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L'Unione informa |
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20 febbraio 2009 - 26 Shevat 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
La
santità del monte Sinai termina nel momento stesso in cui Dio smette di
parlare. Allora il monte torna a essere luogo di pascolo per animali e
di passaggio per gli uomini. La santità del Santuario e quella di un
Tempio non si interrompe mai, neppure quando questi sono distrutti. La
differenza consiste nel fatto che un Santuario e un Tempio sono
costruiti dagli uomini, il monte Sinai è semplicemente un’opera creata
da Dio. Ciò che l’uomo fa si mantiene in eterno. (Bet Ghinzài). |
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Nella tradizione tutto è fermo. Solo il tempo cammina. |
Vittorio Dan Segre,
pensionato |
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Quei militari italiani internati nei campi
“Una Memoria istituzionalizzata, così come prevista dalla legge 211 del
2000, è utile solo se è complementare alla formazione, l’obiettivo non
è celebrativo ma formativo, informare e far conoscere la storia per
prevenire il ripetersi delle tragedie, altrimenti il rischio è che
quegli eventi, finiscano nell’oblio, come sono scomparsi dal panorama
dei nostri giovani la grande guerra e il compimento dell’unità
nazionale. Eppure,
la memoria delle persecuzioni, delle deportazioni e dello sterminio
della Seconda Guerra Mondiale non può essere dispersa. Se ciò avvenisse
saremmo più vicini che mai al monito di Primo Levi, è accaduto e
potrebbe accadere di nuovo”. Così Anselmo Calò,
Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (nella foto
insieme al sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga) ha aperto la
tavola rotonda Le deportazioni dei politici e dei militari che si è
svolta al Vittoriano, nel cuore di Roma. Poco prima lo stesso Calò e lo
storico Marcello Pezzetti avevano accompagnato il sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga, a visitare la mostra 1938 Leggi Razziali Una tragedia italiana,
inaugurata in occasione delle celebrazioni per il settantesimo
anniversario della promulgazione delle leggi razziste e aperta fino al
22 febbraio. Alla tavola rotonda sono intervenuti Gianfranco Maris
presidente dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati politici nei
campi nazisti) e gli storici Anna Maria Casavola, Anna Foa, Brunelllo
Mantelli e Piero Melograni oltre al sottosegretario Giuseppe Cossiga e
al Consigliere Calò che ha fatto gli onori di casa. Lo scopo del
convegno era quello di approfondire le vicende storiche che, dopo l’8
settembre 1943, portarono alla cattura all’internamento ed al massacro
di centinaia di migliaia di soldati e politici italiani nei campi
nazisti. “Superata la stagione della testimonianza c’è la Storia”
ha detto Gianfranco Maris, milanese classe 1921, che ha letto alcuni
passi tratti dal libro di David Bidussa, Dopo l’ultimo testimone,
sottolineando la necessità che gli storici si assumano il compito di
tramandare la testimonianza. Necessità peraltro avvertita da tutti gli
storici intervenuti. “Abbiamo la necessità di trasformare i racconti in pietre, ha detto infatti Brunello Mantelli,
bisogna impedire agli assassini della memoria di negare”. “Storia e
memoria sono due elementi che si compenetrano, ha continuato Mantelli,
ma profondamente differenti”. Dopo l’intervento della professoressa Anna Maria Casavola
autrice del libro 7 OTTOBRE 1943 - La deportazione dei Carabinieri
romani nei Lager nazisti, che ricostruisce la storia di un evento
completamente dimenticato: la deportazione a opera dei nazisti di
duemila, duemilacinquecento Carabinieri, Anna Foa
ha esaminato il rapporto fra le deportazioni (politiche, militari e di
ebrei) esprimendo la necessità di far si che gli storici ricostruiscano
una parte della storia del Paese caduta per lungo tempo nell’oblio. “Ho
la sensazione che ci siano due momenti, ha detto la Foa, nel primo
momento la memoria dei soldati non scompare, poi soprattutto sulla
memoria dei deportati c’è un enorme buco che non c’è invece sulla
deportazione politica”. Il professor Piero Melograni ha portato la propria esperienza di testimone ricordando la deportazione in via Po a Roma, il 16 ottobre 1943. “Confesso
che io stesso solo recentemente mi sono reso conto dell’immane entità
della deportazione dei militari italiani in Germania dopo l’8 settembre
1943, ha affermato il Consigliere Anselmo Calò nel concludere la tavola
rotonda, mi ero sempre fermato alla persecuzione ebraica, dei rom, dei
diversi e degli oppositori ai regimi nazista e fascista. I deportati
italiani furono quindi centinaia di migliaia, e andarono chi in un modo
chi nell’altro a rafforzare le fila degli schiavi di Hitler, costretti
loro malgrado, a rafforzare l’industria bellica tedesca, coltivare le
campagne per alimentare i soldati nazisti al fronte. E’ evidente
che l’immaginario è maggiormente colpito dallo sterminio di milioni di
essere umani che avevano l’unica colpa d’appartenere a un popolo
disperso e questo vale tanto per gli ebrei che per i rom.
L’internamento e la prigionia dei militari sono parte della guerra
stessa così come la persecuzione degli oppositori è funzionale a ogni
regime totalitario”.
Lucilla Efrati |
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pilpul |
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Gli occhi offuscati dall'ideologia
È
stata ampiamente commentata l'intervista del sociologo Marzio Barbagli
che ha onestamente ammesso di avere esaminato a lungo tempo con occhi
ideologici la relazione tra aumento della criminalità e aumento
dell'immigrazione, cercando di nascondersela. «C'era qualcosa in me che
si rifiutava di esaminare in maniera oggettiva i dati sull'incidenza
dell'immigrazione rispetto alla criminalità. Ero condizionato dalle mie
posizioni di uomo di sinistra. E quando finalmente ho cominciato a
prendere atto della realtà e a scrivere che l'ondata migratoria ha
avuto una pesante ricaduta sull'aumento di certi reati, alcuni colleghi
mi hanno tolto il saluto. ... Ho fatto il possibile per ingannare me
stesso... Era come se avessi un blocco mentale....». È una
situazione del tutto analoga a quella riguardante la relazione tra
aumento dell'antisemitismo e diffusione di sentimenti antisionisti e
anti-israeliani nella sinistra. Chi ha capito e ha deciso di parlarne
senza reticenze si è trovato nella stessa situazione di Barbagli. Valga
il caso di Peppino Caldarola che ormai in certi siti web è comunemente
definito un "traditore". Quando finirà questo "blocco mentale" e il vizio sciagurato di mettere alla gogna chi se ne libera ?
Giorgio Israel, storico della scienza |
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rassegna stampa |
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Partiamo da una lettera, quella pubblicata anonimamente da il Sole 24 Ore
sotto il titolo «il valore della notizia», dove un gruppo di studenti,
evidentemente assai più coscienti di quanto la loro insegnante non li
voglia e sappia pensare, chiede aiuto al quotidiano, nella persona di
Salvatore Carrubba, per la redazione di una rassegna stampa sulla
«questione palestinese». Il loro timore è che un pesante intervento
della docente, che ha già richiesto (e ottenuto) un articolo ad hoc da
parte de il Manifesto, possa disequilibrare l’economia delle opinioni
che essi intendono comunque raccogliere, rappresentare e mantenere. La
vicenda, nella sua specificità, è emblematica di una assai diffusa
perversione degli spiriti e dei giudizi, dove ogni cosa che incontra
Israele, i palestinesi e il Medio Oriente deve obbligatoriamente
passare per il tritacarne di un diffuso pregiudizio, ovvero di un
giudizio di valore a prescindere. I due capi del problema, formazione
(scuola) e informazione (mezzi di comunicazione) sono in questo singolo
episodio ben rappresentati, uniti dal protagonismo militante di una
professoressa che non solo scambia i propri intimi convincimenti per la
realtà oggettiva delle cose ma cerca di usare il suo ruolo per favorire
non tanto l’evoluzione del pensiero critico dei giovani discenti quanto
di un atteggiamento di acquiescente accondiscendenza verso certo senso
comune orientato in una determinata direzione politica. Detto questo,
volgendo lo sguardo oltre e sfogliando, anche con un po’ di
stanchezza, i giornali, ci viene da domandarci se nella stampa
nazionale sia sopravvenuta una sorta di quiete dopo la tempesta.
Facciamo mente locale a quanto ha coinvolto il mondo ebraico e Israele
in questi ultimi mesi: senza curarci troppo degli eventi “collaterali”
o secondari, abbiamo avuto a che fare – e sempre in rapida successione
- con la guerra a Gaza contro Hamas, le elezioni che si sono tenute una
decina di giorni fa in Israele, le vicende legate ai lefebvriani e al
loro vescovo negazionista Williamson (ne parlano ancora oggi, tra gli
altri, Omero Ciai su Repubblica e R. G. su l’ Unità),
le riluttanze e le difficoltà nel dialogo interconfessionale, le
polemiche sull’ascesa agli altari di Pio XII, le manifestazioni di
antisemitismo rinnovatesi purtroppo un po’ in tutto il mondo, la
conclusione della Presidenza Bush e l’ingresso di quella Obama (su
quest’ultima si vedano oggi l’articolo di Mario Arpino su il Tempo e l’intervista di Sivia Marchetti a John Bolton su Liberal)
e così via. Mesi tumultuosi, a ben pensarci, che hanno impegnato se non
letteralmente occupato, le pagine dei giornali. Frequentemente le prime
pagine per settimane, come nel caso del conflitto armato a Gaza. Da
qualche giorno a questa parte, invece, la tensione mediatica è calata.
In attesa, con tutta probabilità, che si riaccenda dinanzi a qualche
nuovo episodio di particolare effervescenza. La rassegna stampa
registra questo mutamento, ovviamente, attraverso la raccolta degli
articoli ma anche e soprattutto per il tramite della difficoltà di
stabilire un baricentro d’interesse che indichi una effettiva scala di
priorità nelle notizie. La qual cosa in sé non è detto che sia un
aspetto negativo se si parte dalla premessa, frequentemente comprovata
dai fatti, che quando si parla di ebrei ciò avviene perché qualcosa di
poco gradevole li vede protagonisti, il più delle volte loro malgrado.
Peraltro sono anche queste le occasioni in cui si può osservare (per
poi magari ragionarci un po’ sopra) la effettiva mancanza di respiro
della stampa italiana sui temi che, a vario titolo, demandano
all’ebraismo. Negli ultimi anni è andata affermandosi una qualche
attenzione di riflesso alla centralità che la Shoah ha assunto nei
discorsi pubblici quotidiani. Ma è ben più raro che l’attenzione si
concentri, come invece avviene a volte nella stampa straniera, su una
argomentata riflessione riguardo all’autonoma capacità delle comunità
ebraiche di essere soggetto di cultura civile. La stampa francese, a
esempio, è assai più attenta in tal senso di quanto non voglia e non
riesca a esserlo quella italiana. Detto questo il panorama delle
giornata ci offre spunti di riflessione sulla difficile situazione
determinatasi, dopo il voto, in Israele riguardo al problema della
formazione di una maggioranza di governo. Parrebbe essere passata
l’opzione della premiership da offrire a Netanyahu, con l’assenso di
Lieberman. Shimon Peres, come raccontano Aldo Baquis su la Stampa, Alberto Stabile su la Repubblica e Barbara Uglietti su l’Avvenire, ma anche come ce ne dà resoconto, con qualche sagace malizia, il Foglio,
ha concluso il primo giro di consultazioni, ricevendo disponibilità,
indicazioni ma anche alcuni dinieghi. Il rebus consegnato dalle urne si
gioca sul filo di lana dei protagonismi e degli interessi dei tre
leader usciti premiati dal voto: Tzipi Livni, Benjamin Netanyahu e
Avigdor Lieberman. Ognuno d’essi ha qualcosa da farsi perdonare dai
suoi elettori e, se si fa eccezione per «Bibi l’americano», che punta a
fare del suo Likud il vero asse centrale del futuro governo, per
Yisrael Beiteinu e Kadima si tratta di capire se convenga di più
partecipare o astenersi dalla formazione della nuova maggioranza, con
il non troppo recondito pensiero che si potrebbe, prima o poi, tornare
di nuovo a una verifica elettorale. Parrebbe di quest’ultimo avviso la
Livni, secondo le parole di Anna Momigliano pubblicate da il Riformista. Concorda su tale diagnosi anche Laura Giannone su Liberal che evidenzia, così come fa Stefania Podda su Liberazione
(due articoli dalle tonalità diverse ma dai contenuti simili), la
tattica di Lieberman, che è quella di far pesare il più possibile il
ruolo di ago della bilancia nella definizione dei futuri equilibri di
governo. L’Espresso,
infine, per la firma di Wlodek Goldkorn, ci offre una lunga e
appassionata recensione dell’ultima traduzione italiana di uno dei
libri di Amos Oz, «Una pace perfetta», uscito in ebraico più di
venticinque anni fa e disponibile solo ora nel nostro paese. A dare
voce al recensore le pagine del romanzo paiono essere una vera e
propria disamina, sia pure figurata, del declino dell’ethos socialista
che aveva ispirato il progetto dei kibbutzim e del socialismo dei
“padri fondatori”. Già nel 1982, anno di pubblicazione in Israele del
libro e anno della guerra del Libano, Oz prendeva in considerazione la
conclusione di una lunga fase storica del paese, quella che si era
alimentata dell’epopea gloriosa della fondazione del nuovo Stato. Da
allora, possiamo aggiungere, molta acqua è passata sotto i ponti e
tuttavia il deludente risultato di Avodà parrebbe suggellare, una volta
per sempre, la conclusione di una storia. Non certo, tuttavia, della
storia.
Claudio Vercelli |
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Nuovo governo israeliano: le consultazioni di Shimon Peres Gerusalemme, 20 feb - Benyamin
Netanyahu, leader del Likud, è stato ricevuto stamane dal capo dello
Stato Shimon Peres, nel contesto delle consultazioni post-elettorali
per la formazione di un nuovo governo. Dopo Netanyahu sarà la
volta del leader di Kadima Tzipi Livni. Obiettivo di Peres è
convincerli a dar vita a un governo di unità nazionale. La Livni
ha già anticipato che un governo del genere sarebbe per lei accettabile
solo nel caso vi fosse una staffetta al vertice, in caso contrario
preferirebbe passare all'opposizione. Intanto i collaboratori di
Peres anticipano che il capo dello Stato annuncerà oggi, al più tardi
domenica, a chi affidare l'incarico di formare il nuovo governo. La
Stampa ritiene ormai certo che la decisione ricadrà su Netanyahu, nelle
consultazione con le liste rappresentate alla Knesset infatti questi ha
già ricevuto il sostegno di un numero maggiore di deputati rispetto
alla Livni. Ehud Olmert e i progressi per il rilascio di Gilad Shalit Tel Aviv, 19 feb - Ehud Olmert vede progressi per la liberazione del caporale Gilad Shalit. Al
giornale Yediot Aharonot il primo ministro uscente ha riferito di passi
in avanti sull'ipotesi dello scambio fra un migliaio di palestinesi
detenuti in Israele per reati vari e Shalit. Ieri
la reazione negativa del movimento islamico radicale alla decisione di
Israele di posporre, alla soluzione del caso Shalit, la proposta di
accordo mediata dall'Egitto per una tregua nella Striscia di Gaza e la
riapertura dei valichi. Non
sono d'accordo con le dichiarazioni di Olmert alcuni alti funzionari
del ministero della Difesa israeliano, coinvolti nei negoziati del
Cairo e citati in forma anonima sempre dal quotidiano Yediot Aharonot.
Secondo loro, non ci sarebbe da attendersi "nessuna svolta concreta in
tempi brevi su Gilad Shalit" dopo il no del governo Olmert a ogni
accordo di tregua e parziale riapertura dei valichi senza il
preliminare rilascio del caporale. Un ultimatum "puramente declamatorio
- hanno deplorato le fonti - che non è stato accompagnato da nessuno
sviluppo tangibile di disponibilità a pagare la contropartita
richiesta". La
decisione del gabinetto israeliano sulla questione Shalit-tregua è
stata criticata da Hamas, secondo cui Israele avrebbe cambiato le carte
in tavola per ragioni di politica interna. E' stata accolta inoltre dal
silenzio irritato dell'Egitto, il quale aveva intrapreso la sua
mediazione sulla base di uno schema negoziale che prevedeva da un lato
l'intesa su una tregua duratura e sul parziale sblocco dei valichi e,
dall'altro, trattative parallele, "ma separate" sul rilascio di Shalit
nel quadro di uno scambio di prigionieri. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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