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    9 marzo 2009 - 13 Adar 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Oggi 13 di Adar, vigilia di Purim, è il digiuno di Ester. In base a cosa fu istituito? Nel racconto biblico Ester chiede che tutta la comunità digiuni per lei per tre giorni, in preparazione al suo incontro con il re Assuero. Sono tre giorni di digiuno e il periodo dell'anno è quello di Nissan, a Pesach, non Adar. Il 13 di Adar è invece il giorno prescelto da Haman per la strage degli ebrei. Il rotolo di Ester spiega che una legge imperiale, una volta emessa, non poteva essere abrogata, ma poteva essere adottata una contromisura. Per cui se la legge che prescriveva di sterminare gli ebrei non poteva essere abrogata, se ne fece un'altra che consentì loro di difendersi. Il 13 di Adar si trasformò così da giorno dello sterminio programmato in un giorno di battaglia in cui i nemici degli ebrei ebbero la peggio. Se oggi si digiuna è quindi in qualche modo in ricordo del digiuno di Ester ma anche e soprattutto in ricordo di un giorno cruento. Ne deriva l'insegnamento per cui le feste ebraiche non si fanno per i giorni di guerra, Purim è il giorno dopo, quello in cui "gli ebrei ebbero tregua dai loro nemici". 
Con grande lucidità, Ian Buruma pone sul Corriere di ieri un quesito importante: dove arrivano i limiti della libertà di opinione? dov'è che la libertà di dire ciò che si vuole diventa istigazione all'odio, e come proteggersene?  Buruma sottolinea la difficoltà di trarre una linea di confine netta, e preferirebbe, in sostanza, evitare di colpire anche le opinioni più odiose, come quella di Williamson, con provvedimenti coercitivi. L'ho sostenuto anch'io, in passato, e ancora penso  che non bisogna trasformare gli imbecilli in martiri del libero pensiero. Ma confesso di avere ormai delle esitazioni, le stesse che ritrovo nell'articolo di Buruma ma a cui lo studioso non dà risposta. Perché quando gli imbecilli sono insegnanti, muniti dell'autorità del loro ruolo, le cose cambiano. Così quando sono vescovi, e non di una setta screditata, ma muniti del sigillo della Chiesa di Roma. Sono d'accordo, i rigori della legge non risolvono il problema. Ma forse possiamo cominciare a pensarlo non in termini di giustizia, è giusto o ingiusto colpire delle opinioni?, ma di utilità: cosa è più efficace per evitare che imbecilli di tal fatta combinino troppi guai, istighino alla violenza e alla sopraffazione, e via discorrendo verso non so quali disastrose mete nemmeno troppo lontane? Davvero, io non ho risposte, solo domande.  Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Tanakh online con il commento interattivo
La più affollata lezione di Torah riparte dal web


Il tempo delle enciclopedie che in venti volumi occupavano un’intera libreria, ma non offrivano mai informazioni sufficienti sta velocemente tramontando. Oggi enciclopedia è diventato sinonimo di Wikipedia, la colossale enciclopedia online aperta al contributo della collettività, la più universale della storia, perché i suoi contenuti coprono qualunque argomento, ma soprattutto perché compilata da chiunque abbia voluto contribuire.
Non è semplice pensare alla Torah, e immaginare che possa avvenire la stessa cosa. Ma la tecnologia ci consente ormai di muoverci in pochi istanti nei meandri di procedure interpretative molto complesse, di scegliere un passo, di leggerlo, di cercare di capire attraverso i commenti dei Maestri. Poi magari ne discutiamo a lezione. La Torah, a differenza delle enciclopedie cartacee, non sarai mai superata perché il suo contenuto è la sorgente della vita. Ma il World Wide Web può contribuire a diffonderne la conoscenza.
Da questi presupposti prende spunto Tagged Tanakh, un ambizioso progetto della Jewish Publication Society. Fondata nel 1888 negli Stati Uniti allo scopo di fornire ai figli degli immigrati ebrei testi sulle proprie tradizioni nella loro nuova lingua, la JPS da 120 anni si dedica a pubblicazioni legate all’ebraismo.
L’obiettivo odierno è quello di rendere disponibile online l’intero Tanakh, corredato da traduzione in inglese e contributi di tutti i principali commentatori, con accesso tramite link dalle parole. Ma la vera novità sarà quella di poter aggiungere, cioè, “taggare” anche il proprio punto di vista sul passo, costruendo una personale rete di commenti e dibattito, con l’opportunità di consultare anche i contributi degli altri utenti.

Tagged Tanakh

“Tradizionalmente solo i commenti di maestri del calibro di Rashì e Tosefot trovano spazio nel Talmud” spiega J.T. Waldman, direttore della JPS Interactive e responsabile del progetto. “Con il Tagged Tanakh vogliamo dare a tutti la possibilità di cercare, proporre e confrontare le interpretazioni.”
Avviato nel 2007, il progetto ha ricevuto una donazione di 200 mila dollari dalla Ziering Family Foundation e prevede di rendere disponibile online i primi 20 capitoli del libro della Genesi (Bereshit) entro giugno. Si calcola che per completare l'opera saranno necessari tra i tre e i cinque anni, per un costo stimato in due milioni e mezzo di dollari.
Naturalmente gli ostacoli da superare sono molti. È necessario decidere come accostare il testo ebraico alla traduzione inglese, come strutturare la mole di commenti che verranno apposti e assicurare adeguata flessibilità. Occorrerà inoltre garantire che i commenti e le interpretazioni proposti dagli utenti si mantengano adeguati, perché l’opportunità per tutti di proporre la propria opinione non si riveli controproducente e non finisca per svilire il significato del progetto. Quale sarà la reazione degli utenti a questa nuova possibilità, rimane infatti una grande incognita. Ed è ovviamente da evitare che la discussione scada come spesso avviene in blog e forum.
Tuttavia, se il progetto progredirà come sperano gli organizzatori, il Tagged Tanakh potrebbe rappresentare davvero l’inizio di una nuova dimensione per lo studio della Torah, in cui ebrei di ogni parte del mondo, esperti rabbini ma anche gente comune, saranno potranno tornare a studiare assieme per la più affollata lezione di Torah che abbia mai avuto luogo.

Rossella Tercatin 




MIGHTY HANDS OF GEMMIS enhancedLa nuova creatività del Medio Oriente in mostra,
ma manca il coraggio di parlare di Israele


Si intitola significativamente “Svelata” (Unveiled) : arte nuova dal Medio Oriente la mostra che il fortunato e per molti aspetti geniale art dealer e talent scout Charles Saatchi propone nella sua prestigiosa galleria londinese fino al 9 maggio. Una mostra che già dal titolo promette di infilare dritto dritto il dito nella piaga dei tabù che soffocano buona parte del Medio Oriente e sollevare quindi una congrua dose di scandalo e di interesse mediatico.

Promesse mantenute. Il velo, al centro di controversie politiche e sociali infinite, soprattutto in Europa, in mostra si trova al centro dell’attacco o della sferzante ironia di 21 artisti contemporanei, attivi fra USA, Europa, mondo arabo e Iran (nell'immagine un opera dell'egiziano Khaled Hafez). E Saatchi implicitamente si proclama loro scopritore, anzi “disvelatore”, anche se questo non è vero perché quasi tutti gli artisti in mostra hanno già alle spalle un lunghissimo curriculum, pieno di personali e di partecipazioni a biennali e altre rassegne internazionali.

Tuttavia la stampa grida al miracolo: l’arte islamica, si sente dire, o alternativamente “araba” (è molto difficile per molti giornalisti usare correttamente e a proposito i due aggettivi: spessissimo, negli articoli d’arte e di cultura pubblicati in Italia “arabo” e “islamico” sono usati come sinonimi e il secondo, in generale, “piace” di più) non è integralista e non è solo astratta. Anche in quei posti tormentati ci sono “artisti del dissenso”, gente che all’ombra delle moschee rema contro, accusa e fa sarcasmo.

Bella scoperta. Certo che ci sono. Chiunque si interessi anche superficialmente di arte contemporanea prodotta in Asia, Africa o nel cosiddetto “Medio Oriente”, sa benissimo che da quelle parti emergono continuamente decine e decine di nuovi talenti (infinitamente più numerosi di quelli che Saatchi presenta, ça va sans dire), sostenuti spesso dall’esistenza di una tradizione moderna, cioè da almeno tre-cinque (secondo i paesi) generazioni di pittori e scultori in buona parte formatisi in Europa dove hanno appreso gli stili e le tecniche caratteristiche del Novecento; e sostenuti oggi soprattutto dai petrodollari che affluiscono copiosi come non mai dagli Emirati – nonostante la crisi - e da una moda travolgente. Talmente travolgente che nemmeno Saatchi ha potuto resisterle e arriva buon ultimo, dopo la Tate, il Pompidou, il KunstMuseum di Bonn, la Fondazione Tapies di Barcellona, il Moma di New York e persino il Macro di Roma, a presentare questo tipo di lavori.

D’altra parte non è difficile immaginare che moltissimi artisti arabi contemporanei siano dei laici che temono più di ogni altra cosa le donne bardate di veli neri e gli integralisti islamici, per l’ottima ragione che i fondamentalisti, non appena ne hanno il potere o anche semplicemente l’occasione, impediscono loro di lavorare, di coltivare liberamente la loro espressione e il loro talento e addirittura di studiare arte, improvvisamente bollata come “degenerata propaganda occidentale” (un aggettivo che suona familiare… no ?).

Come è accaduto in Algeria, dove molti musicisti e pittori e professori d’arte sono stati sgozzati dagli integralisti, come è accaduto nell’Afghanistan dei talebani e, in misura minore, potrebbe accadere anche in Egitto, dove peraltro modelli e modelle nude nelle Accademie d’arte sono stati banditi già nel 1970 su pressione dei Fratelli Musulmani.

Quindi non c’è molto da sorprendersi; certo c’è da essere solidali, sempre, con l’arte come manifestazione di libertà personale contrapposta all’oscurantismo.

Ma secondo me c’è anche da chiedersi che cosa nella mostra di Saatchi e in molte altre dedicate all’argomento si intenda per “Medio Oriente”: in genere questa formula include iraniani, arabi, maghrebini, spesso anche turchi, ma -esclude, anzi passa sotto un tombale silenzio, gli israeliani.

Come se gli artisti israeliani non fossero in Medio Oriente e potessero tranquillamente essere ignorati; esattamente come coloro che hanno scelto di proclamare Gerusalemme capitale araba (!) della cultura 2009 fanno finta di ignorare Israele e i problemi insormontabili di collegamento, trasporti e comunicazione che questa elezione, puramente provocatoria, comporta.

Infatti non tutti sanno e non tutti ricordano che in Libano esiste ancora ed è ben vigente una legge che considera colpevole di tradimento nei confronti dello stato qualunque cittadino che intrattenga relazioni ufficiali di qualsivoglia tipo con cittadini o istituzioni israeliane: quindi anche un artista che esponga in una mostra insieme a israeliani è imputabile e condannabile in base a questa legge. Ovviamente c’è anche da ricordare che nessun siriano può rientrare nel suo paese dopo aver messo piede in Israele, pardon, nella “Palestina occupata”.

Sarà dunque facile per artisti e intellettuali libanesi e siriani affluire copiosi ai festeggiamenti gerosolimitani e poi tornarsene felicemente a casa. Ma questo lo vedremo.

Intanto giova osservare che la mostra di Saatchi, come moltissime altre, evita semplicemente il problema ed elude la “prova del fuoco” del confronto vero, dello scambio vero, dell’apertura vera che è quella che spalanca i ghetti e rimette Israele al suo posto sulla mappa, presentando i suoi artisti spesso infinitamente più agguerriti e intraprendenti
verso l’altro di quanto non vogliano credere i curatori occidentali così politically correct

Un confronto che peraltro fra artisti e uomini di cultura è tendenzialmente più facile o almeno possibile più che in altri contesti.

E chissà che a forza di gocce magari non si riempia il mare ma almeno un laghetto.


Unveiled. New art from Middle East, Saatchi Gallery, Duke of York's HQ, King's Road, London, fino al 9 maggio, 10am-6pm tutti i giorni.
www.saatchi-gallery.co.uk 

Martina Corgnati, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia Albertina di Torino
 
 
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  Donatella De Cesare, filosofaI marrani, le feste ebraiche e il digiuno di Ester

Non si sa molto sul modo in cui i marrani continuassero a celebrare le feste ebraiche. Al di là del grande ridimensionamento del ciclo festivo, c’era però una ricorrenza che aveva acquistato enorme importanza: il digiuno di Ester. Nei verbali dell’Inquisizione quel digiuno era la prima data considerata “sospetta”. Purim aveva assunto per i marrani dignità superiore a quella di Kippur. Tutto, però, del Purim era stato dimenticato – in particolare la gioia. Avevano mantenuto solo il digiuno che osservavano con rigore sconosciuto all’ebraismo tradizionale. Lo prolungavano – in ricordo della regina (Ester 4, 16) – per tre giorni.

Non sorprende che i conversos, per i loro grandi sensi di colpa, la loro afflizione e la loro mestizia, scorgessero in Ester, la “segreta”, capace di rivelare al momento opportuno l’identità a cui era rimasta fedele, il simbolo, splendido e potente, della loro esecrabile condizione. Il più grande poeta marrano João Pinto Delgado ha scritto questi versi nel suo Poema della regina Ester: “lo splendore che sprigiona la sua bellezza rischiara la notte e oscura il giorno”. Sta qui forse il senso dell’esperienza marrana: la vita è giocata nella negatività della notte, mentre il giorno dell’esistenza, nella storia ebraica, affonda fino a scomparire.

Sappiamo che la storia di Estèr simula il nascondersi Divino – “… e Io continuerò a nascondere i Miei volti …”, hastér ’astìr (Deut 31, 18). Ma per l’ebraismo l’assenza è sempre traccia memore della presenza. Il marranesimo trovò invece il suo apogeo nella sola assenza (a cominciare dall’assenza senza gioia del digiuno). Forse per questo suo doloroso dibattersi nel buio quasi privo di tracce fu condannato alla sterilità fin quando i cripto-ebrei non riemersero finalmente alla luce fuori dalla loro Sefarad.  

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
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Poche notizie ma molte analisi sulla rassegna stampa di oggi. C’è  stato innanzitutto l’annuncio definitivo del programma del viaggio del papa in Israele a maggio (Giansoldati sul Messaggero, Stabile su Repubblica): oltre che nei luoghi santi del cristianesimo andrà a Yad Vashem, dove una commissione di storici si è riunita per vedere se potrà trovare un accordo sulla scritta dell’esposizione che accusa Pio XII di inerzia durante la Shoà (Battistini sul Corriere). Lo stesso papa, in visita al Campidoglio, sarà oggi contestato da radicali e comunisti italiani, come hanno annunciato (notizie sul Corriere e sul Messaggero in cronaca romana).
Lo “storico” negazionista David Irving ha organizzato un ignobile mercatino elettronico di cimeli nazisti (Virginia Lori sull’Unità, notizie sul Corriere e sul Mattino): vale la pena di parlarne tanto per mostrare a tutti quale sia lo spirito scientifico del revisionismo storico sulla Shoà. 
L’ex presidente di Israele Katsav, costretto alla dimissioni un  paio d’anni fa  per uno scandalo sessuale, è stato incriminato per stupro (Unità e Corriere della sera): è un’orribile notizia, ovviamente, che un alto dirigente politico si sia reso colpevole di un reato del genere. E’ consolante invece sapere che la giustizia israeliana non guarda in faccia nessuno.
La cosa più interessante da leggere sui giornali di oggi sono alcune analisi e interventi. Una riguarda il mondo islamico ed è la protesta, da parte di un ex terrorista islamico, Hamid Tawkif (sul Wall Street Journal) contro l’atteggiamento britannico e in genere europeo nei confronti del deputato olandese Geert Wilders, autore di un film che paragona il Corano a “Mein Kampf”, respinto recentemente all’ingresso in Gran Bretagna dove doveva tenere una conferenza alla Camera dei Lord. L’Europa sbaglia, dice Tawkif, sia a rinunciando a difendere la sua tradizionale libertà di espressione, sia nel merito, perché è vero, secondo lui, che l’Islam contemporaneo comprende la violenza contro gli infedeli e l’oppressione delle donne come fatti strutturali e non episodici.
Altre analisi riguardano la politica estera della nuova amministrazione americana che incomincia a delinearsi in pratica: Ferrari sul Corriere parla della riapertura alla Siria, Roger Cohen sullo Herald Tribune auspica che gli americani seguano la Gran Bretagna nel parlare con Hezbullah e Hamas, onde “distoglierli dalla violenza”. Gli fa eco Bernardo Valli su Repubblica, dicendo che è scoccata l’”ora del dialogo con i nemici”, Umberto De Giovannangeli  (l'Unità) parla di un “piano in quattro mosse” di Obama per risolvere il conflitto israelo palestinese, di cui farebbe parte oltre al ritorno ai confini del ’67 anche una sorta di “apertura” o internazionalizzazione di Gerusalemme. Solo Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa è critico e ammonisce sulla “trappola iraniana” in cui Hilary Clinton sarebbe caduta. Al centro di queste analisi starebbe l’ipotesi obamiana di “parlare con tutti”, mettendo in piedi trattative con l’Iran, la Siria, le forze terroriste in Libano e a Gaza, i telebani in Afganistan, chiunque non sia Osama bin Laden in persona (anche perché costui non ha mai chiesto trattative). Per quanto possiamo capirne noi da qui, è una strategia estremamente pericolosa e anche assai illusoria. Perché con tutte queste forze in realtà discorsi e trattative vi sono state, senza esito. Perché i loro obiettivi sono la distruzione dell’influsso occidentale fra Mediterraneo e Oceano Indiano, di cui lo stato di Israele è evidentemente il punto focale, ma che si estendono anche alle fonte di approvvigionamento energetico per America e Europa. Perché considerano la nostra civiltà un nemico strategico. Parlare non basterà, l’amministrazione americana dovrà fare concessioni, prevalentemente a spese di Israele. O quanto meno concedere tempo all’armamento atomico iraniano e al piccolo, ma non meno pericoloso riarmo di Hamas e Hezbullah. E’ chiaro che il governo israeliano, qualunque governo israeliano, apparirà come un ostacolo alla scelta di appeasement dell’amministrazione americana. Lo si è già visto con il conflitto fra Clinton e il sindaco di Gerusalemme sull’abbattimento di alcune case abusive accanto alla Città Vecchia (Logroscino sul Tempo). Il rischio, anche in Europa, è che sempre più Israele venga indicato come ostacolo alla pace. Una pace che inizia a somigliare a quella che Chamberlain sventolava nel ’38 dopo i colloqui di Monaco con Hitler. Peccato che non ci sia nessun Churchill all’orizzonte.

Ugo Volli 

 
 
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TempioFerrara festeggia i vent'anni di magistero                    
del suo rabbino Luciano Meir Caro
Tante persone in rappresentanza di dodici comunità. Un grande evento, fortemente desiderato, partecipato, allegro e frizzante. A Ferrara domenica mattina le vetrate della sinagoga lasciavano entrare il primo caldo sole primaverile, il presidente Michele Sacerdoti, sorridente, accoglieva famiglie, bambini in carrozzina, signore eleganti giovani e meno giovani tutti desiderosi di festeggiare vent’anni di impegno nella comunità estense del Rabbino Luciano Meir Caro da Torino. Lui emozionato è entrato accompagnato dal Baruch ha bà intonato dai suoi colleghi rabbanim di Venezia, Bologna e Padova.
Due ore fitte fitte ad ascoltare parole di Torah e semplici racconti di chi con il Rabbino Caro ha condiviso gioie e dolori, bar mitzwà, chuppà, tante vite vissute intorno all’Aron di Torino prima, Trieste poi e Ferrara ora. Un ebraismo italiano dal sapore antico che ritrova la gioia di stare insieme, di parlare di matrimoni e nascite, di orecchie di Amman e pulizie di Pesach, piccoli numeri ma infinite Toledoth, le nostre generazioni presenti, passate e future.
Citando Rabbi Shimon nei Piqué Avoth, le Massime dei padri che vengono lette nel periodo dell’Omer che intercorre tra Pesach e Shavuoth, la vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Claudia De Benedetti ha ricordato: "Ci sono tre corone: la corona della Torah, la corona del sacerdozio, la corona del regno; ma su tutte eccelle la corona del buon nome”. Ecco: citando una frase di sapore antico ho la certezza che il lavoro di fede e d’amore compiuto da Rav Luciano Caro, mio maestro fin dall’infanzia, può essere ascritto all’ultima importante corona che sovrasta i Rotoli della Torah.

Sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il testo integrale del saluto del Rav Caro alla sua Comunità. A lui, in questo momento così significativo della sua carriera di rabbino, un saluto affettuoso da tutta la redazione.


Allerta sicurezza, valichi chiusi per la festa di Purim
Tel Aviv, 8 mar -
Israele - Allerta sicurezza. Tutti i varchi con i territori palestinesi saranno chiusi in occasione della festività ebraica di Purim.
Festa che si celebra con le tradizionali sfilate carnevalesche e numerose manifestazioni in costume. La festa, destinata a culminare nel cosiddetto "martedì grasso ebraico", rappresenta un particolare sfida sul fronte della sicurezza poiché molte persone - secondo la consuetudine - la trascorreranno andando in giro in maschera. Il Purim rievoca una vicenda di 2.500 anni or sono, quando - stando alla tradizione - gli ebrei della Persia sfuggirono alla minaccia di uno sterminio grazie all'intervento divino e all'intercessione di una bella ragazza ebrea salita sul trono persiano come moglie del sovrano.

La Siria e la pace con Israele                                                                      
Beirut, 9 mar -
“La Siria è disposta a siglare un accordo di pace con Israele soltanto se con esso si risolverà anche la questione palestinese”. Questo quanto affermato dal presidente siriano Bashar al-Assad in un'intervista apparsa stamani sul quotidiano al-Khalij degli Emirati Arabi Uniti. Assad ha spiegato la grossa differenza che passa fra un "accordo di pace" e una "pace globale": "il primo – ha affermato il raìs di Damasco - è un pezzo di carta che si firma ma che non significa l'avvio di scambi commerciali, la
normalizzazione delle relazioni, confini o altro. E la nostra gente – ha avvertito Assad - non lo accetterebbe, specialmente perché così non si risolverebbe la questione del mezzo milione di palestinesi che si trovano nel nostro Paese".

Perciò un sì alla pace con Israele ma con dei limiti: solo se, oltre alla restituzione dei territori occupati, Israele risolverà una volta per tutte la questione palestinese. "Crediamo che se Israele firmasse con la Siria un accordo di pace, prima o poi metterebbe da parte la questione palestinese", ha aggiunto Assad. In forza della risoluzione Onu n.242 del 1967, la Siria rivendica la restituzione delle Alture del Golan, occupate da Israele 42 anni fa e annesse allo Stato ebraico nel 1981. I due Paesi hanno interrotto i negoziati pace diretti nel gennaio 2000. Contatti indiretti tra Damasco e Tel Aviv si erano avuti nei mesi scorsi ma sono stati prima interrotti da Israele in seguito alla crisi politica interna, e quindi sospesi da Damasco durante la recente offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza.

La violenza sulle donne e gli immigrati
Leggendo le note di David Bidussa, sempre acute anche se spesso un po' oscure, mi chiedo i motivi per cui talvolta dissento. Nella nota sulla violenza sulle donne credo di avere individuato il motivo del dissenso. La "premessa" del sillogismo utilizzato e cioè che "C'è un senso comune consolidato in Italia che identifica la violenza sulle donne come l'effetto dell'emergenza immigrazione" è palesemente falsa, e quindi false sono le conclusioni. Innanzitutto perché questo senso comune consolidato non c'è, dal momento che nessuno ritiene che la violenza sulle donne sia solo degli immigrati, in secondo luogo perché sociologi illustri della sinistra (come Luca Ricolfi) sostengono con dovizia di analisi che in rapporto al numero di immigrati la violenza sulle donne, così come altri reati, è molto più che proporzionale in chi arriva in Italia che nei cittadini italiani. Attraverso una falsa e deformata coscienza ideologica si creano delle premesse per poterle poi criticare. Personalmente credo che in una moderna democrazia (e io aggiungo) liberale non si debba essere né "paternalisti" né "buonisti", ma esigere il rispetto delle regole della nostra civiltà condensate nel dettato costituzionale. In sintesi, come dice Karl Popper "tolleranti con i tolleranti e intolleranti con gli intolleranti". Purtroppo non è così facile se, come sembra, sia il "multiculturalismo comunitario" anglosassone che l'"integrazionismo" francese sono miseramente falliti nei loro obbiettivi.
Guido Guastalla  
 
 
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