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L'Unione informa |
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27 febbraio 2009 - 3 Adar 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
"Chi
legge la meghillà partendo dalla fine non è uscito d'obbligo" (Talmud
Meghillà). Strana regola della legge ebraica, apparentemente inutile.
Spiegava il Baal Shem Tov: "Chi pensa che la storia di Purim sia
finita, non è uscito d'obbligo". Ogni generazione ha il suo Haman che
spera nella distruzione d'Israele e degli ebrei che per compiacere e
far carriera si presentano ai banchetti, pronti ad inchinarsi
all'autorità. In ogni comunità ebraica vi sarà sempre un Mordechai che
non si prostra e una Ester che spinge a riunirsi in un Tempio e a
combattere i soprusi. |
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L'ego non sa che la fonte di ogni energia è dentro di noi. Per questo ci spinge a cercarla fuori. |
Vittorio Dan Segre,
pensionato |
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“Resta l’ambiguità. Parole gravi”
Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, sono scuse sincere quelle del vescovo Wllliamson? «A
me pare che le dichiarazioni di Williamson contengano un notevole
margine di ambiguità. Egli infatti si guarda bene dall’ammettere di
aver dato credito e propagandato un falso storico inaccettabile e
offensivo finalizzato a negare la realtà della Shoah». Già una volta sembrava aver fatto «marcia indietro»… «A
un’attenta lettura, le sue dichiarazioni risultano forse anche più
gravi delle precedenti in quanto egli evita accuratamente di
riconoscere una realtà storica inconfutabile ed esprime solo un
generico rammarico per le conseguenze prodotte dalle sue dichiarazioni». Questa mossa aiuterà a ricomporre le frizioni tra ebrei e Vaticano? «Ritengo
che il discorso che il Papa ha fatto alla delegazione degli ebrei
americani sia stato molto chiaro, forte e documentato sia sul piano
storico quanto su quello teologico. Debbo notare proprio la differenza
tra quello che dichiara Williamson e quello che esprime il Papa.
Naturalmente nei rapporti con il Vaticano è determinante ciò che dice
il Pontefice, non le parole di Williamson».
Paolo Salom, Corriere della Sera, 27 febbraio 2009
 Carlo Levi: con un pennello contro la barbarie
Dipingeva
dappertutto: sulle tele ma anche sul compensato, su tavolette e perfino
su pezzi di cartone. La pittura è stata il primo amore di Carlo Levi (1902-1975),
che firmò la prima “opera” a tredici anni e non abbandonò mai i
pennelli nonostante la fervida attività letteraria e giornalistica che
l’avrebbe reso notissimo, in particolare per il romanzo
autobiografico Cristo si è fermato a Eboli (pubblicato
da Einaudi nel 1945). Due magnifiche occasioni per approfondire il
mondo pittorico di Levi sono offerte dalle mostre allestite quasi in
contemporanea dal Museo Ebraico di Bologna e dalla Fondazione Levi di Roma. La prima, Paura della libertà,
presenta venticinque quadri, più lettere, disegni e documenti eseguiti
per lo più negli anni Trenta, che testimoniano soprattutto l’impegno
antifascista dell’intellettuale torinese, la sua inesausta, generosa e
rischiosa attività di militanza politica e civile, il suo sforzo di non
perdere di vista coscienza e umanità anche nei momenti più bui, dopo
l’entrata in vigore delle leggi razziali, lo scoppio della guerra e
ancora durante «il dì della sventura » dall’8 settembre.
Ma
come si può opporsi alla barbarie con un quadro? Levi (nell'immagine a
fianco) e i suoi compagni torinesi del “Gruppo dei Sei” (Gigi Chessa,
Nicola Galante, Francesco Menzio, Jessie Boswell, Enrico Paolucci),
accompagnati dai critici Lionello Venturi ed Edoardo Persico, avevano
imparato a farlo molto presto, negli anni Venti, rifiutando la retorica
monumentalista e il conformismo dell’arte di regime e dedicandosi
invece a colloqui intimi con oggetti, cose, situazioni quotidiane,
impregnate del gusto e delle atmosfere del postimpressionismo francese,
che Levi aveva scoperto nel corso dei numerosi viaggi a Parigi (il
primo nel 1925).
Sono opere di questo periodo, il meno
noto dell’attività dell’artista, quelle esposte alla Fondazione Levi a
partire dal 5 marzo. Nature morte, interni e soprattutto bellissimi
ritratti, come quello della sorridente sorella del 1926 (nell'immagine in alto),
dalla pennellata pastosa e una luminosità molto parigina, fresco di
restauro da parte dell’Istituto Centrale. La mostra romana presenta
infatti opere “salvate” dall’intervento conservativo e in parte ancora
inedite, che fanno nuova luce su quel momento cruciale in cui Levi
passa dall’astro del mastro e amico Felice Casorati, alla libertà nel
segno e negli accostamenti cromatici appresa dallo studio della pittura
francese d’inizio secolo e dall’amatissimo Modigliani. Quadri che
inoltre raccontano di volti e di persone che accompagnano l’artista in
quegli anni difficili ma fervidi, quando Levi, oltre a lavorare e
partecipare alle mostre più importanti (dalla Quadriennale di Torino
alla Biennale di Venezia), si laurea in medicina (nel 1924), collabora
alla “Rivoluzione Liberale” di Gobetti, frequenta Saba, Persico,
Passerin d’Entrèves, Brosio e Monti a Torino e fa la spola con Parigi.
Tutte
cose che sarebbero presto diventate impossibili: al brusco giro di vite
politico dei primi anni Trenta Levi reagisce partecipando alla
fondazione di “Giustizia e Libertà” insieme a Rosselli, Salvemini e
altri. Segue e il primo arresto nel 1934 e di lì a poco l’esilio in
quel meridione dimenticato dalla storia, dove la gente scongiurava
lupi, idoli e fattucchiere e dove per restare solo Levi era costretto a
sdraiarsi in una fossa scavata al cimitero e da lì, guardando il cielo,
finiva per addormentarsi.
Carlo Levi. Il prezzo della libertà, Museo Ebraico, Via Valdonica 5, Bologna, fino al 5 aprile, 10-18; venerdì 10-16; sabato chiuso.
Carlo Levi. Dipinti restaurati, Fondazione Carlo Levi, Via Ancona 21, Roma, dal 5 marzo al 26 giugno, 9-13 tranne domenica.
Martina Corgnati, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia Albertina di Torino |
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Legge di mercato - 24 anni, Ginipic e il segreto del successo senza capitali
A mali estremi, estremi rimedi: è questo quello che devono aver pensato Lior Weinstein e i suoi amici di lunga data Noam Singer e Orr Sella:
tre ragazzi israeliani di 24 anni appassionati di informatica e animati
dal tipico spirito imprenditoriale da start-up israeliana, senza però
nessun supporto finanziario, i quali hanno sviluppato un programma che
sta dando loro molte soddisfazioni.
Online da poche settimane, la loro applicazione (www.ginipic.com) sta infatti letteralmente spopolando sul web, grazie alla sua utilità ed immediatezza d’uso.
Ginipic
è una semplice applicazione, che permette di tagliare i tempi impiegati
nello scaricare immagini dai motori di ricerca (Google images o
Flickr), salvarle e incollarle sul proprio documento.
Scaricando
il programmino, è invece possibile digitare nella barra
dell’applicazione, la parola collegata all’immagine desiderata,
selezionarla all’interno delle immagini trovate tra tutti i motori di
ricerca e trascinarla direttamente sul proprio lavoro.
Un
meccanismo tanto semplice quanto intuitivo, al quale però non aveva
pensato ancora nessuno. Almeno fino a quando Lior Weinstein, lavorando
a un progetto che richiedeva l'uso di molte immagini, si rese conto di
quanto tempo sprecasse nel copiarle, salvarle e rincollarle. “Solo
nello scorso dicembre - afferma Weinstein – il 20% delle ricerche su
Google era riferito a immagini, pertanto si possono facilmente
comprendere le potenzialità del nostro strumento”.
Il
venture capitalist che aiuti questi ragazzi dal punto di vista
finanziario non è ancora arrivato (e dato il periodo travagliato non è
difficile capire il perché) e fino a oggi i soldi li hanno tirati tutti
fuori di tasca propria (l’applicazione è totalmente gratuita).
I
ragazzi rimangono però giustamente fiduciosi nel futuro, visto che
hanno iniziato a stringere partnership con diversi siti di raccolta
immagini e sperano di riuscire a lavorare con i siti più importanti del
settore, quali Getty Images o Jupiter Images.
Visto il
grande successo ottenuto solo il poche settimane (si parla già di
decine di migliaia di utenti di fedelissimi), è facile prevedere che
trovino finalmente qualcuno in grado di supportarli in fase di raccolta
per lo sviluppo, e non è detto che tra qualche anno nei libri di storia
per descrivere la web-generation, insieme ai vari Google, Facebook e
Flickr, non si trovi anche uno spazio per Ginipic.
Benjamin Oskar |
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«Con
Israele non sarà mai pace». Ce lo assicura, con la perentorietà di chi
non ammette replica alcuna, Khaled Meshal, il leader della componente
più dura di Hamas, quella militare, che vive da quarant’anni a Damasco.
Lo fa in una intervista concessa a Gianni Perrelli per l’Espresso.
Leggerla è un interessante esercizio per capire quale sia la logica che
motiva le scelte del movimento palestinese che determina i destini di
Gaza. L’intransigenza si rivela essere un abito culturale, oltre che
ideologico, tale da far sì che la politica non abbia nessun spazio
d’azione, se con essa si vuole intende non l’eclatanza della
dichiarazione d’identità ma il riconoscimento della necessità di ambiti
di mediazione. Ad Hamas, insomma, questi ultimi parrebbero non
interessare in alcun modo. Campeggia ancora, tra le pagine dei
nostri giornali, la figura del vescovo Williamson, passato alla cronaca
per il suo inveterato negazionismo. Ora ci giunge notizia, riportataci
da il Giornale, da Gilberto Rossi su Libero, da Gian Guido Vecchi su il Corriere della Sera, da il Manifesto, da il Messaggero, da il Tempo
così come da altre testate, che avrebbe chiesto scusa per le posizioni
assunte - e mai smentite in linea di principio - riguardo alla
negazione della Shoah. Il condizionale è d’obbligo, data la natura del
personaggio, le pesanti ambiguità che lo accompagnano, i silenzi,
alternati alle manifestazioni pubbliche di posizioni al limite della
provocazione e così via. Significativo, poi, che il suo dire, più che
corrispondere a un effettivo pentimento (a cui, in tutta probabilità,
mai avremo modo di assistere), sia la manifestazione di un
atteggiamento di calcolata remissione nei confronti della Chiesa
cattolica. Williamson, infatti, non chiede perdono per l’avere fatto
proprie idee non solo palesemente erronee ma dichiaratamente offensive,
ma per avere arrecato, con la loro esplicitazione in pubblico, un
qualche danno d’immagine alle gerarchie ecclesiali e all’attuale
pontefice. Le cosiddette scuse, infatti, sono rivolte al Papa, nel
tentativo di attenuare le tensioni che si erano create nelle settimane
scorse riguardo al ritorno nel seno ecclesiale dei seguaci di
monsignore Marcel Lefebvre. In questo suo dire e fare permane quindi
inalterato quell’atteggiamento di palese indisponibilità nei confronti
del mondo ebraico, derubricato, nella migliore delle circostanze, a una
realtà fatta di non meglio identificate “vittime” del passato. Va
detto che da tempo la stampa cattolica ha assunto sui temi che ruotano
intorno alla vicende dell’atteggiamento papale nei confronti della
Shoah e dei totalitarismi di destra una posizione che potremmo definire
interventista. Mentre l’Osservatore romano mantiene un profilo
compassato, ben più acceso è quello fatto proprio da altre testate, il
cui impegno è di confortare i lettori verso un indirizzo orientato,
incentivandoli in una lettura del passato che accredita fortemente
l’immagine di una Chiesa avversa ai regimi nazista e fascisti. Ce ne dà un esempio in tal senso l’articolo odierno di Gianni Cardinale su l’Avvenire,
resoconto di un convegno dedicato alla « sollecitudine ecclesiale di
Pio XI alla luce delle nuove fonti archivistiche», dove si enfatizzano,
rileggendo i passi compiuti dall’allora pontefice, le prese di
posizione avverse a Roma e a Berlino. Sempre per restare nel novero dei negazionisti, la notizia, riportata da il Corriere della Sera,
che Horst Mahler, figura storica della Raf, la Rote Armee Fraktion,
ideologo della sinistra terrorista tedesca degli anni Settanta, poi
passato armi e bagagli alla destra radicale, di stampo neonazista, ed
infine approdato alla negazione della Shoah, è stato condannato a sei
anni per le sue reiterate prese di posizione pubblica contro l’evidenza
dei fatti. Sul versante internazionale, infine, la notizia degna di una qualche attenzione è quella riportataci da Avvenire, da il Messaggero ma anche da Europa
per la quale tredici organizzazioni palestinesi, tra cui Hamas e al
Fatah, avrebbero deciso di raggiungere un accordo per cessare il
conflitto che dal 2006 le dilania e che è stato all’origine anche delle
ultime vicissitudini belliche a Gaza. La prospettiva è la conferenza di
Sharm el-Sheikh che si terrà la prossima settimana, dedicata alla
ricostruzione delle aree colpite durante il breve ma violentissimo
conflitto di gennaio, a Gaza per l’appunto. Quanto tale clima di
concordia riuscirà a tradursi in fatti e mantenersi con il trascorrere
dei giorni lo potrà dire solo il tempo. Al momento parrebbe più una
sorta di tregua infrapalestinese, dettata sia dalle occorrenze di una
crisi interna a Gaza che dalla necessità di presentarsi dinanzi alla
nuova amministrazione americana con qualche carta in più di quella
offerta dalle proprie divisioni. Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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Israele e lo scambio di prigionieri per Gilad Shalit Tel Aviv, 27 feb - Un
emissario israeliano, Ofer Dekel, è giunto ieri al Cairo. La visita al
fine di avviare contatti indiretti con Hamas per concordare uno scambio
di prigionieri che riporti in libertà il caporale Gilad Shalit,
prigioniero dal giugno 2006. La notizia è stata resa nota dal giornale Yediot Ahronot. Ofer
Dekel al Cairo avrebbe presentato una lista di 100 detenuti
palestinesi, tutti coinvolti nella realizzazione di gravi attentati,
che in cambio di Shalit Israele potrebbe liberare assieme con altre
centinaia di detenuti condannati per reati meno gravi. Israele,
secondo Yediot Ahronot, propone che i negoziatori israeliani e quelli
di Hamas siedano al Cairo in stanze separate e che funzionari egiziani
facciano la spola fra di loro.
Gerusalemme, stato di allerta nella Spianata delle Moschee Gerusalemme, 27 feb - Particolari misure di sicurezza sono state applicate oggi dalla polizia israeliana nella Città Vecchia di Gerusalemme. La
decisione a seguito della segnalazione, da parte dell'Intelligence, su
possibili disordini, al termine del venerdì, nella Spianata delle
Moschee. Alle
origini della tensione, spiega la stampa palestinese, vi sono progetti
israeliani di sgombero per decine di famiglie palestinesi nel rione di
Silwan, nelle immediate vicinanze della Città Vecchia. Il leader del
Movimento islamico in Israele, sceicco Raed Sallah, prevede di
organizzare oggi in quel rione una preghiera di protesta. Ieri lo
sceicco Sallah ha inoltre protestato per una recente trasmissione
televisiva israeliana, a suo parere ingiuriosa nei confronti di
Maometto.
Spot anti – Israele, sito web della Scuola del giornalismo attaccato da un hacker Bologna, 27 feb - Nella tarda serata di ieri il sito della rivista on-line della Scuola del giornalismo di Bologna, www.lastefani.it, è stato oscurato. Al
suo posto uno sfondo nero con una frase in Inglese contro i
bombardamenti nella Striscia di Gaza ("Non dimentichiamo le bombe di
Israele") e alcune immagini violente. Opera di un hacker. Il messaggio è stato presto rimosso e nel pomeriggio verrà ripristinato il numero de La Stefani cancellato ieri. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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