank.  Il saggio sulla devequt (o “comunione con Dio”) nella prima generazione chassidica è un bellissimo esempio del diverso approccio che Scholem ha nei confronti del Baal Shem Tov e dei suoi continuatori: non pittoreschi maestri di saggezza e di pietà ebraica, da guardare come una sorta di enigmatici maestri zen, ma pensatori sottili, innovatori di quel grande edificio che è la riflessione ebraica sui rapporti con il divino.
L’interesse di Scholem va a tutto ciò che esprime questo interesse teologico o metafisico, soprattutto dove questo interesse diventa scommessa estrema, anticonvenzionale, rottura dell’ebraismo perbenistico dell’assimilazione. Al centro di questo “estremismo teologico” che affascina Scholem, fin dai tempi della Kabbalah luriana è la funzione di redenzione pubblica attribuita al messia: un’idea del tutto opposta al regno “interiore” del messia cristiano. Di questa funzione pubblica del messianesimo ebraico Scholem ricostruisce le oscillazioni più recenti in una serie di saggi magistrali, dall’esaltazione cabbalistica alla “neutralizzazione” chassidica. Questo interesse per le manifestazioni messianiche si estende ben al di là della teologia delle “scintille” da recuperare e delle “bucce” da neutralizzare. Ritroviamo in questi saggi la figura di Shabbatai Zvi, cui Scholem ha dedicato un grande libro ben noto anche in Italia, e soprattutto leggiamo una serie di studi sugli esiti antinomici della sua esperienza estrema: da un lato il frankismo e la sua teoria di una “redenzione attraverso il peccato” (che secondo Scolem influenza, magari a contrario, tutti i maggiori momenti successivi di pensiero ebraico, dal chassidismo alla askalà fino al sionismo) e dall’altro per le manifestazioni di marranesimo volontario come quella della setta doenme, che prolungando l’ambigua conversione di Shabbatai Zvi all’Islam continuò a esistere semiclandestinamente almeno fino al 1950 in tutto l’ambiente turco, a partire dal suo insediamento originario di Salonicco. Scholem non esprime giudizi su questi percorsi, ma li ricostruisce con evidente passione; mentre dimostra un evidente fastidio per i tentativi “borghesi” di rifondare l’ortodossia ebraica facendo a meno della metafisica cabbalistica e non solo dell’anitinomismo messianico. Si capisce bene come ancor più di un fenomeno accademico come la “scienza dell’ebraismo”, la sua bestia nera sia Samson Rafael Hirsch, il fondatore della moderna ortodossia da cui dipende larga parte dell’ebraismo contemporaneo come si pratica in Europa occidentale. Scholem gli dedica alcuni giudizi sprezzanti, come è raro leggerne per una personalità così rilevante.
Il volume è completato da qualche saggio curioso, da cui emerge ancora l’anticonformismo di Scholem, come quello dedicati con ammirazione molto critica alla traduzione della Bibbia di Rosenzweig e Buber, l’altro in cui si discute con altrettanto reverente distacco del capolavoro filosofico di Rosenzweig, La stella della redenzione e soprattutto quello in cui si ricostruiscono le vicende del simbolo che noi oggi chiamiamo maghen David e trattiamo come se fosse da sempre il grafema ebraico per eccellenza. Scholem ha buon gioco nello smentire questa ingenua adesione, mostrando che l’affermazione della stella a sei punte come simbolo dell’ebraismo non è più antica dell’Ottocento e che la sua origine è magica, non religiosa.

Ugo Volli
 
 
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Non fatti clamorosi ma analisi interessanti sui giornali di stamattina. Analisi complesse in una fase assai delicata degli equilibri mondiali, resa vieppiù precaria dalla crisi economica planetaria i cui effetti cominciano a manifestarsi ovunque. Analisi che talvolta paiono preludere in modo inquietante a disgregazioni politiche e a nuove guerre catastrofiche che speriamo restino solo nelle previsioni dei politologi.
Due sono le introspezioni politiche particolarmente penetranti. La prima è quella di Niall Ferguson sul Corriere della sera per la rubrica “Geopolitica – Paesi instabili”. Con un esame suggestivo e un po’ allarmante lo studioso, cogliendo paralleli e diversità rispetto al Novecento su cui ha scritto pagine importanti come “La guerra del mondo”, parla di un nuovo “asse del caos” come settore di Paesi altamente instabili. Un asse diverso e più imprevedibile rispetto a quello disegnato sette anni fa da Bush come “asse del male”. Un assai esteso club di paesi a rischio e rischiosi per il mondo intero, in cui il fattore pericolo è legato - come ma anche diversamente rispetto al secolo XX° - a tensioni inter-etniche, a instabilità economica, a declino di imperi e sfaldamento delle loro strutture. In questo magma di crisi mondiale, che Ferguson passa in rassegna nelle sue varie  aree – composite e interconnesse, posto centrale spetta all’incertissimo Medio Oriente, dove a un Afghanistan e a un Pakistan sull’orlo del collasso e a un Iran pericolosamente indirizzato al dominio regionale con l’arma atomica si affianca l’incancrenita situazione israelo-palestinese. La guerra di Gaza, per Ferguson (e non solo per lui), per quanto giustificabile ha portato a Israele più problemi che soluzioni: avversione dell’opinione pubblica mondiale, Hamas sempre forte sul territorio, popolazione locale sempre più radicalmente nemica. Su ogni aspetto del caos mondiale grava oggi, a rendere il pericolo davvero concreto, la crisi economica mondiale, che fa da acceleratore di ogni processo disgregativo. Il guaio è, conclude lo storico, che tutte le nazioni sono troppo prese dai problemi interni (e come potrebbe essere diversamente?) per sollevare lo sguardo alla situazione planetaria che le coinvolge complessivamente.
La seconda analisi approfondita, più centrata sullo scacchiere mediorientale, è quella di Ghassan Charbel su Liberal. Tutti stiamo “aspettando Barak”, ma la situazione che Obama si trova a fronteggiare pare davvero proibitiva. I rapporti tra Israele e i suoi vicini (i palestinesi, il Libano, la Siria) sembrano tutti quanti un riflesso locale della più grande sfida con l’Iran ormai quasi nucleare di Ahmadinejad; le tensioni della regione paiono così destinate a crescere, in funzione della crescita della minaccia iraniana. Intanto, il “fattore Netanyahu” che si profila per Israele renderà le cose più difficili, perché il suo governo – se riuscirà a farlo – sarà tutto in funzione di emergenza anti-iraniana e per niente proiettato verso una vera pace con i palestinesi. Può darsi, ma è innegabile che il pericolo, l’incertezza futura per Israele arrivano da Teheran; ed è dunque inevitabile che la politica del domani guardi soprattutto a quel grande rischio, più che a uno zoppicante processo di pace con l’ANP. Però è anche vero che la politica non la si fa pensando solo al domani immediato e incerto, ma la si prepara provvedendo al dopodomani, a futuro prossimo e lontano. E allora i rapporti con i vicini di casa diventano assolutamente decisivi.
Dai due articoli-panorama o articoli-periscopio zoomiamo all’interno della situazione politica israeliana, dove, mentre i nuovi deputati giurano insediandosi alla Knesset, le trattative per la formazione del nuovo governo si fanno sempre più intricate. Un vero rebus, per le linee contrapposte, i veti incrociati, gli interessi contrastanti in gioco. Ne parlano diversi giornali (Avvenire, L’UnitàEuropa, Il Messaggero), soffermandosi tutti sull’opzione preferenziale dell’incaricato Netanyahu, quella di un governo di unità nazionale con Kadima e con la diretta partecipazione della Livni: un esecutivo più stabile e sicuro per Bibi, una formazione più rispettosa della volontà nazionale per Peres, anche lui impegnato nel convincere sia pur indirettamente Tzipi a dire di sì. Una soluzione che avvicinerebbe la via della pace con i palestinesi di Abu Mazen? Gli osservatori più acuti sembrano negarlo, come abbiamo visto. Ma gli Stati Uniti puntano proprio su questa soluzione, se è vero – come riferisce Umberto de Giovannangeli su L’Unità – che anche Hillary Clinton, in Medioriente dal 2 al 4 marzo per la sua prima decisiva missione nella zona da Segretario di Stato, insiste sull’unità nazionale come ponte verso le trattative. Chi avrà ragione? Mentre i media israeliani colgono l’occasione degli incontri Bibi-Tzipi per sfogarsi con una sagace satira “matrimoniale” (Europa), Haaretz (citato dalla stessa Europa) prevede che la questione verrà risolta da Netanyahu con la proposta alla Livni di scrivere insieme i “criteri politici” del nuovo esecutivo: puro espediente tattico o effettiva strategia politica di lunga portata?
Un articolo non firmato sul Foglio offre un quadro vivace ma forse un po’ superficiale della netta scissione sociale e politica di Israele tra presenza religiosa e presenza laica (Gerusalemme e Tel Aviv). Cose che i lettori ebrei conoscono benissimo ed interpretano in modo più motivato e profondo dell’autore di questo pezzo, che pure si muove agilmente e con molti particolari tra i mille volti contrastanti di un Paese che può apparire insieme pio e miscredente. Un Paese in cui è nettamente in aumento il numero di soldati osservanti: segno di un rafforzamento religioso di una istituzione fondante come Tzahal o della laicizzazione sionista di quote crescenti di popolazione religiosa? La risposta israeliana è sempre multidirezionale.
Altre significative note dal Medioriente le possiamo leggere ancora sul Corriere della sera, dove Paolo Salom descrive le manifestazioni anti-regime degli studenti iraniani. O sul Messaggero, che anonimamente analizza le prospettive della conferenza internazionale in programma a Sharm el Sheikh e destinata allo stanziamento di fondi e alla programmazione in vista della ricostruzione di Gaza dopo la recente guerra: dei due miliardi di dollari stanziati nell’insieme per l’iniziativa, gli Usa da soli metteranno a disposizione 900 milioni di dollari; ma niente andrà ad Hamas. E speriamo che la realtà dei fatti rispecchi questa intenzione, altrimenti a Gaza si moltiplicheranno presto le armi e la violenza, invece delle case restaurate. Sono tutte notizie che in un modo o nell’altro paiono confermare il quadro di crisi e tensione globale che Ferguson e Charbel dipingevano nelle loro analisi complessive. Più costruttive le prospettive tracciate dai due ministri degli esteri italiano e francese su La Stampa all’indomani degli incontri romani tra i vertici dei due Stati. Parlando da politici di professione e non da analisti politici (cioè da costruttori di intese diplomatiche e non da osservatori di tendenze strategiche), Frattini e Kouchner esaminano nello specifico la situazione del Libano, elogiando il ruolo delle truppe Unifil e prevedendo possibili sviluppi unitari e pacificatori in un Paese finalmente padrone del suo futuro; ma rilevano anche le possibili prospettive positive che un Libano finalmente pacificato potrà avere sull’intera area mediorientale, incoraggiando per esempio trattative Israele-Libano parallele a quelle già faticosamente in atto tra Israele e Siria.
Poche le notizie davvero interessanti, dal nostro punto di vista, sugli altri settori dello scenario mondiale. L’arcivescovo negazionista Williamson, giustamente (e tardivamente) cacciato da Buenos Aires, giunge a Londra, a casa sua; non troppo ben accolto, ma – appunto perché in patria – non più allontanabile. Ci segnalano il fatto Avvenire, Libero, L’Unità. Israele non potrà partecipare ai Giochi del Mediterraneo che si apriranno il 26 giugno a Pescara: orrido e ormai consueto prezzo del boicottaggio arabo e del bisogno di sicurezza in queste manifestazioni sportive. Vibrate, sacrosante ma inutili proteste dell’ambasciatore israeliano Ghidon Meir, mentre gli organizzatori si nascondono dietro diplomatici e ambigui inviti alla calma e alla trattativa. Ma non pare che i Paesi arabi abbiano intenzione di cedere sul punto: a livello sportivo Israele per loro deve scomparire. Solo a livello sportivo? La notizia ci giunge ancora dal Corriere, attraverso l’articolo di Gianna Fregonara.
Più interessanti due spunti di riflessione, che segnaliamo in chiusura di questo commento alla rassegna stampa. Su Repubblica Vito Mancuso, valorizzando i contenuti innovatori e i grandi meriti del Concilio Vaticano II, ne nota però anche i limiti di ancoraggio a un mondo ormai passato, auspicando un Vaticano III che, sulla base di quei princìpi, possa aprirsi alle esigenze della Chiesa e ai problemi dell’umanità di oggi, primo tra tutti quello di una “nuova teologia della natura”. Prospettiva discutibile ma interessante, alla luce delle polemiche e delle spinose questioni ancora aperte, dal fronte della bioetica a quello dei rapporti con le minoranze religiose ebraismo in testa. Sulla Stampa Ezio Bettiza risponde da par suo – cioè con grande umanità ma insieme con grande fermezza e chiarezza – alle accuse di razzismo anti-romeno lanciate dal Presidente del Senato di Bucarest all’Italia. Pochi casi deprecabili di intolleranza (a fronte di molti episodi di violenza con protagonisti romeni) non cancellano una risposta politica complessiva volta all’integrazione e degna di un paese civil
e. 

David Sorani  

 
 
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Israele, Netanyahu avvia contatti con liste di destra                            
Tel Aviv, 25 feb -
Bibi Netanyahu spera ancora di riuscire a dar vita a un governo allargato e ha fissato per venerdì nuovi incontri con Tzipi Livni (Kadima) e con Ehud Barak (laburisti), ma avvia oggi i contatti per la costituzione di un nuovo governo con le liste di destra e quelle confessionali. Oggi Netaniahu vedrà i rappresentanti di Israel Beitenu, quindi gli ortodossi sefarditi di Shas e quelli ashkenaziti del Fronte della Torah. Domani vedrà i nazional-religiosi della Casa Ebraica e gli ultranazionalisti di Unione Nazionale.  Nel frattempo sulla stampa torna a circolare il nome dell'ex dissidente sovietico Nathan (Anatoly) Sharansky il quale, se Netanyahu formasse un governo omogeneo di destra, potrebbe essere scelto come ministro degli Esteri.

Gaza: Hamas viola tregua e lancia due razzi, nessuna vittima
Gerusalemme, 25 feb -
Malgrado la tregua fra Israele e Hamas in vigore dal 18 febbraio, due razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza,  e sono caduti in territorio israeliano, senza tuttavia ferire nessuno. Lo dicono fonti militari israeliane. I razzi, dal raggio d'azione corto, sono caduti uno su un terreno incolto, l'altro su una strada, senza fare danni.

 
 
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