se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
|
|
L'Unione informa |
|
|
|
4 giugno 2009 - 12 Sivan 5769 |
|
|
|
| |
|
alef/tav |
|
|
|
|
|
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Questo
Shabbat leggeremo nella Torà il testo della benedizione sacerdotale,
che è di uso comune nella nostra liturgia sinagogale e in ogni altro
evento. Originariamente e tuttora sono i kohanim, i sacerdoti, i primi
a dover dare questa benedizione, dove il presupposto è che la
benedizione non proviene da loro, ma sono loro a invocarla e per il
merito di questa invocazione saranno anche loro benedetti. Sembra
semplice, ma non lo è, perché molto spesso invocare il bene per gli
altri può essere psicologicamente molto difficile se non impossibile.
La tradizione, ispirandosi anche al racconto di Ruth che abbiamo letto
lo scorso Shabbat, insegna che il potere-dovere di benedire spetta a
chiunque e che "la benedizione di una persona semplice non va
considerata come cosa di poco conto". La società che si vuole è quella
in cui ognuno desideri per l'altro qualche cosa di buono, con la
convinzione (non solo la speranza), che questo desiderio produca
effetti benefici. |
|
Una
nuova proiezione della popolazione di Israele, preparata da Richard
Cincotta del National Intelligence Council del Governo americano, e da
Eric Kaufmann dell’Università di Londra, conferma tendenze già note ma
non per questo meno inquietanti. Nel 1960, il 15 per cento degli alunni
nelle scuole elementari israeliane appartenevano a due diversi gruppi
di popolazione che nella loro quasi totalità non effettuano il servizio
militare né il servizio civile sostitutivo: ebrei haredim e arabi. Oggi
la stessa aliquota di alunni è salita al 46 per cento, e attorno al
2020 supererà il 50 per cento. Nel 2030, haredim e arabi israeliani (in
gran parte musulmani) potrebbero costituire il 60 per cento degli
alunni e il 40 per cento degli iscritti nelle liste elettorali. Oltre a
non partecipare a importanti funzioni nella vita della società
israeliana come la difesa e il servizio civile, questi settori sono
cratterizzati da alti livelli di povertà legata alla scarsa
partecipazione alla forza di lavoro. L’alta natalità di questi gruppi è
sostenuta dai sussidi governativi che pertanto incoraggiano un circolo
vizioso fra famiglie numerose, carenza di mezzi e scarso sviluppo delle
potenzialità individuali. E’ anche vero, però, che le risorse
governative non sono illimitate. Ove questi settori della popolazione
israeliana fossero incoraggiati o costretti a partecipare più
attivamente alla vita economica, e dovessero dunque contare soprattutto
sulle proprie risorse produttive e non su quelle pubbliche, la loro
natalità potrebbe diminuire, rendendo quindi meno attuali i risultati
della proiezione demografica.
|
Sergio Della Pergola, demografo Universita Ebraica di Gerusalemme |
|
|
|
|
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Torino e i libri – Egitto-Israele, la pace fredda raccontata da un grande testimone
Trent'anni di pace fredda, quattro millenni di di storia. Un intervento
dell'ex ambasciatore di Gerusalemme al Cairo Zvi Mazel, organizzato in
collaborazione con l'Associazione Italia Israele, ha costituito una
delle occasioni di maggiore interesse nel quadro della recente Fiera
del Libro di Torino per comprendere dal racconto di un testimone
d'eccezione il Paese arabo che era ospite d'onore alla manifestazione
culturale. Mazel
ha spiegato che, nonostante la pace tra i due paesi sia stata raggiunta
da trenta anni, le relazioni tra i due popoli sono iniziate circa 4000
anni fa. Nell'antichità accadeva spesso che popolazioni colpite dalla
siccità migrassero in Egitto, dove i terreni erano più fertili (quanto
è cambiata la morfologia del territorio!). Abramo, Giuseppe, Giacobbe
sono solo alcuni degli ebrei che emigrarono in Eretz Mizraim. Fu Mosè
che spinse la popolazione ebraica, compattatasi durante la schiavitù, a
emigrare nella "Terra Promessa". Sotto la presidenza di Nasser la
numerosa comunità ebraica egiziana, circa 80.000 persone, fu scacciata
ed oggi restano solamente 100 ebrei in tutto il paese. Nonostante ciò
la pace tra Israele ed Egitto è l'unico accordo politico stabile del
Medio Oriente, capace di resistere ai problemi sociali ed economici
della regione, al terrorismo, al fanatismo religioso, all'Iran. Qual'è
stata la svolta nelle relazioni tra i due Paesi? Mazel indica nella
lungimiranza e nel coraggio di Sadat l'elemento chiave. Sadat,
mettendosi contro la totalità del mondo arabo, comprese che l'Unione
Sovietica spingeva l'Egitto a combattere contro Israele solo per motivi
politici (si era infatti in piena Guerra Fredda) e decise di
avvicinarsi agli USA. Il 19 novembre 1977 giunse a Gerusalemme per
convincere gli israeliani del suo impegno nel ricercare la pace e fece
uno storico discorso alla Knesset, il Parlamento israeliano, nel quale
affermò che non ci sarebbe stata la pace nella regione finché i
palestinesi non avessero avuto un loro Stato. Il viaggio di Sadat fu il
preludio agli accordi di Camp David del 1978, siglati da Sadat e Begin
alla presenza di Jimmy Carter, allora Presidente statunitense. Gli
accordi, che precedettero il trattato di pace del marzo 1979, pur
prevedendo dei negoziati per la creazione di una entità palestinese
autonoma in Cisgiordania e Striscia di Gaza, non furono accolti
positivamente dall’OLP e dal mondo arabo che, in massa, minacciò di
boicottare l’Egitto. L’Unione Sovietica, spaventata dalla possibilità
di diminuire la sua sfera di influenza nella regione, si oppose alla
possibilità di creare una forza internazionale di pace per
supervisionare la demilitarizzazione della penisola del Sinai. La forza
internazionale fu comunque istituita e Mazel tiene molto a sottolineare
come l’Italia stessa ne facesse parte. L’ex ambasciatore si commuove
quando racconta un aneddoto. Si ricorda di quando, passeggero di un
taxi, l’autista, avendolo identificato come israeliano, fermò la sua
vettura e gridò: “Viva Begin, viva Sadat!” Cosa è successo nel
frattempo, visto che la situazione adesso è molto diversa? Mazel
racconta che, nel clima di generale entusiasmo, furono immediatamente
avviati i negoziati per la creazione di uno Stato palestinese.
Negoziati che purtroppo si arenarono nel giro di un anno a causa
dell’ennesimo boicottaggio dell’OLP. L’assassinio di Sadat,
nell’ottobre del 1981, complicò ulteriormente la situazione. Moubarak,
diventato Presidente, concentrò i suoi sforzi per cercare di fare
riammettere l’Egitto nella Lega Araba. Le relazioni diplomatiche con
Israele, viste con scarsa benevolenza dal mondo arabo, costituivano un
problema. Moubarak fu così costretto a raffreddarle, ottenendo come
premio l’ammissione alla Lega stessa. Cosa pensa Mazel della
politica interna di Moubarak? L'ex ambasciatore accusa Moubarak di non
avere fatto quasi niente per contrastare gli attacchi anti-israeliani
ed antisemiti dei nostalgici di Nasser e dei media. Media che hanno
sempre tenuto all’oscuro gli egiziani dell’assistenza fornita da
esperti e tecnici israeliani nel modernizzare le tecniche di
irrigazione egiziane, della cooperazione proposta dal governo
israeliano in vari ambiti, industria e commercio in primis. Recenti
accordi hanno poi permesso all’Egitto di quadruplicare le proprie
esportazioni tessili negli USA, tutto ciò grazie all’intervento
israeliano, ma nessuno, in Egitto, sembra essersene accorto. Interrogato
su quali siano i principali problemi da risolvere per migliorare la
collaborazione tra i due paesi, Mazel cita la questione palestinese e
la lotta al terrorismo. Moubarak, pur appoggiando la posizione
palestinese, è disposto ad accettare qualsiasi soluzione ottenuta
attraverso una negoziazione israelo-palestinese. Negoziazione resa però
praticamente impossibile dalle divisioni interne palestinesi. I due
schieramenti antagonisti, Al Fatah e Hamas, hanno una visione politica
diametralmente opposta e fintanto che Hamas, che non riconosce Israele,
non sarà sconfitta, la pace sarà probabilmente una chimera. Moubarak,
consapevole della necessità di un equilibrio nella regione, cerca di
restare fedele al messaggio di Sadat: “mai più guerra, mai più
spargimenti di sangue”, anche se deve quotidianamente confrontarsi con
il fanatismo religioso delle madrasse, le scuole coraniche, che spingono i fedeli alla Jihad,
la guerra santa. Recentemente è stata scoperta una cellula egiziana di
Hezbollah, a dimostrazione del fatto che le minacce iraniane non sono
solo parole al vento. Mazel è però moderatamente ottimista sul
futuro, in quanto Israele ed Egitto hanno convenienza a collaborare
(interessi economici e non solo). La rottura degli accordi di pace tra
i due Paesi rischierebbe infatti di fare precipitare il Medio Oriente
in una crisi ancora più acuta di quella attuale.
Adam Smulevich |
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Lechaim
Calcolando che gli Usa sono una terra di irlandesi, ispanici,
cinesi, africani, ebrei, olandesi, italiani, francesi presto sentiremo
dire che oltre a essere uno dei più grandi Paesi musulmani del pianeta,
sono uno dei più grandi Paesi al mondo di pizzaioli, mangiatori di
paella, brie e involtini primavera. Il tono della dichiarazione
presidenziale discende dal fatto che contemporaneamente a tutto questo
gli Stati Uniti sono il più grande paese al mondo di bevitori di whisky.
Il Tizio della Sera
Cartoline - Scusi, ma dov'è Gerusalemme?
Grande
costernazione tra gli italiani residenti a Gerusalemme. Le
cartoline elettorali spedite dall'Italia e distribuite nei giorni
scorsi portano due tipi di indirizzi: il primo e', semplicemente,
Gerusalemme, Palestina; il secondo, Gerusalemme Orientale, Asia (sic!)
Israele dunque non esiste più? Peccato che siano i postini israeliani,
e non i palestinesi nè fantomatici asiatici, a recapitare la
corrispondenza... Il fatto che l'Italia non riconosca Gerusalemme
come capitale dello Stato di Israele (tant'e' vero che la nostra
Ambasciata, così come altre, ha sede a Tel Aviv), porta con sè come
conseguenza che l'Italia non riconosca nemmeno l'esistenza di una
Gerusalemme ebraica e israeliana? " Forse al Ministero servirebbe
qualche ripetizione di geopolitica" commenta Angela Polacco, membro
della comunità italiana di Gerusalemme e molto impegnata in
attività turistiche e culturali (è appena stata insignita del titolo di
Commendatore della Repubblica italiana all'estero). E spiega: "primo,
Gerusalemme fa parte dello Stato di Israele, e uno Stato di Palestina
ancora non esiste. Secondo, Gerusalemme Orientale non c'e' proprio,
come entità istituzionale. Terzo, anche se ci fosse, nessuno di noi
abita a Gerusalemme est, ma tutti nella parte occidentale,
israeliana dalla costituzione delllo Stato. E infine, la
storia di Israele è indissolubilmente legata a quella europea fin dal
tempo dei Greci e dei Romani, e definirla Asia è ridicolo. Qui di
asiatico non c'e' nulla..Tant'è vero che, come la Turchia, che
tecnicamente fa parte del continente asiatico, anche Israele ambisce a
entrare nelll'Unione Europea.."
|
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Più
che sfogliare i giornali, oggi bisognerebbe accendere la televisione.
Almeno se si vuol essere informati sul futuro del Medioriente. In
giornata, infatti, il Presidente degli Stati Uniti d’America si
rivolgerà al mondo musulmano, tra le mura dell’università del Cairo,
per compiere un discorso che politologi e dietrologisti considerano
storico prima ancora che venga pronunciato. Secondo i più, Barack Obama
non indicherà la strada per raggiungere accordi di pace nell’area
“calda”, che comprende naturalmente anche Israele. Non lo farà. Parlerà
invece di democrazia. Non quella imposta dall’alto, ma di condivisione
della democrazia all’interno del mondo arabo musulmano. Una riflessione
da prendere in considerazione, in attesa della diretta dall’Egitto, è
quella di Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore che cerca di guardare oltre le parole sulle democrazia, che pronuncerà l’inquilino della Casa Bianca. E
nel giorno (ieri, ndr) in cui Obama sbarca nel regno saudita di
Abdullah II, rispunta Osama. Bin Laden torna in video per lanciare un
messaggio d’allarme al mondo musulmano: “Obama è come Bush”, avverte lo
sceicco che rivolgendosi ai “fratelli della jihad” consiglia attenzione
perché Obama “pianta i semi dell’odio”, prendendo a esempio la guerra
intestina al Pakistan dove si aggrovigliano Talebani, civili, esercito
pakistano e americano. Il numero uno di Al Qaeda promette vendetta (Corriere, Repubblica, Sole 24 Ore, Stampa, Messaggero, Giornale, Libero).
Sulla pericolosità delle parole di Bin Laden, leggerei un commento del
direttore del Centro studi internazionale, Andrea Mergelletti, sul
Tempo. Secondo l’autore è l’ultimo accorato appello al mondo della
resistenza da parte di un Osama ormai alla corde. Repubblica, a
tal proposito, propone un’intervista al responsabile internazionale di
Hezbollah in Libano. Ammar Mussawi dice che al di là delle parole di
Obama al Cairo, per non essere come il predecessore Bush bisogna fare
molto di più. Andare oltre. “Sarà capace di mantenere le sue
promesse?”, si chiere Mussaw. “Non si può predicare la democrazia e poi
respingere i risultati come nel caso della vittoria di Hamas”, è il
leit motiv. E già che siamo in tema, ricordiamo che domenica il Libano
va alle urne ed Hezbollah è tra i favoriti a salire alla guida del
Paese. Che gli scenari si dividano, in caso di vittoria del “Partito di
Dio”, tra vittoria e isolamento internazionale o compromesso con un
governo di coalizione, è un’analisi che propone Avvenire. Sul fronte Medioriente, un piccolo spazio della giornata andrebbe dedicato alla lettura di un racconto di Guido Olimpo sul Corriere Magazine.
Il giornalista parla della “guerra segreta” tra Israele e Iran, fatta
di intrighi, 007, capi del Mossad, depistaggi e fabbriche di armi
difettose che fanno affari con Teheran. E intanto (come ricorda il Tempo)
da oggi a via della Reginella va in scena una piacevole mostra tra arti
e mestieri. Una passeggiata per mettere in stand by, almeno lungo i
cento metri del vicolo, i problemi mediorientali.
Fabio Perugia |
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
MO,
Obama al Cairo: "Negare la Shoah è assurdo,
minacciare Israele è errato" Il Cairo, 4 giu - "Sei
milioni di ebrei sono stati uccisi dal Terzo Reich. Negare questo fatto
è assurdo e odioso. Minacciare Israele di distruzione è profondamente
errato". Ha detto il presidente Barack Obama nell'atteso discorso
all'Università del Cairo. Il Presidente Barack Obama ha aggiunto che i
palestinesi devono por fine alla violenza contro Israele e Israele deve
mettere fine a nuovi insediamenti, ed ha sostenuto che "La libertà di
religione è centrale per la possibilità dei popoli di vivere insieme.
Dobbiamo sempre esaminare i modi - ha detto Obama - in cui
possiamo proteggerla". I giornali oggi in edicola in Israele
danno molto risalto al clima di alta tensione per il
discorso del Presidente americano. Il Jerusalem Post titola in prima
pagina "Tensione in Israele in attesa del discorso di Obama" mentre
Yedioth Aharonoth, il quotidiano a maggiore tiratura del Paese, afferma
"Obama abbraccia il mondo arabo, preoccupazione israeliana". Sullo
stesso giornale numerosi gli articoli di commento. In uno di questi, un
noto commentatore, Amnon Abramovich, afferma che "alla fine ci
piegheremo" alla volontà degli Stati Uniti così come hanno fatto tutti
i precedenti governi israeliani. Il Maariv ha scelto di intitolare la
prima pagina con una citazione dell'inviato Usa per il conflitto
israelo-palestinese, George Mitchell: "Gli israeliani ci hanno detto
bugie per anni. Ora basta". |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|