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L'Unione informa |
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29 aprile 2008 - 5 Iyar 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Nel
terzo capitolo del trattato di Avòt, Rabbi Chaninà ben Dossà afferma
che soltanto se le azioni sono maggiori della sapienza, la sapienza si
mantiene. L’importanza straordinaria data dalla tradizione ebraica alle
azioni, ribadita in questo e in altri passi di Avòt, suscita in alcuni
casi delle perplessità. Si accusa a volte l’ebraismo di essere
formalista e poco interessato ai pensieri e ai sentimenti. Ovviamente
non è così. Nella tradizione ebraica si sottolinea spesso l’importanza
dei sentimenti (i chakhamìm dicono che Dio desidera il cuore delle
persone) e la straordinaria importanza data allo studio è una
testimonianza del grande valore che ha per l’ebraismo la conoscenza.
Ciò non toglie che l’azione sia fondamentale. Il Sefer Hachinùkh
afferma che, diversamente da ciò che comunemente si pensa, sono le
azioni a influenzare i sentimenti e i pensieri. Un autore
contemporaneo, Rav Eliahu Dessler, spiega che nei rapporti con il
prossimo non sempre i nostri sentimenti di amore ci inducono ad azioni
concrete di sostegno e solidarietà mentre se ci impegniamo in azioni di
sostegno e aiuto verso gli altri, ciò ci porterà a provare sentimenti
di affetto nei loro confronti. |
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Sessantuno anni dopo l’Unità d’Italia, nel 1922, avveniva la Marcia su Roma.
Ancora oggi si sta discutendo in Italia su come rappresentare la
liberazione dalle conseguenze di quell’infausto momento. Oggi, nella
data ebraica del 5 di Iyàr, festeggiando il 61° anniversario
dell’Indipendenza dello Stato d’Israele ci chiedevamo se sarebbe
possibile anche qui una “Marcia su Gerusalemme”. La storia insegna come
le vicissitudini delle nazioni, le guerre, le grandi crisi economiche,
possano scardinare i principi della convivenza civile generando
sconsiderate e tragiche avventure. La società israeliana non è meno
complessa e frastagliata rispetto a quella italiana, nelle diverse
ideologie politiche e nei contrasti socioeconomici. E in più ha dovuto
sopportare l’incessante ostilità del contesto geopolitico che in 61
anni ha causato 22.570 vittime militari e civili. Lo Stato israeliano
ha finora saputo esprimere meccanismi di autocritica e di autocontrollo
che ne hanno garantito il carattere civile democratico e
rappresentativo. La chiave della futura esistenza di Israele sta nella
sua capacità di difendere i propri interessi di sopravvivenza e di
politica reale, che a volte impongono anche l’uso della forza, senza
però mai dimenticare l’eterno imperativo ebraico di perseguire la
verità, la giustizia, la vita, l’amore per il prossimo, la pace. È
questo il vero senso dell’esigenza irrinunciabile che Israele sia lo
Stato ebraico. |
Sergio Della Pergola,
demografo, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Sorgente di vita, rubrica di cultura e vita ebraica, è ora on line
Lo studio 11 di Via Teulada, un telo scuro sullo sfondo,
una grande menorah di metallo: e poi partiva la musica. Ricordo
che si registrava così, negli anni ’80, la sigla di Sorgente di vita. La menorah è ancora il simbolo del programma negli allegri disegni di Emanuele Luzzati che animano la sigla. Oggi Sorgente di vita è on line: basta entrare nel sito www.rai.tv, fare
click su cerca programma e poi sul nome della rubrica nell’elenco
alfabetico. Troverete le ultime puntate divise servizio per servizio. Se
siete curiosi di vedere un seder didattico nello splendido scenario
della Biblioteca Palatina di Parma, di ascoltare un approfondimento su
Pesach del rabbino Benedetto Carucci Viterbi; se non avete potuto
partecipare l’8 aprile alla benedizione del sole ora potete rivedere le
immagini della cerimonia davanti al Tempio Maggiore di Roma. E’ una novità, una possibilità in più per chi avesse perso la messa in onda, un’ulteriore opportunità data dalla Rai alla
rubrica, presenza storica nel palinsesto insieme alla parallela
Protestantesimo, curata dalla Federazione delle Chiese Evangeliche. Sorgente di vita è nata come rubrica religiosa ebraica nel 1973: la Rai affermava in pieno il suo ruolo di servizio pubblico. E' frutto di una collaborazione, regolata da una convenzione, tra Raidue e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), Alla nascita Sorgente di vita
durava 15 minuti e andava in onda ogni settimana, il giovedì
pomeriggio. Con la riforma della Rai nel '75 si è trasformata in
una rubrica di vita e di cultura ebraica, in onda la domenica sera,
ogni quindici giorni. Sono tre le possibilità per seguire
la trasmissione in tv: la domenica intorno alle 01:00, e poi due
repliche, una alla stessa ora del lunedì successivo e un'altra il
lunedì della settimana dopo, alle 9:30 del mattino. Su questi orari la
redazione, ovviamente, non ha alcun controllo né responsabilità. Sorgente di vita
ha un pubblico affezionato, una variegata community composta
prevalentemente di non ebrei, ma attira anche ascoltatori casuali,
quelli che giocano col telecomando e che nello zapping vengono
catturati da temi culturali, immagini insolite, da curiosità. Ogni
puntata, nelle tre repliche, ha un ascolto complessivo tra i 300 e i
500 mila spettatori, con uno share competitivo rispetto ad altri
programmi Rai che vanno in onda alla stessa ora. Un risultato di tutto rispetto per una rubrica culturale. Dietro le quinte di Sorgente di vita c’è un lavoro particolare rispetto ad altre trasmissioni: la Rai,
che sostiene economicamente il programma, mette a disposizione un
ufficio nella sede storica di via Teulada a Roma, i mezzi di
produzione, troupe, montaggi, i ricchi archivi, e una
redazione formata da quattro/cinque persone: attualmente i
programmisti registi Alessandra Di Marco e Augusto Bastianini, il
produttore esecutivo Monica Flores e un'assistente al programma. Autore
della rubrica, a cura dell 'UCEI, è Emanuele Ascarelli: in redazione
Piera Di Segni e, nel tempo, tante collaborazioni, da Fausto Coen a
Luciano Tas, da Lia Tagliacozzo a Lucia Correale, preziosa e
intelligente collaboratrice, autrice di servizi reperibili on
line. Alla redazione UCEI spetta la redazione dei testi, la scelta dei temi e degli intervistati, tutta la parte dei contenuti. C'è piena collaborazione con i colleghi della Rai
i quali, con curiosità, suggerimenti e domande, fanno da
stimolo nella ideazione e nella realizzazione dei servizi, cercando di
interpretare le aspettative del pubblico che poco sa di
ebrei e di ebraismo, ma ha voglia di conoscere e di approfondire. La sfida di Sorgente di Vita,
da oltre 35 anni, è proprio questa: raccontare, a un pubblico
prevalentemente non ebraico, non la vita degli ebrei in Italia e
all'estero, le tradizioni, le feste, la cultura ebraica in tutte le sue
forme; presentare la realtà, la società e la storia di Israele;
occuparsi di memoria; raccontare i mille volti dell'identità, storie e
personaggi; presentare la posizione ebraica su temi di attualità,
dalla bioetica ai problemi sociali; far conoscere le
attività dell'Unione, del Presidente e delle comunità. Con quattro/cinque
servizi in ogni numero, il ritmo, il linguaggio, lo
stile sono cambiati nel tempo, adeguandosi alle
trasformazioni della società e della tv. I servizi sul sito www.rai.tv sono
una piccola antologia della nostra produzione: la storia di Mario
Giacometti, marinaio italiano protagonista della alyah beth, una
riflessione del Rav Riccardo Di Segni sul testamento biologico, i
casi di due persone aiutate dallo sportello antiusura della comunità
ebraica di Roma, un'intervista con l'ambasciatore di Israele Gideon
Meir e sua moglie, e molti altri. Sono solo gli ultimi capitoli
di un archivio visivo dell'ebraismo italiano, e non solo, che comprende
tra l'altro reportage da Israele e da realtà ebraiche nel mondo,
lo storico Ritorno ad Auschwitz
con Primo Levi e tante interviste e ritratti, da Simon Wiesenthal a
Rita Levi Montalcini, da Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua a
Tullia Zevi e Elio Toaff e tanti altri personaggi. Ma anche le prime
immagini della sinagoga di Bova Marina appena ritrovata o quelle, rare,
delle catacombe di Villa Torlonia e di Vigna Randanini. Per non parlare
delle bellissime riprese di tante sinagoghe italiane, in occasione di
feste o di cerimonie. O delle immagini, uniche, di tanti momenti di
vita ebraica, dalla milà in una famiglia romana, a un recente
matrimonio a Venezia. Presto parte di questo archivio sarà disponibile su www.rai.tv. Materiali
che ricostruiscono e documentano decenni di storia e forniscono un
resoconto dell'attualità, nella convinzione che la comunicazione e la
conoscenza siano risorse essenziali contro ogni pregiudizio.
Piera Di Segni |
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Il capo dei pirati, Mohammed Muse, un bandito d'altri tempi
Confesso che desta una certa simpatia Mohammed Muse, definito il "capo
dei pirati", intervistato sulla vicenda del mancato arrembaggio della MSC Melody,
la bella nave da crociera (tante volte ormeggiata nel porto di Livorno)
difesa con successo dalla sicurezza israeliana che era a bordo e dal
sangue freddo del comandante e del suo equipaggio. L'agenzia France Presse
l'ha raggiunto telefonicamente, si apprende, nel suo rifugio di Ely, a
circa 800 chilometri da Mogadiscio. Parla come l'allenatore,
anzi "il mister", di una squadra di calcio che perso un importante
incontro non invoca la solita sfortuna, il terreno duro, il maltempo o
altro ma, anzi, rende onore all'avversario più bravo, analizza
tecnicamente lo scontro (è il caso di dirlo) e prende i suoi bravi
appunti, stile Mourinho. E' su tutti i giornali, o comunque su molti,
con foto: è stato raggiunto evidentemente a un suo numero di telefono e
pare che se ne conosca, forse più o meno, anche la
residenza. Sembra quasi un Bandito d'altri tempi, con la B
maiuscola : qualcuno potrebbe magari scambiarlo per un novello Robin
Hood, ma non lo è. E' un pirata, seppur in versione moderna, con
tanto di vittime innocenti causate senza tanti scrupoli. E allora,
com'è che c'è chi riesce a telefonargli a casa, ma non viene preso, e
perché gli viene dedicato tanto spazio sui media? Misteri dei nostri
tempi....
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
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Alcuni giornali dedicano al fatto appena un trafiletto (Il Sole 24 Ore, La Repubblica, L’Unità). Solo il Corriere della Sera e Il Messaggero
lo riportano con un certo rilievo e qualche riflessione. Eppure è
questo l’evento del giorno, risalente al 20 aprile ma reso noto
solamente adesso. A Oswiecim, a poche centinaia di metri dal Lager di
Auschwitz, durante lavori di restauro in una scuola superiore è
comparsa, nascosta in un muro, una bottiglia contenente un messaggio
scritto sulla carta di un sacchetto per il cemento: la testimonianza
muta e viva, con tanto di nomi e numeri di matricola, di sette
prigionieri del campo che nel settembre 1944 lavoravano in quel luogo
alla costruzione di un rifugio antiaereo militare. Un evento non
evento, forse; non un fatto nuovo, ma il riemergere del passato. Ed è
proprio questa provenienza a generare lo straordinario valore simbolico
che l’episodio assume per noi oggi. Le parole annotate con fretta e
disperazione su quel foglio di fortuna, quei nomi chiusi nella pietra e
lanciati nel futuro per attestare una presenza dolorosa ci giungono
come messaggio da un passato che non può passare, che permane sopra e
dentro di noi, ci parla e ci inquieta ancora e sempre. Eppure c’è
sempre qualcuno che vuole negarlo, nascondendolo di nuovo tra i detriti
sopra i quali ci muoviamo. Non parlo solo dell’inguaribile, patologico
negazionismo che l’Islam radicale e anti-israeliano usa come arma
politica. Mi riferisco alla sostanziale incapacità della comunità
mondiale di oggi di recepire la lezione proveniente dalle tragedie del
passato. Dopo Auschwitz il mondo civile dovrebbe aver costruito gli
strumenti per combattere alla radice ogni forma di risorgente razzismo.
Invece di fronte a nuovi abissi del Novecento o del nostro primo
Duemila (dal Ruanda alla Cambogia, dai Balcani al Darfur, per tacere di
altre stragi recenti) gli organismi internazionali, Onu in testa, hanno
saputo rispondere solo inventando conferenze demagogiche e
propagandistiche come quella di Durban I nel settembre 2001 e quella di
Ginevra di pochi giorni fa (nota, per questo allineamento alla prima,
come Durban II). Conferenze che giungono al paradosso di
denunciare verbalmente e di praticare nello stesso tempo politicamente
quel razzismo che dovrebbero mettere al bando. A queste amare
riflessioni ci spinge oggi un articolo bello e coraggioso di
Bernard-Henry Lévy sul Coriere della Sera.
Dovrebbe essere forte, in questi giorni, la vergogna dell’Onu e dei
suoi maggiori esponenti davanti ai popoli solo ieri e ancora oggi
sterminati dalle violenze razziste, dalle pulizie etniche, dalle lotte
per il potere. Di loro, di Darfur, di Sri Lanka, di Angola, di Burundi,
di Tutsi, di Intoccabili indiani, di minoranze cristiane nelle Molucche
a Ginevra non si è parlato o quasi, perché l’importante era mettere in
scena la rappresentazione islamista del razzismo di Israele, dal mondo
arabo considerato vecchio-nuovo paria tra le nazioni. Di fronte a
questo colossale inganno, a questa mascherata, Lévy è drastico: per
ridare dignità ed esistenza ai dannati della terra di fatto esclusi
dalla Conferenza Onu occorre smantellare il Consiglio per i diritti
dell’uomo – l’organismo delle Nazioni Unite che ne è stato il promotore
– e ripartire da capo, rifondando una nuova, seria struttura che
affronti i veri problemi dei diritti umani togliendo la platea agli
strumentalizzatori di professione (“dopo Durban II, una Ginevra
III”). Invece delle autentiche denunce e dei forti interventi
nelle zone tormentate del mondo, dunque, la negazione di Israele,
comodo parafulmine. Un parafulmine con i suoi grossi problemi interni e
regionali, con le sue forti responsabilità e le sue scelte talvolta
opinabili, per carità. Ma pur sempre una comoda valvola di sfogo, per
il mondo arabo spesso un elemento negativo, anzi una realtà da negare e
da escludere. Su ciò riflette sconsolata, proprio nel giorno di Yom ha
Atzmauth, Fiamma Nirenstein (Il Giornale).
Il profilo storico di Israele che traccia per l’occasione, a beneficio
dei lettori meno consapevoli o più sviati dalle tante false
informazioni in circolazione, si trasforma di fatto in una storia del
rifiuto di Israele da parte dell’Islam. Ma è proprio il rifiuto, con le
sue conseguenze distruttive, a postulare la risposta positiva: “quelli
che lo negano, paradossalmente, creano l’evidente indispensabilità
della sua esistenza”, conclude la giornalista con fine intuizione. La
certezza di Israele, la centralità del suo “esserci” non eludono
tuttavia i suoi problemi e le sue lacerazioni attuali. E’ Sergio
Romano, sul Corriere della Sera,
a sottoporli con impietosa lucidità alla nostra attenzione. Rispondendo
a un lettore nell’ambito della sua rubrica di lettere al giornale, si
dice pessimista su tutti i fronti riguardo alla situazione
israelo-palestinese. Il disegno di una Stato unico binazionale – a suo
tempo non disdegnato da Herzl e vagheggiato da Buber, oggi ripreso da
studiosi britannici e da accademici israeliani e palestinesi – non ha
prospettive per la radicale differenziazione ormai creatasi tra i due
popoli (e per lo snaturamento totale di Israele che ne verrebbe, mi
permetto di aggiungere). Lo sostiene anche lo storico Benny Morris,
ripreso da Romano, che propone invece una Grande Giordania capace di
accogliere anche i palestinesi. Ma anche questa appare in effetti una
prospettiva poco credibile, con tutti i problemi che porrebbe alla
monarchia hashemita. D’altra parte, la soluzione più naturale e giusta,
quella sostenuta da tutto l’Occidente dei “due Stati per due popoli”,
appare oggi (a Romano come del resto al citato Morris) del tutto
bloccata e sempre più lontana rispetto alla realtà
politico-territoriale del momento. Romano è dunque pessimista su tutta
la linea: al momento non si profilano strade praticabili per risolvere
la questione. Tanto più che – e questo è ciò che maggiormente ci
inquieta nella sua analisi – Israele stesso pare avvolto in una crisi
interna dissolvente, per la contraddittorietà della sua situazione
politica nei Territori (insediamenti israeliani incuneati nel cuore di
terre e popolazioni palestinesi), per la tendenza demografica perdente
rispetto al mondo palestinese, per il rifiuto crescente della presenza
di Israele all’interno della realtà palestinese. Ciò che Sergio Romano
ci dice col suo freddo, realistico scetticismo è purtroppo vero, e ci
fa male, ci preoccupa seriamente rispetto al futuro. Ma, al di là di
tutto e anche di fronte a queste realistiche considerazioni politiche,
credo si debba ribadire che Israele ha una straordinaria ricchezza di
risorse interne, umane prima ancora che economiche, per resistere a una
spirale negativa: ha intelligenza, creatività, iniziativa, conoscenze
scientifiche e tecnologiche; ha soprattutto una tenacia pressoché
invincibile, una forza spirituale che le assicurano la capacità di
“resistere”, di fronte alla crisi politico-demografica e di fronte alla
crisi identitaria-esistenziale che si trova ad affrontare. Anzi,
dando uno sguardo a quel che scrivono i giornali sull’aria che si
respira in Medio Oriente, sempre più Israele appare un’isola vivibile,
una boccata di ossigeno in una regione dove l’atmosfera è spesso
asfittica. Ce lo dicono segnali differenti su piani ben differenti, ma
segnali che vanno nella stessa direzione di preoccupante oscurantismo.
L’ANP ha condannato a morte un palestinese colpevole di aver venduto
terra a coloni israeliani nei Territori e quindi punito per “alto
tradimento” (Libero):
sarà difficile, per uno Stato “normale”, trattare con un interlocutore
sedicente moderato che tiene questo atteggiamento interno. In Arabia
Saudita le donne non possono più frequentare le palestre, e si pone
così fine a un’ “indecente” cura del corpo che suscitava lo scandalo e
la reazione indignata dei circoli religiosi (Il Sole 24 Ore):
certo che in Israele accade lo stesso in alcuni ambienti, ma, appunto,
solo in alcuni ambienti e non per iniziativa dello Stato.
David Sorani
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Israele, Yom ha Atzmaut: Il 61° anniversario dell'Indipendenza e gli auguri del presidente Barack Obama Washington, 29 apr - Il
presidente americano Barack Obama ha ribadito il suo impegno per la
pace in Medio Oriente e la sicurezza di Israele. Queste sue
dichiarazioni erano contenute nel messaggio indirizzato agli israeliani
in occasione della loro festa di Yom ha Atzmaut (anniversario
dell'indipendenza dello Stato di Israele). In un comunicato la Casa
Bianca ha ricordato che gli Stati Uniti sono stati i primi a
riconoscere l'indipendenza dello Stato israeliano, qualche minuto dopo
la sua proclamazione, "e i legami di profonda amicizia tra gli Stati
Uniti e Israele resteranno sempre così forti e saldi". "Il presidente
intende cooperare con Israele nei mesi e negli anni a venire per
servire i nostri interessi comuni, tra i quali una pace globale in
Medio Oriente, la sicurezza d'Israele e il rafforzamento delle
relazioni bilaterali" ha sottolineato ancora la Casa Bianca. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
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