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L'Unione informa |
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27 marzo 2009 - 2 Nisan 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
L’ebraico
è una lingua veramente strana. Kadìma significa avanti ma deriva dal
vocabolo kòdem che significa indietro. Proviamo a spiegare. Nella Torà
è scritto: veshinnantàm levanèkha - lo insegnerai ai tuoi figli. Il
Talmùd interpreta: banèkha ellu talmidèkha - i figli di cui qui si
parla non sono figli biologici ma gli alunni che per un Maestro sono
come dei figli. Nella Torà, riguardo all’uscita dall’Egitto è poi
scritto: vehiggadtà levinkhà - lo racconterai a tuo figlio. Il
Talmud spiega: mitzvà haav ‘al habèn - il precetto è che proprio
il padre, e non un Maestro, racconti al figlio. Un Maestro può al
massimo insegnare ma solo un padre può raccontare. Durante un racconto
si partecipa alla storia e la si vive come in prima persona. Un
genitore è l’unico veramente in grado di far rivivere ad un ragazzo il
proprio passato, il suo kòdem, e ritrovare in questo la forza di vivere
il proprio futuro, il suo kadìma. |
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La mente, nonostante i suoi miliardi di neuroni, resta un muscolo. Come gli altri muscoli è nata per servire, non per dominare. |
Vittorio Dan Segre,
pensionato |
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Qui Torino – La figura del rav Dario Disegni Un rabbino italiano protagonista del '900
Ha
suscitato grande interesse e successo, la mostra “Una storia del
Novecento: il rabbino Dario Disegni” allestita nei locali della
Comunità Ebraica di Torino e conclusasi da pochi giorni.
L’appassionante impresa di ricostruire la vicenda biografica di questo
personaggio centrale dell’ebraismo italiano (nell'immagine mentre
conduce la Teffilà dinanzi al Tempio di Torino distrutto dai
bombardamenti), condotta da Alberto Cavaglion, Lucetta Levi Momigliano
e Isabella Massabò Ricci, unisce molti interessanti percorsi. L'iniziativa
ha ripercorso il periodo storico dei conflitti che hanno funestato il
ventesimo secolo dalla prospettiva di un rabbino che ha sempre vissuto
in prima linea, noncurante delle difficoltà e dei pericoli della
missione che si era prefissato. Negli anni della Grande Guerra rav
Disegni esercitò il suo magistero ai confini dell’Impero
austroungarico, nella Comunità Ebraica di Verona. Rivivere
quell’esperienza significa anche approfondire l’approccio del mondo
ebraico italiano, da poco emancipato, ai fenomeni di massificazione
della società e all’emergere di sentimenti nazionalisti e irredentisti
che tanto sconvolsero e dilaniarono il popolo italiano. E' stato così
riproposto lo stimolante tema dello scontro tra identità ebraica e
sentimento patriottico attraverso il difficile compito del rabbino di
guidare tutti i membri della sua comunità sulla strada della
coniugazione di queste due istanze. Seguendo gli spostamenti di
rav Disegni nel primo trentennio del secolo abbiamo uno scorcio di
diverse realtà ebraiche, da Firenze a Bucarest, da Tripoli a Torino. L’avvenimento
che segnò più dolorosamente la sua vita è senza dubbio la Seconda
Guerra Mondiale, che lo aggredì nei suoi affetti più cari. Ad Auschwitz
trovarono la morte sua figlia Annetta e la sua nipotina di otto anni,
Sissel. Dalle testimonianze sulla sua attività durante la guerra
ci si fa l’idea che il suo grande coraggio sfiorasse i limiti
dell’imprudenza, dell’incoscienza. Rimase stoicamente al suo posto e
attese con determinazione ai suoi compiti fino all’ultimo. Solo verso
la fine del 1943 fu costretto a rifugiarsi nell’Astigiano da una
famiglia contadina con cui mantenne sempre un forte legame dettato dal
sentimento di riconoscenza.
Ma la mostra è stata anche
un'occasione per comprendere la rifondazione dell’ebraismo nel
dopoguerra, di cui il rabbino Disegni fu un assoluto protagonista. In
particolare egli dedicò tutte le sue energie, fino alla fine della sua
vita, a due grandi imprese: la costruzione della scuola rabbinica da
lui diretta e intitolata al suo maestro Shemuel Margulies e la
monumentale opera di traduzione in italiano, tuttora in uso in diverse
comunità, dei siddurim per i giorni feriali, lo Shabbat, le festività,
e dell’intero codice biblico (Tanach). La scuola rabbinica
Margulies - Disegni rappresenta un vivaio di maestri dell’ebraismo
italiano. Ed è stato uno di quei casi in cui non sono gli allievi ad
andare a scuola, ma la scuola va dagli allievi. Rav Disegni ha portato
avanti un’instancabile ricerca lungo tutto il bacino Mediterraneo di
giovani promettenti cui far intraprendere studi ebraici. Era
determinato a formare un’adeguata classe rabbinica per le generazioni
avvenire. Ma l’impegno costante dei suoi ultimi anni fu dedicato
tutto, con inarrestabile caparbia anche in età avanzata, a donare agli
ebrei italiani la possibilità di seguire e comprendere le tefillot e la
lettura della Torà. Qui esercitò massimamente le sue indubbie doti di
organizzatore, radunò schiere di rabbini, traduttori e collaboratori,
finanziatori, editori… Quest’impresa senza precedenti fu possibile
solo grazie alla presenza, in una sola grande personalità, di una
vastissima cultura ebraica e umanistica, rare capacità
pratico-organizzative, attivismo incrollabile, comprensione umana delle
esigenze di una comunità, quella italiana, decimata dalla guerra e
sempre più distante, e forse anche quel pizzico d’incoscienza con cui
sdegnava le obiettive difficoltà (economiche, di salute) cui andava
incontro.
La mostra è stata utile anche a raccontare
l’affascinante vicenda umana, il ritratto di una personalità unica, del
suo pensiero, della sua concezione dell’ebraismo. La sua fu una vita
per l’ebraismo e per la sua gente, dominata, come racconta il rav
Giuseppe Laras, uno dei suoi allievi, dall’”imperativo morale e
l’impegno costante di diffondere la Torà e avvicinare alle fonti
dell’ebraismo i fratelli più lontani”. La sua immagine austera
(rimangono impressi i suoi modi burberi e sbrigativi, la sua statura,
il suo abito scuro, che vestiva con un immancabile cappello a tesa
larga) nascondeva in realtà sentimenti di affetto molto profondo e di
vicinanza umana nei confronti dei suoi allievi e di tutte le famiglie
della sua comunità, che si studiava di conoscere e seguire
personalmente. Erano qualità, le sue, non facili da trovare anche
nella maggiori figure del rabbinato, non solo per le conoscenze che
possedeva, ma anche per l'apertura verso le frange più distanti del
mondo ebraico e verso l’esterno. Fu lui, per esempio, a caldeggiare
l’apertura della scuola ebraica di Torino ai non ebrei, caratteristica
che rende l'istituto torinese un esempio raro in Europa, perché aveva
ben compreso il valore del dialogo e della collaborazione
interreligiosa nella costruzione di una mentalità collettiva della
tolleranza, perché considerava nefasto l’isolamento anche quando non è
coatto. “È importante lo studio che conduce all’azione pratica” fu
la massima su cui impostò la sua vita e il suo magistero. La sapienza e
le idee che lo caratterizzavano avevano valore solo in quanto base
teorica di un’applicazione concreta del suo senso etico. Dice di lui un
altro suo ben noto allievo, il rav Luciano Caro: “La coscienza profonda
che nasceva dalla sua vocazione di maestro lo guidò nella sua azione di
organizzatore, di suscitatore di sempre nuove imprese”. Questo
incessante dinamismo, insieme ad una fede genuina e profonda, e a una
ferrea moralità, forse fu il rifugio dalla disperazione e
l’annichilimento in cui avrebbe potuto gettarlo la tragedia della
perdita della figlia e della nipote.
La mostra è servita a
comprendere quanto l’ebraismo italiano sia debitore nei confronti di
questo personaggio, la cui attività, condotta al di fuori di gesti
eclatanti, ha lasciato una traccia profonda in chi l’ha conosciuto e
indirettamente nelle generazioni successive.
Manuel Disegni
Speciale Pesach 5769
Diario Domani
si legge la parashà di Waiqrà, inizio del libro del Levitico. Ieri è
iniziato il mese di Nisan. In questo mese in generale è vietato
digiunare, ad esclusione del Ta’anit Chalom, il digiuno che viene
osservato qualora si sia fatto un sogno sconvolgente. Durante Nisan non
si fa l’hesped (orazione funebre), se non per commemorare personalità
di grande rilievo. Si va al cimitero solo per sepolture, ricorrenze
(settimo, mese, fine anno) e anniversari. L’uso prevalente è di non
mangiare pane azzimo fino all’inizio di Pesach, per apprezzare la
“novità” della matzà la sera del Seder. Entro la fine del mese bisogna
recitare la benedizione per gli alberi, birkat hailanot.
Guida alle regole: Kitniot, legumi e affini Il
chametz deriva soltanto dalla lievitazione di cinque specie di cereali
e quindi solo questi dovrebbero essere proibiti. Alcune tradizioni
hanno però esteso il divieto ad altre specie vegetali, che vengono
indicate con il nome di Kitniòt. Letteralmente il termine indica i
legumi, ma comprende anche altri vegetali. Quindi non solo legumi in
senso stretto (come fagioli, ceci, lenticchie, piselli ecc.), ma anche
riso, mais, soia, mostarda. In tutti questi non esiste lievitazione,
chimutz, ma solo decomposizione proteica, sirchon. Sono stati tuttavia
proibiti per analogia e somiglianza alle modalità di uso dei cereali:
estrazione di farine, impasti, modi di cottura. Un’altra possibile
ragione del divieto è la possibilità di trovare in mezzo a questi
alimenti dei chicchi o frammenti di cereali. Praticamente il divieto si
è diffuso nel mondo Ashkenazita dal medioevo in avanti, ma non ha
coinvolto, se non parzialmente, i Sefarditi e gli Italiani. Anche
chi permette le specie considerate kitniot deve controllarle in
anticipo, verificando che nelle confezioni non siano dispersi residui
di cereali. Alcune ditte produttrici di riso vengono controllate e sono
più sicure in questo senso, in quanto garantiscono che nell’impianto
industriale si lavora solo riso e non cereali. Nelle guide pratiche a
cui si rimanda in questa pagina (come in quella di rav Somekh per
Torino) vi sono nomi consigliati e sconsigliati. Un criterio di buona
affidabilità è la garanzia (che viene data per proteggere i pazienti
celiaci) dell’assenza di glutine, in quanto il glutine è sinonimo di
cereale. Chi consente i legumi di solito non acquista quelli già cotti (come fagioli in scatola). Vi
sono molti prodotti industriali che derivano dai Kitniòt, come la
lecitina, dalla soia, e viene usata ad esempio nella cioccolata, e gli
zuccheri derivati dal mais, come il sorbitolo, il destrosio, il
glucosio. Altri prodotti sono l’anice, l’acido ascorbico e l’ascorbato
di calcio, l’aspartame, l’olio di canola, l’acido citrico (che può
essere direttametne derivato da chametz), il coriandolo, il cumino, il
miglio, le arachidi, i semi di papavero, di sesamo, di girasole, il
Tofu. Un campo particolare è quello delle medicine, dove si può
essere, per questo aspetto, più facilitanti; il divieto di kitniot non
si applica alle persone malate. Il divieto crea non pochi problemi
nella convivialità tra ebrei di differenti tradizioni. Di solito a
Pesach, anche per questi motivi, le normali regole di ospitalità in cui
si onorano gli ospiti con cibi sono in qualche modo sospese e limitate
per creare imbarazzi. Il livello dei rigori è tale, e vissuto con tale
soggettività, che ciascuno è tenuto a rispettare le scelte personali di
chi non accetta cibi fatti secondo i criteri che si è imposto.
Nel sito moked.it una pagina speciale, costantemente aggiornata, dedicata a Pesach, con istruzioni, pensieri e link.
Verso Pesach - Il malvagio al tavolo del Seder
"La
Torà parla di quattro tipi di figli: uno saggio, uno malvagio, uno
semplice e uno che non è capace di fare domande" (dalla Haggadà
di Pesach, traduzione di R.Bonfil)
Ci si può domandare
perché mai questo ordine: non sarebbe stato più logico mettere il
malvagio all'ultimo posto, riportando i figli secondo l'ordine della
loro saggezza? Spiega il grande mistico Rabbì Izchak Luria, noto come
l'Haarì Hakadosh, che i chachamim hanno voluto darci un ordine secondo
cui i figli debbono stare vicini, l'uno assieme all'altro. In questo
caso il saggio è l'unico che possa avere la capacità di aiutare il
malvagio, senza subirne a sua volta influenze negative. Mentre il
figlio che non è capace di fare domande può essere aiutato dal figlio
semplice, il figlio malvagio ha necessità di una grande luce, ha
necessità della vicinanza del saggio, e il saggio si prende cura del
malvagio…
Il rashà (malvagio) dice: “Che cos'è per voi questa cerimonia?” “Per voi, non per lui. Ed avendo egli escluso se stesso dalla collettività e rinnegato il principio basilare dell'Ebraismo…".
Il
passo chiede un commento, in quanto a prima vista non riusciamo a
capire come il malvagio abbia negato il principio basilare
dell'Ebraismo; non vediamo qui rinnegata la presenza di D-o Benedetto,
e allora?
Il Rav Avraham Kook e suo figlio, Rav Zvì
Yehuda, usavano dire ai loro discepoli che "proprio l'esclusione dalla
kedushà del klal Israel rappresenta la negazione del principio basilare
dell'Ebraismo" (Olat Re'aià 2,275), come possiamo apprendere anche
dalla Mechilta, Bo: "e siccome si è fatto uscire dal klal…". Si può
essere peccatori, anche gravi peccatori, ma sentirsi parte integrale
del klal Israel, del popolo ebraico.
Questa è anche la
lezione che ci ha insegnato Moshé Rabbenu subito dopo il peccato del
vitello d'oro; Mosè non è pronto ad accettare la proposta del Sign-re
di divenire il capo di un nuovo popolo ebraico e chiede al Sign-re di
perdonare al popolo o di cancellarlo dal Suo libro: si può dire che
Mosè supera la prova, mostrando un grande spirito di abnegazione e
amore per il suo popolo, anche se ha peccato, insegnando che non si può
mutare l'elezione di Israele; in questo popolo vi sono giusti
(Zadikim), uomini medi (benoniim) e anche malvagi (rashaim) e tutti
insieme formano il klal Israel: "Un ebreo che crede nella knesset
Israel è un ebreo che vive con la knesset Israel così com'è ed è pronto
a morire per lei, soffre per le sue sofferenze ed è lieto per la sua
gioia, partecipa alle sue guerre, rimedia le sue cadute e gioisce per
le sue vittorie…" (Rav Soloveitchik, Al hateshuvà).
Non si
può uno credere saggio, se lascia suo fratello con la sensazione di
essere escluso dalla vita del popolo ebraico: noi tutti eravamo schiavi
in terra d'Egitto e noi tutti fummo liberati da questa schiavitù.
Alfredo Mordechai Rabello, giurista - Università Ebraica di Gerusalemme |
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Cristopher Hitchens e la “deriva religiosa dell'esercito israeliano”
In un articolo sul Corriere della Sera Cristopher Hitchens parla di «deriva religiosa dell'esercito» in Israele in relazione ad alcune atrocità
che sarebbero state commesse durante la guerra a Gaza. Lasciamo
da parte il fatto che questi episodi hanno dato luogo a un
dibattito e a un diffuso malessere, mentre dall'altra parte le
atrocità sono oggetto di vanto, persino con la messa in scena di
rappresentazioni macabro-carnevalesche della detenzione del
soldato Shalit. Colpisce questa frase di Hitchens: «È giunto il
momento che gli Stati Uniti revochino tutti gli aiuti finanziari
a Israele che possano venire impiegati anche indirettamente nelle
attività degli insediamenti, non solo perché tale colonizzazione
rappresenta il furto della terra di un altro popolo, ma anche
perché la Costituzione americana ci vieta esplicitamente di
spendere denaro pubblico per il sostegno di qualunque fede
religiosa». Lungi da chi scrive difendere una qualsiasi forma di
fanatismo o integralismo religioso, ma che negli Stati Uniti non
sia stato mai speso un dollaro pubblico per il sostegno di
qualunque fede religiosa Hitchens può provare a raccontarlo alla
sua bisnonna centenaria, se ne ha una: non ci crederà neppure
lei. Chissà in quale tasche "laiche" arriva il fiume di dollari
che sta invadendo Gaza per la sua ricostruzione. Se questo è il
nuovo corso che sta prendendo piede negli Stati Uniti - con tanto
di manifestazione di simpatia per gli ayatollah (notoriamente
laici), persone "pragmatiche" a parte qualche caduta di stile, a
detta di Roger Cohen - allora non si tratta altro che di un
rigurgito di cinismo e di opportunismo coperto da un manto di
ipocrisia di dimensioni colossali.
Giorgio Israel, storico della scienza
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rassegna stampa |
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Molte
notiziole e poche nuove di un qualche interesse nella rassegna stampa
di oggi. Difficile anche stabilire una gerarchia di interesse o una
prevalenza di argomenti su altri. Alcune testate si soffermano su un
evento non meglio definito, un misterioso raid aereo che sarebbe stato
compiuto da Israele già due mesi fa contro un convoglio di autocarri in
Sudan. Così il Giornale, Alberto Stabile per la Repubblica, Roberto Bongiorni su il Sole, Francesco Battistini per il Corriere della Sera, Umberto De Giovannangeli su l’Unità e Paolo Alfieri su l’Avvenire.
Il convoglio, sempre secondo le fonti non meglio precisate, riprese
dall’americana Cbs, trasportava armi iraniane dirette a Gaza. Il tutto
si sarebbe compiuto nei giorni in cui era in corso l’operazione «piombo
fuso». L’evento in sé non sarebbe degno di neanche troppa attenzione se
non fosse per il fatto che segnala quali e quanti siano i fronti
critici aperti per Gerusalemme. L’Africa mediterranea, da questo punto
di vista, rappresenta un’area piena di implicazioni strategiche. Così
Guido Olimpo su il Corriere della Sera.
Porta di accesso al Medio Oriente asiatico, zona di costanti tumulti
dove alle coste arabe e musulmane si alternano e contrappongono i
giganteschi territori sahariani e subsahariani, luoghi in cui molti
conflitti tra popolazioni e gruppi autoctoni di diversa matrice etnica
e religiosa rimangono aperti, costituisce una delle nuove frontiere
geopolitiche con le quali occorre confrontarsi. Che il Sudan sia un
epicentro di tensioni è risaputo già da non poco. Quanto sia destinato
a contare lo potrà dire solo il tempo a venire. Un articolo di Fiamma
Nirenstein su il Giornale
ci spiega invece perché il governo che sta per essere varato in
Israele, e che vede insieme i due leader storici della destra Benjamin
Netanyahu e della sinistra Ehud Barak, sia la coalizione preferibile
per il paese. Dopo più di un mese di sfibranti contrattazioni parrebbe
che la nuova maggioranza sia finalmente in procinto di presentarsi alla
Knesset per ottenere la fiducia. Peraltro le prospettive che si
presentano al nuovo esecutivo sono ben poco avvincenti. A parte gli
effetti della crisi economica, che anche in Israele lasciano il loro
segno, c’è lo scottante problema del rapporto con i palestinesi. Prima
ancora che intraprendere nuovi negoziati di pace la nuova leadership
nazionale dovrà capire con quali interlocutori avrà a che fare in campo
palestinese. Che il quadro regionale sia poi una realtà di transizione,
ovvero destinata prima o poi a conoscere nuovi assetti, ce lo ricorda a
modo suo Michele Giorgio su il Manifesto
dove l’autore si sofferma, con giudizi secchi e severi, a tratti
ingenerosi, sulla disamina dei trent’anni trascorsi dagli accordi di
pace tra Sadat e Begin. Le firme di Camp David del 1979 di fatto
costituiscono a tutt’oggi, con l’eccezione del trattato di pace siglato
nel 1994 con la Giordania, l’espressione più importante di un accordo
quadro di stabilizzazione del quadro regionale. Saremo pure in
presenza, come dicono gli stessi israeliani, di una «pace fredda», ma
in buona sostanza si trattò della conclusione di un lungo periodo di
guerre. L’uscita dell’Egitto dal novero dei paesi nemici concesse una
diversa visuale strategica a Gerusalemme, offrendogli opportunità di
sopravvivenza fino ad allora assai più incerte. Che oggi il focolare
dell’instabilità si sia spostato verso l’Iran e altri paesi segnala
comunque quanto la pace di allora, che ha poi tenuto, malgrado tutto,
sia stata una scelta convincente e premiante per entrambi i contraenti.
La consapevolezza egiziana a quell’epoca era che dinanzi al fenomeno
montante del radicalismo islamico si dovesse operare con un netto
mutamento di scenario. Non di meno la leadership di Sadat riteneva che
nessuna guerra avrebbe completamente spazzato via una realtà oramai
consolidata come Israele. Gli anni Settanta, dopo il periodo delle
effervescenze di un leader come Nasser, e malgrado la guerra del
Kippur, servirono quindi a preparare le condizioni per una
trasformazione dei rapporti tra le due nazioni. Peraltro la stessa
questione palestinese, almeno così come è tematizzata ad oggi, trova il
suo fondamento proprio in quel laboratorio politico che furono gli
accordi firmati con l’avallo statunitense. Prima di allora i
palestinesi potevano contare su una ben minore visibilità politica,
essendo considerati come un semplice prolungamento di una “nazione
araba” la cui generosa solidarietà nei loro confronti si esprimeva
allora (come oggi) con la roboante militanza delle prese di posizione
di principio e l’assoluta assenza di fatti concreti. Ancora nel solco
del Medio Oriente si inserisce il viaggio di Joseph Ratzinger,
«pellegrino di pace», in Israele, Giordania e nei Territori palestinesi
tra l’8 e il 15 maggio. Si sofferma sul programma e sulle intenzioni
che stanno dietro alla visita Lorenzo Rosoli per l’Avvenire. Cosi anche Antonio Giuliano, sempre per l’Avvenire.Da ultima, una notiziola che ci chiama in causa. La dà Antonella Piperno per l’ «indiscreto», rubrica di Panorama.
Parrebbe – ed usiamo il condizionale – che una testata di cadenza
mensile, promossa dall’Unione, possa presto vedere la luce. Lasciamo ai
lettori il gusto di poterla, speriamo quanto prima, sfogliare con le
proprie mani.
Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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La Turchia si candida di nuovo per il ruolo di mediatrice fra Israele e Siria Ankara, 27 mar - “La
Turchia è pronta a riprendere il suo ruolo di mediatrice fra Israele e
Siria” questo l'annuncio fatto, nel corso di un'intervista radiofonica,
dal primo ministro turco Tayyip Erdogan, che promette il suo
impegno per la pace, e offre la sua disponibilità quale canale
indiritto fra Israele e Siria qualora i due Paesi decidano di riavviare
i loro colloqui di pace. E sottolinea "Noi siamo decisi a fare tutto il
possibile per la pace in Medio Oriente. Tutti i problemi si devono
risolvere al tavolo dei negoziati". I
negoziati indiretti avviatisi il 21 maggio del 2008, e annunciati a
sorpresa dalle tre parti in causa, hanno portato alla realizzazione di
quattro incontri a Istanbul. Una quinta tornata negoziale,
prevista per il 18 settembre, era stata invece rinviata all'ultimo
momento su richiesta dello Stato ebraico. I colloqui erano stati poi
sospesi a metà dicembre in vista delle elezioni generali israeliane e
quindi interrotti alla fine dello stesso mese dopo l'avvio, il 27,
dell'operazione militare israeliana "Piombo fuso" contro la Striscia di
Gaza. La Turchia, Paese laico ma a maggioranza musulmana, è il
principale alleato di Israele nella regione e con lo Stato ebraico ha
firmato un accordo di cooperazione militare nel 1996.
Gilad Shalit e lo scambio di prigionieri fra Israele e Hamas Tel Aviv, 27 mar - “Nessun
progresso è stato registrato nelle trattative fra Israele e Hamas per
uno scambio di progionieri”, questo l'annunciato fatto oggi dalla radio
militare israeliana. Secondo l'emittente, Israele rifiuta ancora di
liberare 125 detenuti palestinesi i cui nomi figurano in una lista
inoltrata a suo tempo da Hamas. In Israele, ha aggiunto la radio, si
attende dunque che Hamas inoltri - attraverso i mediatori egiziani -
una lista corretta. Quanto sta accadendo intorno a queste trattative
accresce il pessimismo sulla restituzione del caporale israeliano
rapito, Gilad Shalit. La famiglia aveva in tutti modi, nei giorni
scorsi, cercato di spronare Ehud Olmert a concludere in extremis un
accordo con Hamas, prima del cambio di governo in Israele. La settimana
prossima, probabilmente, Benyamin Netanyahu presenterà alla
Knesset il suo nuovo governo e la famiglia di Shalit teme che il
nuovo esecutivo avrà bisogno di un lasso di tempo più o meno lungo per
elaborare la propria tattica di fronte a Hamas. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
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