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L'Unione informa |
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9 marzo 2009 - 13 Adar 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Oggi
13 di Adar, vigilia di Purim, è il digiuno di Ester. In base a cosa fu
istituito? Nel racconto biblico Ester chiede che tutta la comunità
digiuni per lei per tre giorni, in preparazione al suo incontro con il
re Assuero. Sono tre giorni di digiuno e il periodo
dell'anno è quello di Nissan, a Pesach, non Adar. Il 13 di Adar è
invece il giorno prescelto da Haman per la strage degli ebrei. Il
rotolo di Ester spiega che una legge imperiale, una volta emessa, non
poteva essere abrogata, ma poteva essere adottata una contromisura. Per
cui se la legge che prescriveva di sterminare gli ebrei non poteva
essere abrogata, se ne fece un'altra che consentì loro di difendersi.
Il 13 di Adar si trasformò così da giorno dello sterminio
programmato in un giorno di battaglia in cui i nemici degli ebrei
ebbero la peggio. Se oggi si digiuna è quindi in qualche modo in
ricordo del digiuno di Ester ma anche e soprattutto in ricordo di un
giorno cruento. Ne deriva l'insegnamento per cui le feste ebraiche non
si fanno per i giorni di guerra, Purim è il giorno dopo, quello in cui
"gli ebrei ebbero tregua dai loro nemici". |
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Con grande lucidità, Ian Buruma pone sul Corriere di
ieri un quesito importante: dove arrivano i limiti della libertà di
opinione? dov'è che la libertà di dire ciò che si vuole diventa
istigazione all'odio, e come proteggersene? Buruma sottolinea la
difficoltà di trarre una linea di confine netta, e preferirebbe, in
sostanza, evitare di colpire anche le opinioni più odiose, come quella
di Williamson, con provvedimenti coercitivi. L'ho sostenuto anch'io, in
passato, e ancora penso che non bisogna trasformare gli imbecilli
in martiri del libero pensiero. Ma confesso di avere ormai delle
esitazioni, le stesse che ritrovo nell'articolo di Buruma ma a cui lo
studioso non dà risposta. Perché quando gli imbecilli sono insegnanti,
muniti dell'autorità del loro ruolo, le cose cambiano. Così quando sono
vescovi, e non di una setta screditata, ma muniti del sigillo della
Chiesa di Roma. Sono d'accordo, i rigori della legge non risolvono il
problema. Ma forse possiamo cominciare a pensarlo non in termini di
giustizia, è giusto o ingiusto colpire delle opinioni?, ma di
utilità: cosa è più efficace per evitare che imbecilli di tal fatta
combinino troppi guai, istighino alla violenza e alla sopraffazione, e
via discorrendo verso non so quali disastrose mete nemmeno troppo
lontane? Davvero, io non ho risposte, solo domande. |
Anna Foa,
storica |
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Tanakh online con il commento interattivo La più affollata lezione di Torah riparte dal web
Il
tempo delle enciclopedie che in venti volumi occupavano un’intera
libreria, ma non offrivano mai informazioni sufficienti sta velocemente
tramontando. Oggi enciclopedia è diventato sinonimo di Wikipedia, la
colossale enciclopedia online aperta al contributo della collettività,
la più universale della storia, perché i suoi contenuti coprono
qualunque argomento, ma soprattutto perché compilata da chiunque abbia
voluto contribuire. Non è semplice pensare alla Torah, e
immaginare che possa avvenire la stessa cosa. Ma la tecnologia ci
consente ormai di muoverci in pochi istanti nei meandri di procedure
interpretative molto complesse, di scegliere un passo, di leggerlo, di
cercare di capire attraverso i commenti dei Maestri. Poi magari ne
discutiamo a lezione. La Torah, a differenza delle enciclopedie
cartacee, non sarai mai superata perché il suo contenuto è la sorgente
della vita. Ma il World Wide Web può contribuire a diffonderne la
conoscenza. Da questi presupposti prende spunto Tagged Tanakh,
un ambizioso progetto della Jewish Publication Society. Fondata nel
1888 negli Stati Uniti allo scopo di fornire ai figli degli immigrati
ebrei testi sulle proprie tradizioni nella loro nuova lingua, la JPS da
120 anni si dedica a pubblicazioni legate all’ebraismo. L’obiettivo
odierno è quello di rendere disponibile online l’intero Tanakh,
corredato da traduzione in inglese e contributi di tutti i principali
commentatori, con accesso tramite link dalle parole. Ma la vera novità
sarà quella di poter aggiungere, cioè, “taggare” anche il proprio punto
di vista sul passo, costruendo una personale rete di commenti e
dibattito, con l’opportunità di consultare anche i contributi degli
altri utenti.

“Tradizionalmente
solo i commenti di maestri del calibro di Rashì e Tosefot trovano
spazio nel Talmud” spiega J.T. Waldman, direttore della JPS Interactive
e responsabile del progetto. “Con il Tagged Tanakh vogliamo dare a
tutti la possibilità di cercare, proporre e confrontare le
interpretazioni.” Avviato nel 2007, il progetto ha ricevuto una
donazione di 200 mila dollari dalla Ziering Family Foundation e prevede
di rendere disponibile online i primi 20 capitoli del libro della
Genesi (Bereshit) entro giugno. Si calcola che per completare l'opera
saranno necessari tra i tre e i cinque anni, per un costo stimato in
due milioni e mezzo di dollari. Naturalmente gli ostacoli da
superare sono molti. È necessario decidere come accostare il testo
ebraico alla traduzione inglese, come strutturare la mole di commenti
che verranno apposti e assicurare adeguata flessibilità. Occorrerà
inoltre garantire che i commenti e le interpretazioni proposti dagli
utenti si mantengano adeguati, perché l’opportunità per tutti di
proporre la propria opinione non si riveli controproducente e non
finisca per svilire il significato del progetto. Quale sarà la reazione
degli utenti a questa nuova possibilità, rimane infatti una grande
incognita. Ed è ovviamente da evitare che la discussione scada come
spesso avviene in blog e forum. Tuttavia, se il progetto
progredirà come sperano gli organizzatori, il Tagged Tanakh potrebbe
rappresentare davvero l’inizio di una nuova dimensione per lo studio
della Torah, in cui ebrei di ogni parte del mondo, esperti rabbini ma
anche gente comune, saranno potranno tornare a studiare assieme per la
più affollata lezione di Torah che abbia mai avuto luogo.
Rossella Tercatin
La nuova creatività del Medio Oriente in mostra, ma manca il coraggio di parlare di Israele
Si intitola significativamente “Svelata” (Unveiled) : arte nuova dal Medio Oriente la mostra che il fortunato e per molti aspetti geniale art dealer e talent scout Charles Saatchi
propone nella sua prestigiosa galleria londinese fino al 9 maggio. Una
mostra che già dal titolo promette di infilare dritto dritto il dito
nella piaga dei tabù che soffocano buona parte del Medio Oriente e
sollevare quindi una congrua dose di scandalo e di interesse mediatico.
Promesse
mantenute. Il velo, al centro di controversie politiche e sociali
infinite, soprattutto in Europa, in mostra si trova al centro
dell’attacco o della sferzante ironia di 21 artisti contemporanei,
attivi fra USA, Europa, mondo arabo e Iran (nell'immagine un opera
dell'egiziano Khaled Hafez). E Saatchi implicitamente si proclama loro
scopritore, anzi “disvelatore”, anche se questo non è vero perché quasi
tutti gli artisti in mostra hanno già alle spalle un lunghissimo
curriculum, pieno di personali e di partecipazioni a biennali e altre
rassegne internazionali.
Tuttavia la stampa grida al
miracolo: l’arte islamica, si sente dire, o alternativamente “araba” (è
molto difficile per molti giornalisti usare correttamente e a proposito
i due aggettivi: spessissimo, negli articoli d’arte e di cultura
pubblicati in Italia “arabo” e “islamico” sono usati come sinonimi e il
secondo, in generale, “piace” di più) non è integralista e non è solo
astratta. Anche in quei posti tormentati ci sono “artisti del
dissenso”, gente che all’ombra delle moschee rema contro, accusa e fa
sarcasmo.
Bella scoperta. Certo che ci sono. Chiunque si
interessi anche superficialmente di arte contemporanea prodotta in
Asia, Africa o nel cosiddetto “Medio Oriente”, sa benissimo che da
quelle parti emergono continuamente decine e decine di nuovi talenti
(infinitamente più numerosi di quelli che Saatchi presenta, ça va sans
dire), sostenuti spesso dall’esistenza di una tradizione moderna, cioè
da almeno tre-cinque (secondo i paesi) generazioni di pittori e
scultori in buona parte formatisi in Europa dove hanno appreso gli
stili e le tecniche caratteristiche del Novecento; e sostenuti oggi
soprattutto dai petrodollari che affluiscono copiosi come non mai dagli
Emirati – nonostante la crisi - e da una moda travolgente. Talmente
travolgente che nemmeno Saatchi ha potuto resisterle e arriva buon
ultimo, dopo la Tate, il Pompidou, il KunstMuseum di Bonn, la
Fondazione Tapies di Barcellona, il Moma di New York e persino il Macro
di Roma, a presentare questo tipo di lavori.
D’altra parte
non è difficile immaginare che moltissimi artisti arabi contemporanei
siano dei laici che temono più di ogni altra cosa le donne bardate di
veli neri e gli integralisti islamici, per l’ottima ragione che i
fondamentalisti, non appena ne hanno il potere o anche semplicemente
l’occasione, impediscono loro di lavorare, di coltivare liberamente la
loro espressione e il loro talento e addirittura di studiare arte,
improvvisamente bollata come “degenerata propaganda occidentale” (un
aggettivo che suona familiare… no ?).
Come è accaduto in
Algeria, dove molti musicisti e pittori e professori d’arte sono stati
sgozzati dagli integralisti, come è accaduto nell’Afghanistan dei
talebani e, in misura minore, potrebbe accadere anche in Egitto, dove
peraltro modelli e modelle nude nelle Accademie d’arte sono stati
banditi già nel 1970 su pressione dei Fratelli Musulmani.
Quindi
non c’è molto da sorprendersi; certo c’è da essere solidali, sempre,
con l’arte come manifestazione di libertà personale contrapposta
all’oscurantismo.
Ma secondo me c’è anche da chiedersi che
cosa nella mostra di Saatchi e in molte altre dedicate all’argomento si
intenda per “Medio Oriente”: in genere questa formula include iraniani,
arabi, maghrebini, spesso anche turchi, ma -esclude, anzi passa sotto
un tombale silenzio, gli israeliani.
Come se gli artisti
israeliani non fossero in Medio Oriente e potessero
tranquillamente essere ignorati; esattamente come coloro che hanno
scelto di proclamare Gerusalemme capitale araba (!) della cultura 2009
fanno finta di ignorare Israele e i problemi insormontabili di
collegamento, trasporti e comunicazione che questa elezione, puramente
provocatoria, comporta.
Infatti non tutti sanno e non tutti
ricordano che in Libano esiste ancora ed è ben vigente una legge che
considera colpevole di tradimento nei confronti dello stato qualunque
cittadino che intrattenga relazioni ufficiali di qualsivoglia tipo con
cittadini o istituzioni israeliane: quindi anche un artista che esponga
in una mostra insieme a israeliani è imputabile e condannabile in base
a questa legge. Ovviamente c’è anche da ricordare che nessun siriano
può rientrare nel suo paese dopo aver messo piede in Israele, pardon,
nella “Palestina occupata”.
Sarà dunque facile per artisti e
intellettuali libanesi e siriani affluire copiosi ai festeggiamenti
gerosolimitani e poi tornarsene felicemente a casa. Ma questo lo
vedremo.
Intanto giova osservare che la mostra di Saatchi,
come moltissime altre, evita semplicemente il problema ed elude la
“prova del fuoco” del confronto vero, dello scambio vero, dell’apertura
vera che è quella che spalanca i ghetti e rimette Israele al suo posto
sulla mappa, presentando i suoi artisti spesso infinitamente più
agguerriti e intraprendenti verso l’altro di quanto non vogliano credere i curatori occidentali così politically correct.
Un
confronto che peraltro fra artisti e uomini di cultura è
tendenzialmente più facile o almeno possibile più che in altri contesti.
E chissà che a forza di gocce magari non si riempia il mare ma almeno un laghetto.
Unveiled. New
art from Middle East, Saatchi Gallery, Duke of York's HQ, King's
Road, London, fino al 9 maggio, 10am-6pm tutti i giorni. www.saatchi-gallery.co.uk
Martina Corgnati, docente di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia Albertina di Torino |
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I marrani, le feste ebraiche e il digiuno di Ester
Non si sa molto sul modo in cui i marrani continuassero a celebrare le
feste ebraiche. Al di là del grande ridimensionamento del ciclo
festivo, c’era però una ricorrenza che aveva acquistato enorme
importanza: il digiuno di Ester. Nei verbali dell’Inquisizione quel
digiuno era la prima data considerata “sospetta”. Purim aveva assunto
per i marrani dignità superiore a quella di Kippur. Tutto, però, del
Purim era stato dimenticato – in particolare la gioia. Avevano
mantenuto solo il digiuno che osservavano con rigore sconosciuto
all’ebraismo tradizionale. Lo prolungavano – in ricordo della regina
(Ester 4, 16) – per tre giorni.
Non sorprende che i conversos,
per i loro grandi sensi di colpa, la loro afflizione e la loro
mestizia, scorgessero in Ester, la “segreta”, capace di rivelare al
momento opportuno l’identità a cui era rimasta fedele, il simbolo,
splendido e potente, della loro esecrabile condizione. Il più grande
poeta marrano João Pinto Delgado ha scritto questi versi nel suo Poema della regina Ester:
“lo splendore che sprigiona la sua bellezza rischiara la notte e oscura
il giorno”. Sta qui forse il senso dell’esperienza marrana: la vita è
giocata nella negatività della notte, mentre il giorno dell’esistenza,
nella storia ebraica, affonda fino a scomparire.
Sappiamo che la storia di Estèr simula il nascondersi Divino – “… e Io continuerò a nascondere i Miei volti …”, hastér ’astìr
(Deut 31, 18). Ma per l’ebraismo l’assenza è sempre traccia memore
della presenza. Il marranesimo trovò invece il suo apogeo nella sola
assenza (a cominciare dall’assenza senza gioia del digiuno). Forse per
questo suo doloroso dibattersi nel buio quasi privo di tracce fu
condannato alla sterilità fin quando i cripto-ebrei non riemersero
finalmente alla luce fuori dalla loro Sefarad.
Donatella Di Cesare, filosofa |
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rassegna stampa |
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Poche
notizie ma molte analisi sulla rassegna stampa di oggi. C’è stato
innanzitutto l’annuncio definitivo del programma del viaggio del papa
in Israele a maggio (Giansoldati sul Messaggero, Stabile su Repubblica):
oltre che nei luoghi santi del cristianesimo andrà a Yad Vashem, dove
una commissione di storici si è riunita per vedere se potrà trovare un
accordo sulla scritta dell’esposizione che accusa Pio XII di inerzia
durante la Shoà (Battistini sul Corriere).
Lo stesso papa, in visita al Campidoglio, sarà oggi contestato da
radicali e comunisti italiani, come hanno annunciato (notizie sul Corriere e sul Messaggero in cronaca romana). Lo “storico” negazionista David Irving ha organizzato un ignobile mercatino elettronico di cimeli nazisti (Virginia Lori sull’Unità, notizie sul Corriere e sul Mattino):
vale la pena di parlarne tanto per mostrare a tutti quale sia lo
spirito scientifico del revisionismo storico sulla Shoà. L’ex
presidente di Israele Katsav, costretto alla dimissioni un paio
d’anni fa per uno scandalo sessuale, è stato incriminato per
stupro (Unità e Corriere della sera):
è un’orribile notizia, ovviamente, che un alto dirigente politico si
sia reso colpevole di un reato del genere. E’ consolante invece sapere
che la giustizia israeliana non guarda in faccia nessuno. La cosa
più interessante da leggere sui giornali di oggi sono alcune analisi e
interventi. Una riguarda il mondo islamico ed è la protesta, da parte
di un ex terrorista islamico, Hamid Tawkif (sul Wall Street Journal)
contro l’atteggiamento britannico e in genere europeo nei confronti del
deputato olandese Geert Wilders, autore di un film che paragona il
Corano a “Mein Kampf”, respinto recentemente all’ingresso in Gran
Bretagna dove doveva tenere una conferenza alla Camera dei Lord.
L’Europa sbaglia, dice Tawkif, sia a rinunciando a difendere la sua
tradizionale libertà di espressione, sia nel merito, perché è vero,
secondo lui, che l’Islam contemporaneo comprende la violenza contro gli
infedeli e l’oppressione delle donne come fatti strutturali e non
episodici. Altre analisi riguardano la politica estera della
nuova amministrazione americana che incomincia a delinearsi in pratica:
Ferrari sul Corriere parla della riapertura alla Siria, Roger Cohen sullo Herald Tribune auspica
che gli americani seguano la Gran Bretagna nel parlare con Hezbullah e
Hamas, onde “distoglierli dalla violenza”. Gli fa eco Bernardo Valli su
Repubblica, dicendo che è scoccata l’”ora del dialogo con i nemici”, Umberto De Giovannangeli (l'Unità)
parla di un “piano in quattro mosse” di Obama per risolvere il
conflitto israelo palestinese, di cui farebbe parte oltre al ritorno ai
confini del ’67 anche una sorta di “apertura” o internazionalizzazione
di Gerusalemme. Solo Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa è
critico e ammonisce sulla “trappola iraniana” in cui Hilary Clinton
sarebbe caduta. Al centro di queste analisi starebbe l’ipotesi obamiana
di “parlare con tutti”, mettendo in piedi trattative con l’Iran, la
Siria, le forze terroriste in Libano e a Gaza, i telebani in
Afganistan, chiunque non sia Osama bin Laden in persona (anche perché
costui non ha mai chiesto trattative). Per quanto possiamo capirne noi
da qui, è una strategia estremamente pericolosa e anche assai
illusoria. Perché con tutte queste forze in realtà discorsi e
trattative vi sono state, senza esito. Perché i loro obiettivi sono la
distruzione dell’influsso occidentale fra Mediterraneo e Oceano
Indiano, di cui lo stato di Israele è evidentemente il punto focale, ma
che si estendono anche alle fonte di approvvigionamento energetico per
America e Europa. Perché considerano la nostra civiltà un nemico
strategico. Parlare non basterà, l’amministrazione americana dovrà fare
concessioni, prevalentemente a spese di Israele. O quanto meno
concedere tempo all’armamento atomico iraniano e al piccolo, ma non
meno pericoloso riarmo di Hamas e Hezbullah. E’ chiaro che il governo
israeliano, qualunque governo israeliano, apparirà come un ostacolo
alla scelta di appeasement dell’amministrazione americana. Lo si è già
visto con il conflitto fra Clinton e il sindaco di Gerusalemme
sull’abbattimento di alcune case abusive accanto alla Città Vecchia
(Logroscino sul Tempo).
Il rischio, anche in Europa, è che sempre più Israele venga indicato
come ostacolo alla pace. Una pace che inizia a somigliare a quella che
Chamberlain sventolava nel ’38 dopo i colloqui di Monaco con Hitler.
Peccato che non ci sia nessun Churchill all’orizzonte.
Ugo Volli |
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notizieflash |
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Ferrara festeggia i vent'anni di magistero del suo rabbino Luciano Meir Caro Tante
persone in rappresentanza di dodici comunità. Un grande evento,
fortemente desiderato, partecipato, allegro e frizzante. A Ferrara
domenica mattina le vetrate della sinagoga lasciavano entrare il primo
caldo sole primaverile, il presidente Michele Sacerdoti,
sorridente, accoglieva famiglie, bambini in carrozzina, signore
eleganti giovani e meno giovani tutti desiderosi di festeggiare
vent’anni di impegno nella comunità estense del Rabbino Luciano Meir Caro da Torino. Lui emozionato è entrato accompagnato dal Baruch ha bà intonato dai suoi colleghi rabbanim di Venezia, Bologna e Padova. Due
ore fitte fitte ad ascoltare parole di Torah e semplici racconti di chi
con il Rabbino Caro ha condiviso gioie e dolori, bar mitzwà, chuppà,
tante vite vissute intorno all’Aron di Torino prima, Trieste poi e
Ferrara ora. Un ebraismo italiano dal sapore antico che ritrova la
gioia di stare insieme, di parlare di matrimoni e nascite, di orecchie
di Amman e pulizie di Pesach, piccoli numeri ma infinite Toledoth, le
nostre generazioni presenti, passate e future. Citando Rabbi
Shimon nei Piqué Avoth, le Massime dei padri che vengono lette nel
periodo dell’Omer che intercorre tra Pesach e Shavuoth, la
vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Claudia De Benedetti
ha ricordato: "Ci sono tre corone: la corona della Torah, la corona del
sacerdozio, la corona del regno; ma su tutte eccelle la corona del buon
nome”. Ecco: citando una frase di sapore antico ho la certezza che il
lavoro di fede e d’amore compiuto da Rav Luciano Caro, mio maestro fin
dall’infanzia, può essere ascritto all’ultima importante corona che
sovrasta i Rotoli della Torah.
Sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it
il testo integrale del saluto del Rav Caro alla sua Comunità. A lui, in
questo momento così significativo della sua carriera di rabbino, un
saluto affettuoso da tutta la redazione.
Allerta sicurezza, valichi chiusi per la festa di Purim Tel Aviv, 8 mar - Israele
- Allerta sicurezza. Tutti i varchi con i territori palestinesi saranno
chiusi in occasione della festività ebraica di Purim. Festa che si
celebra con le tradizionali sfilate carnevalesche e numerose
manifestazioni in costume. La festa, destinata a culminare nel
cosiddetto "martedì grasso ebraico", rappresenta un particolare sfida
sul fronte della sicurezza poiché molte persone - secondo la
consuetudine - la trascorreranno andando in giro in maschera. Il Purim
rievoca una vicenda di 2.500 anni or sono, quando - stando alla
tradizione - gli ebrei della Persia sfuggirono alla minaccia di uno
sterminio grazie all'intervento divino e all'intercessione di una bella
ragazza ebrea salita sul trono persiano come moglie del sovrano.
La Siria e la pace con Israele
Beirut, 9 mar - “La
Siria è disposta a siglare un accordo di pace con Israele soltanto se
con esso si risolverà anche la questione palestinese”. Questo
quanto affermato dal presidente siriano Bashar al-Assad in
un'intervista apparsa stamani sul quotidiano al-Khalij degli Emirati
Arabi Uniti. Assad ha spiegato la
grossa differenza che passa fra un "accordo di pace" e una "pace
globale": "il primo – ha affermato il raìs di Damasco - è un pezzo di
carta che si firma ma che non significa l'avvio di scambi commerciali,
la normalizzazione delle relazioni, confini o altro. E la nostra
gente – ha avvertito Assad - non lo accetterebbe, specialmente perché
così non si risolverebbe la questione del mezzo milione di palestinesi
che si trovano nel nostro Paese". Perciò
un sì alla pace con Israele ma con dei limiti: solo se, oltre alla
restituzione dei territori occupati, Israele risolverà una volta per
tutte la questione palestinese. "Crediamo che se Israele firmasse con
la Siria un accordo di pace, prima o poi metterebbe da parte la
questione palestinese", ha aggiunto Assad. In forza della risoluzione
Onu n.242 del 1967, la Siria rivendica la restituzione delle Alture del
Golan, occupate da Israele 42 anni fa e annesse allo Stato ebraico nel
1981. I due Paesi hanno interrotto i negoziati pace diretti nel gennaio
2000. Contatti indiretti tra Damasco e Tel Aviv si erano avuti nei mesi
scorsi ma sono stati prima interrotti da Israele in seguito alla crisi
politica interna, e quindi sospesi da Damasco durante la recente
offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza.
La violenza sulle donne e gli immigrati Leggendo le note di David Bidussa,
sempre acute anche se spesso un po' oscure, mi chiedo i motivi per cui
talvolta dissento. Nella nota sulla violenza sulle donne credo di avere
individuato il motivo del dissenso. La "premessa" del sillogismo
utilizzato e cioè che "C'è un senso comune consolidato in Italia che
identifica la violenza sulle donne come l'effetto dell'emergenza
immigrazione" è palesemente falsa, e quindi false sono le conclusioni.
Innanzitutto perché questo senso comune consolidato non c'è, dal
momento che nessuno ritiene che la violenza sulle donne sia solo degli
immigrati, in secondo luogo perché sociologi illustri della sinistra
(come Luca Ricolfi) sostengono con dovizia di analisi che in rapporto
al numero di immigrati la violenza sulle donne, così come altri reati,
è molto più che proporzionale in chi arriva in Italia che nei cittadini
italiani. Attraverso una falsa e deformata coscienza ideologica si
creano delle premesse per poterle poi criticare. Personalmente credo
che in una moderna democrazia (e io aggiungo) liberale non si debba
essere né "paternalisti" né "buonisti", ma esigere il rispetto delle
regole della nostra civiltà condensate nel dettato costituzionale. In
sintesi, come dice Karl Popper "tolleranti con i tolleranti e
intolleranti con gli intolleranti". Purtroppo non è così facile se,
come sembra, sia il "multiculturalismo comunitario" anglosassone che
l'"integrazionismo" francese sono miseramente falliti nei loro
obbiettivi. Guido Guastalla |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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