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L'Unione informa |
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2 aprile 2009 - 8 Nisan 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Questo
sabato sarà shabbat hagadol, letteralmente “il sabato del grande”,
forse “del grande evento”, il nome tradizione del sabato che precede
Pesach. Storicamente questo sabato è collegato al decimo giorno del
primo mese in cui gli ebrei adempirono all’ordine di prendersi un
capretto e tenerlo con sé legato, in preparazione del primo sacrificio
pasquale nella notte precedente la liberazione. Il “grande evento” fu
quello della mancata reazione egiziana contro gli ebrei. Nella cultura
egiziana, vegetariana, prendersi un animale con lo scopo dichiarato di
ucciderlo e mangiarselo dopo qualche giorno, era un’offesa, una
provocazione. Eppure gli egiziani non fecero nulla agli ebrei. Questa
storia, con la mentalità di oggi, è una palese contraddizione al
politically correct. Eppure i nostri antenati agirono così, per un
preciso ordine divino. E con tutto il rispetto per la cultura
vegetariana, che anche tradizionalmente trova importanti sostegni,
questa storia dimostra le contraddizioni di alcuni sistemi assoluti;
gli egiziani rispettavano gli animali, ma non avevano alcuna riserva a
sfruttare e uccidere gli esseri umani. |
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Il
quotidiano vilipendio di Israele è una brutta abitudine di certa
stampa, ma ogni tanto anche Israele deve fare la sua autocritica. Il
nuovo governo Netanyahu esprime un sistema politico troppo frammentato
e instabile per poter dare le risposte forti che i molti e urgenti
problemi all’ordine del giorno richiederebbero. Dopo le ultime
elezioni esistevano diverse formule possibili di governo. In funzione
di quali criteri sono state compiute le scelte di Bibi? Cinque le
possibili sfere di riferimento: le indicazioni della politica mondiale
e delle grandi potenze, le condizioni regionali del Medio Oriente, il
bene della società israeliana nel suo complesso, gli interessi globali
del popolo ebraico e le esigenze dei partiti politici. La nuova
compagine governativa nasce soprattutto in quest’ultimo senso
auto-referente. Trenta ministri e sette sottosegretari di sei diversi
partiti costituiscono più della metà dell’intera coalizione
parlamentare (inclusi i cinque franchi tiratori) e danno vita a un
governo costoso e litigioso. La scissione dei portafogli in
nano-dicasteri crea sovrapposizioni, con quattro addetti alla difesa,
quattro alla pubblica istruzione e alla cultura, due agli esteri, e due
alle telecomunicazioni. Sugli interessi dell’ebraismo mondiale non una
parola, salvo la designazione (assolutamente degna) di Yuli Edelstein a
ministro per la Diaspora. Il secondo governo Netanyahu parte con un
indice di gradimento del 30% e sono in pochi a credere che potrà
completare il quadriennio parlamentare. Comunque, auguri. |
Sergio Della Pergola,
demografo Università Ebraica di Gerusalemme |
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Qui Milano - Nuove risorse e impegno per i giovani Svolta comunitaria nell'operazione Casa di riposo
L’estate porterà con sé una bella boccata d’ossigeno per la Comunità
Ebraica di Milano. Entro fine luglio si concluderà infatti la vendita
dello stabile di via Leone XIII che un tempo accoglieva la casa di
riposo. Un’operazione del valore di quasi 18 milioni di euro che
consentirà il rilancio di alcune importanti iniziative, con particolare
attenzione ai più giovani. La
cessione dell’immobile, per cui a metà aprile si firmerà il contratto
preliminare, rappresenta una tappa di rilievo per la gestione
comunitaria. “Questa vendita – spiega infatti il presidente Leone Soued
(nell'immagine) – ci restituisce una certa serenità perché ripiana in
parte la nostra esposizione bancaria permettendoci dunque di dedicare
il prossimo anno di lavoro a proposte rivolte ai giovani”.
 La
decisione di dismettere l’edificio, sette piani nella centrale zona
Fiera (nell'immagine a sinistra), era stata assunta alcuni anni fa in
vista dell’apertura della nuova e modernissima casa di riposo in via
Arzaga 1 (nell'immagine a destra). Quota parte del ricavato era infatti
destinata alla realizzazione della nuova struttura, intitolata ai
coniugi De Picciotto e inaugurata nel maggio del 2008, che aveva visto
anche un sostanzioso apporto di donazioni private. In una congiuntura
economica ben poco favorevole la vendita si è però rivelata più lunga e
difficile di quanto previsto. Ma la felice conclusione dell’operazione
immobiliare non risolve la complessa situazione economica della
Comunità ebraica milanese che, come le altre consorelle, vive la
difficoltà di essere un’azienda molto particolare: “destinata a
produrre deficit, non può fare altro”, dice Soued. I numeri della
realtà ebraica milanese sono importanti: circa 7 mila iscritti (ma gli
ebrei dell’area milanese sono almeno 3 mila in più) per 169 dipendenti
e un centinaio di collaboratori. “Il nostro mandato - spiega però Leone
Soued – è quello di produrre servizi: la scuola, i servizi sociali,
l’assistenza agli anziani, la cultura. E tutti questi servizi sono
offerti a un prezzo sensibilmente inferiore al suo reale costo così da
sostenere i più fragili e incentivare il coinvolgimento dei più
giovani”. S’inscrive ad esempio in questa politica la recente decisione
di tagliare di quasi un quarto la retta scolastica per la prima
elementare nell’anno scolastica 2009-10 e sempre a questa sensibilità
s’ispira la costituzione di un Fondo sociale a supporto di chi non ce
la fa. Tutti obiettivi che poco si conciliano con l’imperativo
economico. Ma costruiscono quel tessuto di vita, tradizione e cultura
ebraiche che rappresentano il vero essenziale valore di ogni Comunità.
Daniela Gross
Un'olimpiade della pace in Italia, Intervista ad Alessandro Schwed
Una
piccola olimpiade della pace tra le comunità ebraiche e palestinesi
d’Italia per combattere l’inerzia e il silenzio. E iniziare, tutti
insieme, a costruire la pace in Medio Oriente. A lanciare la proposta è
lo scrittore Alessandro Schwed (nell'immagine a fianco) che in un
articolo sul Foglio
chiama ebrei e palestinesi, maggioranza e opposizione, forze sociali e
culturali a un’azione capace di scavalcare le divisioni tra le due
comunità e di coinvolgere nel profondo l’opinione pubblica. La
suggestione giunge nell’imminenza dei Giochi del Mediterraneo che a
Pescara vedranno l’esclusione sia degli atleti israeliani sia di quelli
palestinesi (“un’occasione persa”, dice Schwed). Ma travalica la
dimensione dell’attualità per entrare nel vivo dei valori su cui poggia
la pace: il senso dell’altro, l’azione quotidiana, la comprensione e
l’accettazione reciproche. A partire dalla concreta esperienza della
Comunità Ebraica di Firenze. Alessandro Schwed, com’è nata l’idea dell’olimpiade di pace? Il
18 marzo ero a Coverciano, a un incontro organizzato dall’associazione
Italia Israele intitolato “Lo sport come ponte tra due popoli”. Tra i
presenti vi erano Daniela Misul, presidente della Comunità ebraica di
Firenze ed Izzedin Elzir, presidente della comunità islamica
fiorentina, il presidente degli allenatori italiani Renzo Ulivieri e
Valdo Spini, figura nobile della politica italiana. In quell’occasione
sono circolate tante idee su possibili iniziative a favore della pace.
Tornato a casa ci ho riflettuto sopra. Ero rimasto molto colpito dal
rapporto cordiale e collaborativo tra la presidente Misul e il
presidente Elzir: mi sono detto che si poteva partire da qui per
lavorare insieme in direzione della pace. Omero c’insegna che durante le Olimpiadi le armi tacciono. Le
gare tra i popoli sono una pausa risanatrice. Lo sport è infatti capace
di riconsegnarci a una dimensione di profonda umanità. Quando guardiamo
le Olimpiadi e vediamo gareggiare fianco a fianco un americano, un
cinese e un cubano ci rendiamo conto che quei popoli non sono di per sé
lontani, che a separarli è la politica. Se non ritroviamo questa misura
non siamo in grado di capire che la pace è il senso dell’altro. Ma qui l’ambizione va al di là di una pausa durante il conflitto. La
pace è fatta di minuziosi atti quotidiani ed è un vento che può
travolgere l’inerzia. Un’olimpiade della pace che raccogliesse ebrei e
palestinesi, con il sostegno di tutte le forze politiche, sociali e
culturali del nostro Paese, avrebbe il senso di un’opera collettiva
voluta da tutti. Ma è davvero così grave l’esclusione d’Israele dai Giochi del Mediterraneo? Per
noi ebrei italiani ha un significato molto particolare perché ci
riporta a una storia tremenda che in questo paese vide negati agli
ebrei i diritti civili. E ancor più tremendo è il fatto che questa
mancata partecipazione si verifichi di fatto in una sorta d’inerzia e
indifferenza collettive, senza che si riesca ad andare al di là delle
buone intenzioni. Il ministro Frattini ha auspicato che Israele possa essere presente alla prossima edizione, fra quattro anni. Dobbiamo
fare uno sforzo per riempire di speranza questo tempo, da protagonisti.
Dobbiamo rimetterci nella condizione di sperare e di sognare. Dobbiamo
far vedere una qualità ebraica della pace uscendo dal nostro torpore. Dove potrebbe svolgersi l’Olimpiade della pace? La
immagino a Firenze, ad accendere i riflettori sulla cordialità che lega
la comunità ebraica e la palestinese. Senza un valore spettacolare ma
con un significato spirituale altissimo. Quali saranno i prossimi passi? Al
momento non vi è alcuna iniziativa concreta in campo. Il mio è un
piccolissimo mattone alla costruzione della pace. Spero davvero che le
Comunità ebraiche italiane non lascino cadere l’idea.
D.G.
Speciale Pesach 5769
Guida alle regole: Un evento speciale di quest’anno, La benedizione del sole Secondo
un antico calcolo della tradizione rabbinica, la sera di martedì 7
aprile 2009 il sole verrà a trovarsi nella stessa posizione in cui
stava all’inizio della creazione. Il mattino successivo, mercoledì 8
aprile, entro le prime tre ore dall’alba, i fedeli, terminata la
preghiera mattutina di Shachrìt, usciranno dalle sinagoghe e davanti al
sole reciteranno una preghiera speciale. Questo strano rito, detto
Birkàt ha-chammà (benedizione del sole), si ripete nel calendario
ebraico molto raramente: una volta ogni ventotto anni, perché appunto
solo ogni ventotto anni il sole torna nella posizione iniziale del suo
ciclo. Tutto questo ha uno strano aspetto di mistero, ma in realtà ogni
particolare può essere spiegato; bisogna seguire un ragionamento un po’
complicato, che si cercherà di rendere il più chiaro possibile. Queste
note ci introdurranno alla comprensione di quello che oggi è il più
raro e probabilmente meno conosciuto dei riti ebraici.
Un
evento che accade ad una certa ora del giorno, in un giorno della
settimana e del mese, corrisponde a una determinata posizione
sole-terra. La terra gira intorno al sole (un tempo si pensava il
contrario) e impiega un anno per tornare nella stessa posizione in cui
si era verificato l’evento. Sarà nello stesso giorno del mese, ma a che
ora e in che giorno della settimana? Tra i Maestri del Talmùd c’erano
due opinioni sulla durata dell’anno solare: quella di Mar Shemuel (la
stessa alla base del calendario Giuliano) per cui l’anno è di 365
giorni e sei ore, e quella di Rav Adà bar Ahava che dava una misura
lievemente inferiore, che più si avvicina ai calcoli attuali. Seguendo
Mar Shemuel l’anno comprende 52 settimane e un piccolo resto di un
giorno e un quarto, trenta ore. Che cosa comporta questa differenza?
Che l’evento viene spostato di anno in anno, rispetto al conto della
settimana, di 30 ore. Se, per esempio, un bambino è nato alle 6 di
mattina di giovedi 1 gennaio 2009, l’anno dopo (che non è bisestile)
sole e terra torneranno nella stessa posizione reciproca che avevano al
momento della nascita il primo gennaio 2010, venerdi alle ore 12. La
differenza aumenta di anno in anno (sabato 1 gennaio 2011 alle 18,
ecc.); dopo quattro anni sarà diventata di cinque giorni; l’evento che
si considera accadrà allora nella stessa ora del primo anno, ma in un
giorno diverso della settimana. Si è compiuto quello che viene chiamato
il «piccolo ciclo» del sole. Ogni quattro anni cambierà il giorno della
settimana e saranno pertanto necessari sette cicli di quattro anni perché
l’evento accada nuovamente nello stesso giorno della settimana, alla
stessa ora. [...]
Sul sito moked.it il testo
integrale di questo articolo e una pagina speciale, costantemente
aggiornata, dedicata a Pesach, con istruzioni, pensieri e link
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pilpul |
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Udito
In
poche ore, forse pochi minuti, non lo sappiamo, centinaia e centinaia
di persone sono morte al largo della Libia. La loro fine tra l’Africa e
la Sicilia era molto più vicina delle morti a Gaza, dei cori delle
accuse, delle grida di genocidio - e non abbiamo sentito. Tutto è
proseguito. Il G 20, X Factor, la Nazionale. A volte, i media agiscono col silenziatore.
Il Tizio della Sera
Fumetto - Anche i supereroi di carta devono affrontare il tema della Memoria
Quando
parliamo di fumetto e Shoà siamo abituati a pensare a “Maus” di Art
Spiegelman oppure più recentemente a “Yossel” di Joe Kubert o “Sono
figlia dell’Olocausto” di Bernice Eisenstein. Eppure dagli anni
sessanta esce mensilmente negli Usa una serie a fumetti che è
fortemente caratterizzata dal tema della Shoà. “The Uncanny
X-Men”(settembre 1963) di Stan Lee e Jack Kirby (nell'immagine a
fianco). Entrambi gli autori erano famosi al pubblico per aver creato
personaggi come L’uomo ragno, Capitan America
e tanti altri, ma tutti questi supereroi erano uomini che avevano
acquisito i loro poteri a causa di incidenti, esperimenti scientifici.
Anche il Batman della DC Comics non era altro che un eccentrico
miliardario che combatteva il crimine.
Ma gli X-Men
cambiarono radicalmente la percezione dei supereroi nel mondo dei
fumetti. I loro poteri sono genetici, cioè questi uomini nascono con i
superpoteri, quasi un popolo eletto. Possono leggere nel pensiero,
trasformarsi in acciaio, volare con proprie ali, curarsi da soli,
lanciare raggi gamma dagli occhi. Proprio nel primo episodio della
serie, settembre 1963, esordisce anche quello che sarà poi il nemico
numero uno, la nemesi, lo specchio dell’ideale che unirà gli X-Men.
Questi mutanti sono uniti dall’ideale di un telepate, Charles Xavier,
di una convivenza civile tra uomini comuni e mutanti. Dall’altra parte
Magneto un uomo con profonde ferite.
Stan Lee, ovvero Stan
Lee Lieber nato da una famiglia di ebrei rumeni, così spiega il suo
personaggio: “Non ho immaginato Magneto come un cattivo ragazzo. Voleva
solo rispondere a quella gente che era così bigotta e razzista...
Cercava di difendere i mutanti e poiché la società non li trattava
bene, voleva dargli una lezione. Era naturalmente uno pericoloso... ma
non ho mai pensato che fosse un villain.”
Lo schema che sarà
alla base della serie degli X-Men è impostato. Gli umani temono la
diversità dei mutanti, li odiano, come precedentemente avevano odiato
gli ebrei o gli zingari. Ma gli X-Men non decollano e la testata rimane
a languire finché Chris Claremont non viene assunto alla Marvel Comics.
Chris aveva trascorso alcuni mesi in un kibbutz dove aveva incontrato
sopravvissuti dei lager nazisti, dove di notte i soldati del Tzahal
montavano la guardia e i caccia con la stella di Davide volavano verso
la Giordania per difendere Israele.
Chris Claremont impone
un ritmo diverso alla saga degli X-Men trasformandola in una delle
serie fumettistiche più lette al mondo e ritenuta, a torto o a ragione,
un capolavoro assoluto di discussione e narrazione sul tema della
diversità e del diritto di difendersi. Con la sua penna di
sceneggiatore Magneto scopre le sue carte. Fino al numero 12 della
serie “Classic X-Men”, pubblicata in Italia dalla Star Comics nel
mensile Gli Incredibili X-Men.
Magneto è un sopravvissuto di Auschwitz, il suo nome forse è *Max
Eisenhardt*, ed è anche un padre che ha perso la figlia uccisa
dall’odio del potere sovietico.
Così
nasce un personaggio che non può fidarsi degli uomini, che, come
racconta Stan Lee, vuole difendere il suo popolo, ora i mutanti oggetto
dell’odio razziale. Nei decenni che seguiranno questo personaggio
guiderà anche gli X-Men cercando nuove vie per realizzare i propri
obiettivi. Magneto rimane comunque un personaggio tra i più amati dai
lettori di fumetti, diciassettesimo nella classifica dei cattivi più
amati. Ma al di fuori degli schemi del villain, cioè del cattivo che il
supereroe di turno deve sconfiggere, Max Eisenhardt è caratterizzato da
una forte senso degli ideali e da un obiettivo che nessuno potrebbe
contestare: difendere un popolo.
Anche Chris Claremont ha
speso un commento su questo personaggio così controverso: “Una volta
che trovai il punto di partenza per Magneto (come vittima
dell’Olocausto), tutto il resto andò al suo posto, perché mi permetteva
di trasformarlo in una figura tragica che vuole salvare il suo
popolo... quindi ho avuto l’opportunità... di tentare di redimerlo...
di vedere... se si poteva evolvere nello stesso modo in cui Menachem
Begin si trasformò da il ragazzo che i britannici consideravano “shoot
on sight” nel 1945... in uno statista che vinse il Premio Nobel per la
Pace nel 1976.”
Sono questi commenti che mostrano quanto la
Shoà sia un tema molto presente nella saga degli X-Men, forse
sottovaluto e troppo spesso inserito in un contesto generico di
trattazione del tema della “diversità”. Mentre appare evidente che gli
autori da Stan Lee a Chris Claremont hanno posto la Shoà come un faro
che illumina moralmente le scelte e la vita dei loro personaggi, perché
direttamente coinvolti. E non solo per aver reso l’avversario
principale dei mutanti un sopravvissuto di Auschwitz, ma anche per
altri personaggi come Kitty Pride, giovane mutante che nell’episodio
199 de “The Uncanny X-Men” (gennaio 1985) partecipa a un incontro del
National Holocaust Museum di New York per cercare la sorella del nonno.
“Sono
qui per mio nonno, Samuel Prydeman. Avrebbe voluto essere qui più di
ogni altra cosa, ma è morto l’anno scorso. Aveva una sorella, la mia
prozia Chava. Viveva a Varsavia prima della guerra.”
Andrea Grilli |
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rassegna stampa |
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Israele, strappo di Lieberman sulla pace
[...]
Come fanno a starci quattro elefanti su una Cinquecento? La vignetta di
Ma'ariv riprende il famoso indovinello (risposta: due davanti e due
dietro), disegna i bestioni sui sedili e quello al volante che risponde
seccato: «Lo chiedete a noi? E tutti quei ministri al governo,
allora?». D'ingombrante ce n'è uno più degli altri, però. E nel giorno
dell'insediamento, quando stringe la mano all'uscente ministra Tzipi
Livni, provvede subito ad accomodarsi con l'imbarazzante peso delle sue
parole.[...] Francesco Battistini, Corriere della Sera, 2 aprile 2009
Diritti umani seggio Usa nel Consiglio
Nuova
svolta dell'America di Barack Obama sul fronte delle istituzioni
multilaterali: gli Stati Uniti sono pronti a candidarsi a un seggio nel
Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, un organismo Onu con
sede a Ginevra apertamente boicottato negli anni scorsi
dall'amministrazione Bush. Si tratta di un nuovo segnale di inversione
di rotta nella politica estera della nuova squadra a Washington. La
decisione - hanno annunciato il segretario di Stato Hillary Clinton e
l'ambasciatrice all'Onu Susan Rice - è stata presa come parte di una
«nuova era di impegno» con altre nazioni «per far progredire gli
interessi degli Stati Uniti» nel mondo. [...] Il Mattino, 2 aprile 2009 I crudeli soldati che rassettano e rifanno i letti dopo le perquisizioni
[...]Le umiliazioni e le violenze raccontate non sarebbero mai dovute accadere. Non si può restare indifferenti.[...] [...]Nello
stesso tempo, però, non si può non riconoscere come comunque stiamo
assistendo all'ennesima prova di democrazia da parte di un Paese che in
guerra non rinuncia ai propri standard morali, e che non esita a punire
i propri soldati quando sbagliano.[...] Yasha Reibman, Giornale Tempi, 2 aprile 2009
«Militia» contro Riccardo Pacifici «Noi siamo qui»
[...]Pronta
la replica di Pacifici: «Negare la Shoah in Italia deve diventare
reato. Sono preoccupato perché anche in un video si parla di me come
del peggior nemico oltre che di azioni esemplari che verranno portate
avanti. Sarò a Dachau con il Capo della Polizia a cui chiederò che si
indaghi». Solidarietà anche da Nicola Zingaretti: «Il ritorno di
un'onda negazionista in città desta forti preoccupazioni. Non bisogna
sottovalutare ogni fenomeno che va in questa direzione» L'Unità Roma, 2 aprile 2009 Nazisti:Demjanjuk verso Monaco
Sarà
estradato «lunedì prossimo» a Monaco di Baviera John Demjanjuk, detto
"Ivan il terribile", presunto ex guardiano nazista al campo di
concentramento di Sobibor, nella Polonia occupata, tra il marzo e il
settembre 1943, che oggi ha 88 anni e vive negli Stati Uniti.[...] Il Riformista, 2 aprile 2009
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notizieflash |
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Cerimonia a Dachau per commemorare Giovanni Palatucci Roma, 2 apr - Il
Presidente dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, il
Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni e il Presidente della Comunità
Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici si sono oggi recati oggi a Dachau
insieme al Capo della Polizia, Prefetto Antonio Manganelli, per
partecipare a una cerimonia in occasione del centenario della nascita
di Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume che salvò migliaia di
ebrei dalla deportazione nazista e per questo fu internato a Dachau il
22 ottobre 1944 dove morì il 10 febbraio 1945. Alla cerimonia nel campo
di Dachau sarà presente, tra le altre autorità, il Presidente del
Bundeskiminalamt (BKA), Herrn Jörge Ziercke.
Israele, palestinese uccide un ragazzo di 13 anni a colpi d'ascia Gerusalemme, 2 apr - E' stato rivendicato dal Gruppo Imad Mughniyeh (dal nome del capo del braccio operativo degli Hezbollah libanesi ucciso in un attentato a Damasco oltre un anno fa), finora poco conosciuto,
e dalle Brigate Al Quds, braccio armato della Jihad Islamica, l'odierno
attacco all'insediamento ebraico di Bat Ayn, nell'area di Hebron, nel
quale è rimasto ucciso un ragazzo di 13 anni e ferito uno di
sette. Un palestinese si è infiltrato nell'insediamento e a colpi
d'ascia ha colpito il ragazzo, che è deceduto mentre riceveva le prime
cure. Secondo testimonianze di coloni dell' insediamento, l'aggressore,
la cui identità è sconosciuta, è riuscito a fuggire ma è possibile che
sia stato ferito dal fuoco di membri del corpo di guardia
dell'insediamento. Per scelta degli abitanti, l'insediamento non è
circondato da reticolati ed è perciò facilmente accessibile. Secondo
Shaul Goldstein, capo del consiglio che raggruppa gli insediamenti
nell'area, l' aggressore era armato con una o due asce e forse anche di
coltello. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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