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    2 aprile 2009 - 8 Nisan 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Questo sabato sarà shabbat hagadol, letteralmente “il sabato del grande”, forse “del grande evento”, il nome tradizione del sabato che precede Pesach. Storicamente questo sabato è collegato al decimo giorno del primo mese in cui gli ebrei adempirono all’ordine di prendersi un capretto e tenerlo con sé legato, in preparazione del primo sacrificio pasquale nella notte precedente la liberazione. Il “grande evento” fu quello della mancata reazione egiziana contro gli ebrei. Nella cultura egiziana, vegetariana, prendersi un animale con lo scopo dichiarato di ucciderlo e mangiarselo dopo qualche giorno, era un’offesa, una provocazione. Eppure gli egiziani non fecero nulla agli ebrei. Questa storia, con la mentalità di oggi, è una palese contraddizione al politically correct. Eppure i nostri antenati agirono così, per un preciso ordine divino. E con tutto il rispetto per la cultura vegetariana, che anche tradizionalmente trova importanti sostegni, questa storia dimostra le contraddizioni di alcuni sistemi assoluti; gli egiziani rispettavano gli animali, ma non avevano alcuna riserva a sfruttare e uccidere gli esseri umani.
Il quotidiano vilipendio di Israele è una brutta abitudine di certa stampa, ma ogni tanto anche Israele deve fare la sua autocritica. Il nuovo governo Netanyahu esprime un sistema politico troppo frammentato e instabile per poter dare le risposte forti che i molti e urgenti problemi  all’ordine del giorno richiederebbero. Dopo le ultime elezioni esistevano diverse formule possibili di governo. In funzione di quali criteri sono state compiute le scelte di Bibi? Cinque le possibili sfere di riferimento: le indicazioni della politica mondiale e delle grandi potenze, le condizioni regionali del Medio Oriente, il bene della società israeliana nel suo complesso, gli interessi globali del popolo ebraico e le esigenze dei partiti politici. La nuova compagine governativa nasce soprattutto in quest’ultimo senso auto-referente. Trenta ministri e sette sottosegretari di sei diversi partiti costituiscono più della metà dell’intera coalizione parlamentare (inclusi i cinque franchi tiratori) e danno vita a un governo costoso e litigioso. La scissione dei portafogli in nano-dicasteri crea sovrapposizioni, con quattro addetti alla difesa, quattro alla pubblica istruzione e alla cultura, due agli esteri, e due alle telecomunicazioni. Sugli interessi dell’ebraismo mondiale non una parola, salvo la designazione (assolutamente degna) di Yuli Edelstein a ministro per la Diaspora. Il secondo governo Netanyahu parte con un indice di gradimento del 30% e sono in pochi a credere che potrà completare il quadriennio parlamentare. Comunque, auguri. Sergio
Della Pergola,

demografo Università Ebraica di Gerusalemme
sergio della pergola  
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  suedQui Milano - Nuove risorse e impegno per i giovani
Svolta comunitaria nell'operazione Casa di riposo

L’estate porterà con sé una bella boccata d’ossigeno per la Comunità Ebraica di Milano. Entro fine luglio si concluderà infatti la vendita dello stabile di via Leone XIII che un tempo accoglieva la casa di riposo. Un’operazione del valore di quasi 18 milioni di euro che consentirà il rilancio di alcune importanti iniziative, con particolare attenzione ai più giovani.
La cessione dell’immobile, per cui a metà aprile si firmerà il contratto preliminare, rappresenta una tappa di rilievo per la gestione comunitaria. “Questa vendita – spiega infatti il presidente Leone Soued (nell'immagine) – ci restituisce una certa serenità perché ripiana in parte la nostra esposizione bancaria permettendoci dunque di dedicare il prossimo anno di lavoro a proposte rivolte ai giovani”.

vecchia casa di riposoresidenza arzagaLa decisione di dismettere l’edificio, sette piani nella centrale zona Fiera (nell'immagine a sinistra), era stata assunta alcuni anni fa in vista dell’apertura della nuova e modernissima casa di riposo in via Arzaga 1 (nell'immagine a destra). Quota parte del ricavato era infatti destinata alla realizzazione della nuova struttura, intitolata ai coniugi De Picciotto e inaugurata nel maggio del 2008, che aveva visto anche un sostanzioso apporto di donazioni private. In una congiuntura economica ben poco favorevole la vendita si è però rivelata più lunga e difficile di quanto previsto. Ma la felice conclusione dell’operazione immobiliare non risolve la complessa situazione economica della Comunità ebraica milanese che, come le altre consorelle, vive la difficoltà di essere un’azienda molto particolare: “destinata a produrre deficit, non può fare altro”, dice Soued.
I numeri della realtà ebraica milanese sono importanti: circa 7 mila iscritti (ma gli ebrei dell’area milanese sono almeno 3 mila in più) per 169 dipendenti e un centinaio di collaboratori. “Il nostro mandato - spiega però Leone Soued – è quello di produrre servizi: la scuola, i servizi sociali, l’assistenza agli anziani, la cultura. E tutti questi servizi sono offerti a un prezzo sensibilmente inferiore al suo reale costo così da sostenere i più fragili e incentivare il coinvolgimento dei più giovani”. S’inscrive ad esempio in questa politica la recente decisione di tagliare di quasi un quarto la retta scolastica per la prima elementare nell’anno scolastica 2009-10 e sempre a questa sensibilità s’ispira la costituzione di un Fondo sociale a supporto di chi non ce la fa. Tutti obiettivi che poco si conciliano con l’imperativo economico. Ma costruiscono quel tessuto di vita, tradizione e cultura ebraiche che rappresentano il vero essenziale valore di ogni Comunità.

Daniela Gross





schwedUn'olimpiade della pace in Italia,
Intervista ad Alessandro Schwed


Una piccola olimpiade della pace tra le comunità ebraiche e palestinesi d’Italia per combattere l’inerzia e il silenzio. E iniziare, tutti insieme, a costruire la pace in Medio Oriente. A lanciare la proposta è lo scrittore Alessandro Schwed (nell'immagine a fianco) che in un articolo sul Foglio chiama ebrei e palestinesi, maggioranza e opposizione, forze sociali e culturali a un’azione capace di scavalcare le divisioni tra le due comunità e di coinvolgere nel profondo l’opinione pubblica. La suggestione giunge nell’imminenza dei Giochi del Mediterraneo che a Pescara vedranno l’esclusione sia degli atleti israeliani sia di quelli palestinesi (“un’occasione persa”, dice Schwed). Ma travalica la dimensione dell’attualità per entrare nel vivo dei valori su cui poggia la pace: il senso dell’altro, l’azione quotidiana, la comprensione e l’accettazione reciproche. A partire dalla concreta esperienza della Comunità Ebraica di Firenze.
Alessandro Schwed, com’è nata l’idea dell’olimpiade di pace?
Il 18 marzo ero a Coverciano, a un incontro organizzato dall’associazione Italia Israele intitolato “Lo sport come ponte tra due popoli”. Tra i presenti vi erano Daniela Misul, presidente della Comunità ebraica di Firenze ed Izzedin Elzir, presidente della comunità islamica fiorentina, il presidente degli allenatori italiani Renzo Ulivieri e Valdo Spini, figura nobile della politica italiana. In quell’occasione sono circolate tante idee su possibili iniziative a favore della pace. Tornato a casa ci ho riflettuto sopra. Ero rimasto molto colpito dal rapporto cordiale e collaborativo tra la presidente Misul e il presidente Elzir: mi sono detto che si poteva partire da qui per lavorare insieme in direzione della pace.
Omero c’insegna che durante le Olimpiadi le armi tacciono.
Le gare tra i popoli sono una pausa risanatrice. Lo sport è infatti capace di riconsegnarci a una dimensione di profonda umanità. Quando guardiamo le Olimpiadi e vediamo gareggiare fianco a fianco un americano, un cinese e un cubano ci rendiamo conto che quei popoli non sono di per sé lontani, che a separarli è la politica. Se non ritroviamo questa misura non siamo in grado di capire che la pace è il senso dell’altro.
Ma qui l’ambizione va al di là di una pausa durante il conflitto.
La pace è fatta di minuziosi atti quotidiani ed è un vento che può travolgere l’inerzia. Un’olimpiade della pace che raccogliesse ebrei e palestinesi, con il sostegno di tutte le forze politiche, sociali e culturali del nostro Paese, avrebbe il senso di un’opera collettiva voluta da tutti.
Ma è davvero così grave l’esclusione d’Israele dai Giochi del Mediterraneo?
Per noi ebrei italiani ha un significato molto particolare perché ci riporta a una storia tremenda che in questo paese vide negati agli ebrei i diritti civili. E ancor più tremendo è il fatto che questa mancata partecipazione si verifichi di fatto in una sorta d’inerzia e indifferenza collettive, senza che si riesca ad andare al di là delle buone intenzioni.
Il ministro Frattini ha auspicato che Israele possa essere presente alla prossima edizione, fra quattro anni.
Dobbiamo fare uno sforzo per riempire di speranza questo tempo, da protagonisti. Dobbiamo rimetterci nella condizione di sperare e di sognare. Dobbiamo far vedere una qualità ebraica della pace uscendo dal nostro torpore.
Dove potrebbe svolgersi l’Olimpiade della pace?
La immagino a Firenze, ad accendere i riflettori sulla cordialità che lega la comunità ebraica e la palestinese. Senza un valore spettacolare ma con un significato spirituale altissimo.
Quali saranno i prossimi passi?
Al momento non vi è alcuna iniziativa concreta in campo. Il mio è un piccolissimo mattone alla costruzione della pace. Spero davvero che le Comunità ebraiche italiane non lascino cadere l’idea.

D.G.




mazzahSpeciale Pesach 5769

Guida alle regole: Un evento speciale di quest’anno, 
La benedizione del sole
Secondo un antico calcolo della tradizione rabbinica, la sera di martedì 7 aprile 2009 il sole verrà a trovarsi nella stessa posizione in cui stava all’inizio della creazione. Il mattino successivo, mercoledì 8 aprile, entro le prime tre ore dall’alba, i fedeli, terminata la preghiera mattutina di Shachrìt, usciranno dalle sinagoghe e davanti al sole reciteranno una preghiera speciale. Questo strano rito, detto Birkàt ha-chammà (benedizione del sole), si ripete nel calendario ebraico molto raramente: una volta ogni ventotto anni, perché appunto solo ogni ventotto anni il sole torna nella posizione iniziale del suo ciclo. Tutto questo ha uno strano aspetto di mistero, ma in realtà ogni particolare può essere spiegato; bisogna seguire un ragionamento un po’ complicato, che si cercherà di rendere il più chiaro possibile. Queste note ci introdurranno alla comprensione di quello che oggi è il più raro e probabilmente meno conosciuto dei riti ebraici.

Un evento che accade ad una certa ora del giorno, in un giorno della settimana e del mese, corrisponde a una determinata posizione sole-terra. La terra gira intorno al sole (un tempo si pensava il contrario) e impiega un anno per tornare nella stessa posizione in cui si era verificato l’evento. Sarà nello stesso giorno del mese, ma a che ora e in che giorno della settimana? Tra i Maestri del Talmùd c’erano due opinioni sulla durata dell’anno solare: quella di Mar Shemuel (la stessa alla base del calendario Giuliano) per cui l’anno è di 365 giorni e sei ore, e quella di Rav Adà bar Ahava che dava una misura lievemente inferiore, che più si avvicina ai calcoli attuali. Seguendo Mar Shemuel l’anno comprende 52 settimane e un piccolo resto di un giorno e un quarto, trenta ore. Che cosa comporta questa differenza? Che l’evento viene spostato di anno in anno, rispetto al conto della settimana, di 30 ore. Se, per esempio, un bambino è nato alle 6 di mattina di giovedi 1 gennaio 2009, l’anno dopo (che non è bisestile) sole e terra torneranno nella stessa posizione reciproca che avevano al momento della nascita il primo gennaio 2010, venerdi alle ore 12. La differenza aumenta di anno in anno (sabato 1 gennaio 2011 alle 18, ecc.); dopo quattro anni sarà diventata di cinque giorni; l’evento che si considera accadrà allora nella stessa ora del primo anno, ma in un giorno diverso della settimana. Si è compiuto quello che viene chiamato il «piccolo ciclo» del sole. Ogni quattro anni cambierà il giorno della settimana e saranno pertanto necessari sette cicli di quattro anni perché l’evento accada nuovamente nello stesso giorno della settimana, alla stessa ora. [...]

Sul sito moked.it il testo integrale di questo articolo e una pagina speciale, costantemente aggiornata, dedicata a Pesach, con istruzioni, pensieri e link 


 
 
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  tizioUdito

In poche ore, forse pochi minuti, non lo sappiamo, centinaia e centinaia di persone sono morte al largo della Libia. La loro fine tra l’Africa e la Sicilia era molto più vicina delle morti a Gaza, dei cori delle accuse, delle grida di genocidio - e non abbiamo sentito. Tutto è proseguito.  Il G 20, X Factor, la Nazionale.
A volte, i media agiscono col silenziatore.

Il Tizio della Sera




uncannyFumetto - Anche i supereroi di carta
devono affrontare il tema della Memoria

Quando parliamo di fumetto e Shoà siamo abituati a pensare a “Maus” di Art Spiegelman oppure più recentemente a “Yossel” di Joe Kubert o “Sono figlia dell’Olocausto” di Bernice Eisenstein. Eppure dagli anni sessanta esce mensilmente negli Usa una serie a fumetti che è fortemente caratterizzata dal tema della Shoà. “The Uncanny X-Men”(settembre 1963) di Stan Lee e Jack Kirby (nell'immagine a fianco). Entrambi gli autori erano famosi al pubblico per aver creato personaggi come L’uomo ragno, Capitan America e tanti altri, ma tutti questi supereroi erano uomini che avevano acquisito i loro poteri a causa di incidenti, esperimenti scientifici. Anche il Batman della DC Comics non era altro che un eccentrico miliardario che combatteva il crimine.

Ma gli X-Men cambiarono radicalmente la percezione dei supereroi nel mondo dei fumetti. I loro poteri sono genetici, cioè questi uomini nascono con i superpoteri, quasi un popolo eletto. Possono leggere nel pensiero, trasformarsi in acciaio, volare con proprie ali, curarsi da soli, lanciare raggi gamma dagli occhi. Proprio nel primo episodio della serie, settembre 1963, esordisce anche quello che sarà poi il nemico numero uno, la nemesi, lo specchio dell’ideale che unirà gli X-Men. Questi mutanti sono uniti dall’ideale di un telepate, Charles Xavier, di una convivenza civile tra uomini comuni e mutanti. Dall’altra parte Magneto un uomo con profonde ferite.

Stan Lee, ovvero Stan Lee Lieber nato da una famiglia di ebrei rumeni, così spiega il suo personaggio: “Non ho immaginato Magneto come un cattivo ragazzo. Voleva solo rispondere a quella gente che era così bigotta e razzista... Cercava di difendere i mutanti e poiché la società non li trattava bene, voleva dargli una lezione. Era naturalmente uno pericoloso... ma non ho mai pensato che fosse un villain.”

Lo schema che sarà alla base della serie degli X-Men è impostato. Gli umani temono la diversità dei mutanti, li odiano, come precedentemente avevano odiato gli ebrei o gli zingari. Ma gli X-Men non decollano e la testata rimane a languire finché Chris Claremont non viene assunto alla Marvel Comics. Chris aveva trascorso alcuni mesi in un kibbutz dove aveva incontrato sopravvissuti dei lager nazisti, dove di notte i soldati del Tzahal montavano la guardia e i caccia con la stella di Davide volavano verso la Giordania per difendere Israele.

Chris Claremont impone un ritmo diverso alla saga degli X-Men trasformandola in una delle serie fumettistiche più lette al mondo e ritenuta, a torto o a ragione, un capolavoro assoluto di discussione e narrazione sul tema della diversità e del diritto di difendersi. Con la sua penna di sceneggiatore Magneto scopre le sue carte. Fino al numero 12 della serie “Classic X-Men”, pubblicata in Italia dalla Star Comics nel mensile Gli Incredibili X-Men. Magneto è un sopravvissuto di Auschwitz, il suo nome forse è *Max Eisenhardt*, ed è anche un padre che ha perso la figlia uccisa dall’odio del potere sovietico.

magnetoholocCosì nasce un personaggio che non può fidarsi degli uomini, che, come racconta Stan Lee, vuole difendere il suo popolo, ora i mutanti oggetto dell’odio razziale. Nei decenni che seguiranno questo personaggio guiderà anche gli X-Men cercando nuove vie per realizzare i propri obiettivi. Magneto rimane comunque un personaggio tra i più amati dai lettori di fumetti, diciassettesimo nella classifica dei cattivi più amati. Ma al di fuori degli schemi del villain, cioè del cattivo che il supereroe di turno deve sconfiggere, Max Eisenhardt è caratterizzato da una forte senso degli ideali e da un obiettivo che nessuno potrebbe contestare: difendere un popolo.

Anche Chris Claremont ha speso un commento su questo personaggio così controverso: “Una volta che trovai il punto di partenza per Magneto (come vittima dell’Olocausto), tutto il resto andò al suo posto, perché mi permetteva di trasformarlo in una figura tragica che vuole salvare il suo popolo... quindi ho avuto l’opportunità... di tentare di redimerlo... di vedere... se si poteva evolvere nello stesso modo in cui Menachem Begin si trasformò da il ragazzo che i britannici consideravano “shoot on sight” nel 1945... in uno statista che vinse il Premio Nobel per la Pace nel 1976.”

Sono questi commenti che mostrano quanto la Shoà sia un tema molto presente nella saga degli X-Men, forse sottovaluto e troppo spesso inserito in un contesto generico di trattazione del tema della “diversità”. Mentre appare evidente che gli autori da Stan Lee a Chris Claremont hanno posto la Shoà come un faro che illumina moralmente le scelte e la vita dei loro personaggi, perché direttamente coinvolti. E non solo per aver reso l’avversario principale dei mutanti un sopravvissuto di Auschwitz, ma anche per altri personaggi come Kitty Pride, giovane mutante che nell’episodio 199 de “The Uncanny X-Men” (gennaio 1985) partecipa a un incontro del National Holocaust Museum di New York per cercare la sorella del nonno.

“Sono qui per mio nonno, Samuel Prydeman. Avrebbe voluto essere qui più di ogni altra cosa, ma è morto l’anno scorso. Aveva una sorella, la mia prozia Chava. Viveva a Varsavia prima della guerra.”

Andrea Grilli
 
 
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Israele, strappo di Lieberman sulla pace

[...] Come fanno a starci quattro elefanti su una Cinquecento? La vignetta di Ma'ariv riprende il famoso indovinello (risposta: due davanti e due dietro), disegna i bestioni sui sedili e quello al volante che risponde seccato: «Lo chiedete a noi? E tutti quei ministri al governo, allora?». D'ingombrante ce n'è uno più degli altri, però. E nel giorno dell'insediamento, quando stringe la mano all'uscente ministra Tzipi Livni, provvede subito ad accomodarsi con l'imbarazzante peso delle sue parole.[...]
Francesco Battistini, Corriere della Sera, 2 aprile 2009

Diritti umani seggio Usa nel Consiglio

Nuova svolta dell'America di Barack Obama sul fronte delle istituzioni multilaterali: gli Stati Uniti sono pronti a candidarsi a un seggio nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, un organismo Onu con sede a Ginevra apertamente boicottato negli anni scorsi dall'amministrazione Bush. Si tratta di un nuovo segnale di inversione di rotta nella politica estera della nuova squadra a Washington. La decisione - hanno annunciato il segretario di Stato Hillary Clinton e l'ambasciatrice all'Onu Susan Rice - è stata presa come parte di una «nuova era di impegno» con altre nazioni «per far progredire gli interessi degli Stati Uniti» nel mondo.
[...]
Il Mattino, 2 aprile 2009

I crudeli soldati che rassettano e rifanno i letti dopo le perquisizioni

[...]Le umiliazioni e le violenze raccontate non sarebbero mai dovute accadere. Non si può restare indifferenti.[...]
[...]Nello stesso tempo, però, non si può non riconoscere come comunque stiamo assistendo all'ennesima prova di democrazia da parte di un Paese che in guerra non rinuncia ai propri standard morali, e che non esita a punire i propri soldati quando sbagliano.
[...]
Yasha Reibman, Giornale Tempi, 2 aprile 2009

«Militia» contro Riccardo Pacifici «Noi siamo qui»

[...]Pronta la replica di Pacifici: «Negare la Shoah in Italia deve diventare reato. Sono preoccupato perché anche in un video si parla di me come del peggior nemico oltre che di azioni esemplari che verranno portate avanti. Sarò a Dachau con il Capo della Polizia a cui chiederò che si indaghi». Solidarietà anche da Nicola Zingaretti: «Il ritorno di un'onda negazionista in città desta forti preoccupazioni. Non bisogna sottovalutare ogni fenomeno che va in questa direzione»
L'Unità Roma, 2 aprile 2009

Nazisti:Demjanjuk verso Monaco

Sarà estradato «lunedì prossimo» a Monaco di Baviera John Demjanjuk, detto "Ivan il terribile", presunto ex guardiano nazista al campo di concentramento di Sobibor, nella Polonia occupata, tra il marzo e il settembre 1943, che oggi ha 88 anni e vive negli Stati Uniti.
[...]
Il Riformista, 2 aprile 2009


 
 
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Cerimonia a Dachau per commemorare Giovanni Palatucci
Roma, 2 apr -
Il Presidente dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni e il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici si sono oggi recati oggi a Dachau insieme al Capo della Polizia, Prefetto Antonio Manganelli, per partecipare a una cerimonia in occasione del centenario della nascita di Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume che salvò migliaia di ebrei dalla deportazione nazista e per questo fu internato a Dachau il 22 ottobre 1944 dove morì il 10 febbraio 1945. Alla cerimonia nel campo di Dachau sarà presente, tra le altre autorità, il Presidente del Bundeskiminalamt (BKA), Herrn Jörge Ziercke.  

Israele, palestinese uccide un ragazzo di 13 anni a colpi d'ascia
Gerusalemme, 2 apr -
E' stato rivendicato dal Gruppo Imad Mughniyeh
(dal nome del capo del braccio operativo degli Hezbollah libanesi ucciso in un attentato a Damasco oltre un anno fa), finora poco conosciuto, e dalle Brigate Al Quds, braccio armato della Jihad Islamica, l'odierno attacco all'insediamento ebraico di Bat Ayn, nell'area di Hebron, nel quale è rimasto ucciso un ragazzo di 13 anni e ferito uno di sette. Un palestinese si è infiltrato nell'insediamento e a colpi d'ascia ha colpito il ragazzo, che è deceduto mentre riceveva le prime cure. Secondo testimonianze di coloni dell' insediamento, l'aggressore, la cui identità è sconosciuta, è riuscito a fuggire ma è possibile che sia stato ferito dal fuoco di membri del corpo di guardia dell'insediamento. Per scelta degli abitanti, l'insediamento non è circondato da reticolati ed è perciò facilmente accessibile. Secondo Shaul Goldstein, capo del consiglio che raggruppa gli insediamenti nell'area, l' aggressore era armato con una o due asce e forse anche di coltello.

 
 
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