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28 aprile 2009 - 4 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Roberto
Della Rocca, rabbino |
Questa
sera e domani festeggeremo il 61° anniversario della fondazione dello
Stato di Israele definito nelle nostre preghiere “l'inizio del
germoglio della nostra redenzione”. Yom ha Atzmaùt è forse una delle
ricorrenze in cui risulta più difficile distinguere il momento laico da
quello religioso. Ciò che da altri popoli verrebbe vissuto soltanto
come una festa nazionale, nel popolo ebraico ha assunto connotazioni e
significati più complessi La distinzione netta tra i momenti laici e i
momenti religiosi è una lettura della realtà estranea alla Tradizione
ebraica per la quale non esiste una dicotomia tra il "hol"(laico) e il
"kodesh"(sacro). Il 5 di Yiàr di 61 anni fa, appena Ben Guriòn
ebbe finito di leggere la dichiarazione d'Indipendenza, Rabbi Ha Cohen
Maimon, uno dei firmatari della dichiarazione stessa, si alzò in piedi
e pronunciò la benedizione di "Sheecheianu"
che si dice per le cose e per gli avvenimenti nuovi, benedizione nella
quale si ringrazia Dio per averci fatto vivere, e partecipare a una
situazione che è per noi fonte di una gioia inaspettata. Si tratta in
realtà, dal punto di vista della Tradizione, del riconoscimento della
miracolosa sopravvivenza ebraica e la realizzazione di quello che era
stato il sogno di decine di generazioni. Yom ha Atzmaùt ci ripropone
quindi l’incessante dialettica che accompagna il destino del
popolo ebraico dove la storia si incontra con lo spirito, l'immanente
con il trascendente e il tempo delle lacrime con il tempo delle
risa. |
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Il Jewish Week celebra in prima pagina l'avvento del Facebook Judaism.
Si tratta del BBYO, che nella versione online diventa BBYO 2.0. Il
vanto di questo socialnetwork è il numero dei membri: 26mila.Tutti giovani. |
Maurizio Molinari,
giornalista
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Reuven Feuerstein e il potenziamento della capacità cognitiva
Reuven Feuerstein (nell'immagine a fianco), il suo pensiero e la sua
attività in una relazione di Sandra Damnotti, esperta di formazione
attraverso il metodo Feuerstein, sono stati oggetto di un convegno che
si è svolto nel centro sociale della Comunità di Torino grazie
all'organizzazione dell'Associazione donne ebree d'Italia.
Docente
di psicologia presso l’Università di Bar Ilan a Tel Aviv e la
Vanderbilt University di Nashville, Tennessee, laureato honoris causa
alla facoltà di scienze della formazione dell’Università di Torino,
oggi Feuerstein dirige in Israele un centro di ricerca per lo sviluppo
del potenziale d’apprendimento.
Durante la guerra insegnava,
giovanissimo, in una scuola di Bucarest per figli di deportati. Dopo
l’occupazione della Romania fu internato anche lui nei lager nazisti.
Sopravvisse. Tornato a Bucarest intraprese gli studi di
psicologia, conclusi nel 1970 alla Sorbona. Inizialmente affascinato
dalla scuola viennese, se ne allontanò presto sposando la concezione
della corrente che attribuisce grande importanza ai fattori cognitivi,
in contrasto con quella junghiana che privilegia lo studio analitico
dell’Es, dell’inconscio.
Cominciò, negli anni ’50, a collaborare in Israele con l’organizzazione Aliyah per la gioventù,
il cui proposito era quello di accogliere bambini e adolescenti che
affluivano da tutto il mondo, aiutare i reduci a superare il trauma,
trovare nuove motivazioni, tornare ad una vita di giochi, serenità,
studio… È proprio con il contatto con bambini che non hanno goduto
di normali condizioni di vita e occasioni di apprendimento che iniziano
a delinearsi i nuclei teorici della sua psicologia: la modificabilità cognitiva strutturale e il modello di apprendimento mediato.
A fronte dei progressi conseguiti con questi pazienti maturò la
convinzione che l’uomo è in grado di automodificarsi, di potenziare il
proprio funzionamento cognitivo in modo assai più significativo di
quanto si credeva.
Tali modificazioni possono essere
efficacemente indotte attraverso una Mediazione, l’attività di un
pedagogo che elabora un programma di esperienze e interazioni
formative, personalizzato in base ai risultati dell’analisi
dell’apparato cognitivo, della “modalità del pensare” del discente, in
grado di strutturare solidamente l’apprendimento. Questo
programma, chiamato Instrumenctal Enrichment Program è volto a far
emergere le capacità di apprendimento latenti, è una strategia di
manifestazione dell’intelligenza. L’oggetto del suo insegnamento è il
pensiero stesso, il ragionamento; esso, per Feuerstein, si articola in
tre fasi: Input (il raccoglimento dei dati), Elaborazione delle
informazioni, Output (l’espressione delle conclusioni raggiunte).
Tutt’e tre queste fasi però sono dominate dall’affettività che
distingue un uomo da un computer, e in quanto tali soggette all’errore.
Il Mediatore dev’essere in grado di rintracciare la fonte e
l’occorrenza dell’errore ed ovviarvi, o meglio guidare il proprio
discente ad ovviarvi.
Feuerstein e i suoi collaboratori
hanno costantemente alternato, affiancato e integrato la riflessione
teorica con l’osservazione clinica e l’attività pratica, l’applicazione
degli strumenti analitici, la formazione di docenti, l’intervento
cognitivo. Nel 1992 è stato fondato l’International Center for the Enhancement of Learning Potential, culmine dell’attività iniziata con Aliyah per la gioventù,il
quale, facendo riferimento alla pedagogia della Mediazione e alla
teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale, si colloca
all’avanguardia della ricerca pedagogica e didattica, forma nuovi
preparatissimi educatori e pratica interventi terapeutici e di sostegno
a soggetti di tutte le età.
La concezione psicologica di
Feuerstein si fonda su un’interpretazione non innatistica
dell’intelligenza, sull’affermazione della sua modificabilità, della
sua possibile ottimizzazione a qualsiasi età. Questa teoria getta le basi per un egualitarismo antropologico che ha davvero ben pochi precedenti culturali.
Manuel Disegni
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pilpul |
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Le strane vicende di una proposta controversa
In questi giorni è tornata alla ribalta la già celebre proposta di
legge n. 1360, presentata alla Camera da 40 deputati, capitanati
dall’on. Barani, dal titolo apparentemente innocuo (“Istituzione
dell’Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici
di guerra”) e dal contenuto esplosivo. L’articolo
2 individua infatti tra i soggetti destinatari della nuova onorificenza
non solo i militari delle Forze armate ed i partigiani ma anche i
“combattenti nelle formazioni dell’esercito nazionale repubblicano
durante il biennio 1943-1945”, equiparando di fatto gli uni agli altri. Non
intervengo sul contenuto, già illustrato e commentato molte volte, ma
mi limito a due brevi considerazioni di ordine procedurale: 1.la
proposta di legge era stata illustrata dal presidente della Commissione
Difesa della Camera, che ne aveva avviato l’esame il 12 novembre 2008,
per mai più proseguirlo, alla presenza del sottosegretario alla difesa
Giuseppe Cossiga, che (è scritto nel resoconto della seduta) “si
riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito”, preferendo
glissare su un argomento certo spinoso; 2.è curioso e certo non
frequente che sia il Presidente del Consiglio ad annunciare il ritiro
di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, che è ovviamente
nel pieno dominio dei suoi numerosi sottoscrittori, a partire dal primo
dei 40 firmatari: suona infatti come un atto di imperio nei confronti
di questi ultimi.
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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Con
l’avvicinarsi della visita del papa in Israele sembra riaprirsi anche
la questione Pacelli. Così almeno teme Marco Roncalli su Avvenire, che dedica un corsivo piuttosto acido a tre articoli pubblicati domenica sul Sole 24 ore, in particolare a quelli di Benny Morris e di Sarfatti,
accusati di non conoscere i fatti e di parlar male del futuro santo,
che però è già intoccabile per i cattolici. La polemica contro Morris è
ripresa in una nota non firmata del Riformista. Sempre in tema di mondo cattolico, da leggere la critica ai risultati di Durban 2 scritta su Repubblica
da Joaqìn Navarro-Valls, l’ex portavoce di Papa Woitila – una critica
interessante, anche se molto diversa dalla nostra. Più focalizzato il
commento di Aldo Rizzo sulla Stampa: perché bisogna sperare che non vi sia una Durban3. Ancora pensiero cattolico: Il Foglio
reagisce con un corsivo non firmato in maniera piuttosto
scomposta al risultato del referendum che si è svolto a Berlino per far
scegliere i cittadini fra insegnamento religioso ed etica, in cui ha
vinto quest’ultima opzione (Guido Ambrosino su Il Manifesto)
prendendosela anche con il “festival della democrazia” che si è tenuto
a Torino con la direzione di Zagrebelski, qualificandolo come il
tentativo dei “turiferari della Costituzione come nuova tavola della
legge” di “rivestire di un linguaggio apparentemente laico l'ortodossia
del secolarismo democratico”. Il risultato del referendum (l’abolizione
dell’ora curriculare di religione sostituita da uno studio laico di
etica) è importante e dovrebbe far riflettere. Anche se la comunità
ebraica tedesca si è schierata con le altre religioni in difesa
dell’insegnamento pubblico della religione, in Italia una discussione
analoga, che è di là da venire, forse potrebbe vedere schieramenti
diversi.
Il medio Oriente. Da leggere innanzitutto l’editoriale non firmato del Jerusalem Post,
intitolato “lacrime e gioie” che fa il punto sulla situazione di
Israele alla vigilia del suo sessantunesimo anniversario (a proposito:
auguri!). Sullo stesso giornale è
importante l’opinione di Carolyne B. Glick che mostra le gravi
conseguenze per il Medio Oriente della politica estera di Obama.. Sullo
stesso tema, Janiki Cingoli dà su Europa
una notizia che i grandi giornali hanno ignorato, le pressioni di Obama
e Clinton sul Congresso per modificare la legge che proibisce
all’amministrazione americana di finanziare un governo che includa
Hamas e ammorbidisce sostanzialmente le clausole per il suo
riconoscimento. E’ un passo importante e, contrariamente a quanto pensa
Cingoli, molto negativo. Sullo stesso tema vi è una notizia non firmata
su Liberal, di orientamento più vicino a Israele. Sempre a proposito di Obama, interessante l’intervista di Rolla Scolari sul Giornale
a Dalia Mogahed, prima donna che porta il velo islamico a fare da
consigliera a un presidente americano. Le sue idee non sono troppo
differenti dal suo abbigliamento: velate e un po’ inquietanti. Delle
conseguenze della “rassegnazione a convivere con un Iran nucleare” del
Congresso e dell’amministrazione americana parla un articolo non
firmato di Liberal e
si tratta sostanzialmente di un’operazione aerea contro le basi
nucleari che sarebbe condotta da Israele da solo: opzione che
l’articolo tratta con dettagli molto realistici. Nel frattempo bisogna
prendere nota del rifiuto di Abu Mazen di accettare la condizione
centrale che il nuovo governo israeliano vuole introdurre nelle
trattative di pace: il riconoscimento di Israele come stato del popolo
ebraico (Michele Giorgio sul Manifesto). Degna
di attenzione la reazione di molti siti islamici al diffondersi
dell’epidemia di febbre suina. E’ una “punizione di Allah contro
l’Occidente”, dicono (Il Sole 24 ore).
Sono gli stessi che avevano inneggiato al terremoto in Abruzzo e
pregato perché le vittime si moltiplicassero. Sempre in tema di
epidemia, bisogna registrare la richiesta del viceministro della sanità
ultraortodosso (UTJ) del governo israeliano, Yakov Litzman, perché non
si parli di “influenza suina” termine che sarebbe non kasher, e la si
nomini invece come “messicana” (Guido Olimpio sul Corriere).
E’ evidentemente una sciocchezza, non maligna come quella islamica, ma
pur sempre una sciocchezza. Come se i nomi cambiassero la natura delle
cose... E come se nel giudizio su una malattia che miete vite umane
contasse il fatto che i virus siano stati ricombinati nell’organismo di
questo o quell’animale.
Ugo Volli
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notizieflash |
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Israele, iniziano questa sera le celebrazioni per il 61° anniversario dell'Indipendenza Tel Aviv, 28 apr - Cerimonie
ufficiali oggi in Israele per Yom ha Zikkaron la Giornata nazionale dei
caduti nelle guerre che hanno costellato la difficile storia dello
Stato ebraico. Nella mattinata si sono svolte cerimonie nei cimiteri
militari del Paese e due minuti di raccoglimento nazionale al suono di
sirene. Complessivamente i caduti israeliani nel corso di decenni di
continui conflitti con i vicini arabi sono stati 22.570. Nell'
ultimo anno - in cui è stata condotta la operazione 'Piombo fuso'
contro Hamas a Gaza - alla lista si sono aggiunti 133 nomi. Al tramonto
inizieranno invece i festeggiamenti per il 61/mo anniversario
dell'indipendenza (Yom ha Atzmaùt). In occasione di queste ricorrenze
Israele ha chiuso i valichi di transito con i territori palestinesi e
ha elevato lo stato di allerta in tutto il territorio.
Israele, Netanyahu: " Il nostro destino mai più a repentaglio " Geusalemme, 28 apr - Il
premier israeliano Benyamin Netanyahu durante una cerimonia
commemorativa nel cimitero militare del Monte Herzl a Gerusalemme in
occasione di Yom ha Zikkaron, la giornata che ricorda i caduti
israeliani di tutte le guerre, ha affermato "Mai e poi mai faremo
compromessi sulla nostra sicurezza. Questo è il nostro dovere sia di
fronte ai caduti, sia di fronte alle generazioni che verranno". Dopo
una lunga Diaspora, ha rilevato Netanyahu, il popolo ebraico "ha
finalmente ripreso il destino nelle sue mani" quando il secolo scorso
si è dotato di forze armate ed è riuscito ad edificare uno Stato
indipendente. "Quello che è cambiato nella storia ebraica - ha
affermato - non è l'odio verso gli ebrei, bensì la nostra capacità di
difenderci. Mai più metteremo a repentaglio il nostro destino".
Netanyahu ha anche notato di conoscere in prima persona il dolore che
le famiglie provano per la perdita di un congiunto in guerra avendo
perso lui stesso il fratello maggiore Yoni nel blitz della unità
antiterrorismo ad Entebbe (Uganda) nel 1976. "Anche se la vita ci porta
avanti, ci sono momenti - ha confessato - che il dolore torna a
manifestarsi. Allora siamo costretti a fermarci, e a piangere". Israele, per Barak è necessario un accordo entro tre anni Tel Aviv 28 apr - Secondo
il ministro della difesa Ehud Barak (laburista), l'obiettivo che il
governo Netanyahu deve porsi è il raggiungimento di accordi di pace in
Medio Oriente entro tre anni. In una intervista a Haaretz, che uscirà
nei prossimi giorni, Barak afferma che Netanyahu ha accettato la logica
degli accordi di Oslo (fra Israele e Olp) e la necessità di uno Stato
palestinese indipendente accanto a Israele. Nella prossima visita negli
Stati Uniti, prevede Barak, il leader del Likud presenterà un piano "il
cui significato sarà appunto due Stati per due popoli". Evocando due
predecessori del Likud alla carica di premier - Menachem Begin ed
Yitzhak Shamir -. "Netanyahu vuole essere come il primo": ossia come
colui il quale, malgrado la diffusa sfiducia internazionale, riesce a
portare avanti il processo di pace. Riferendosi alla minaccia nucleare
iraniana Barak afferma che "non c'é al mondo chi osi distruggere
Israele". Aggiunge che se Teheran riuscirà effettivamente a dotarsi di
armi nucleari c'é da prevedere che il suo esempio sarà seguito da altri
Paesi come Egitto, Turchia, Arabia Saudita. "Tra 10-15 anni materiale
nucleare potrebbe giungere a gruppi terroristici che sarebbero in grado
di compiere attentati a New York, ad Anversa o ad Ashdod", a sud di Tel
Aviv.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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